Progetto AUTOMATA, l’archeologia diventa robotica e smart
Il progetto europeo coordinato dall’Università di Pisa per rivoluzionare l’archeologia con un sistema che integra sensoristica, automazione e IA
Un braccio robotico preleva i frammenti ceramici o di pietra, li passa ai sensori per le analisi chimico fisiche e crea poi un modello 3D completo di dati e informazioni. Questo avveniristico scenario che unisce robotica e intelligenza artificiale, destinato a rivoluzionare il mondo dell’archeologia, sarà presto realtà grazie ad AUTOMATA, un nuovo progetto quinquennale (2024-2029) coordinato dall’Università di Pisa e finanziato dal programma HorizonEU dell’Unione Europea. AUTOMATA svilupperà due prototipi di braccia robotiche smart, uno dei quali sarà testato qui a Pisa nei laboratori del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere. Inoltre, l’idea è di diffondere il più possibile questa tecnologia rendendola disponibile a basso costo: i software saranno rilasciati come open source e le principali componenti robotiche del dispositivo potranno essere riprodotte con una stampante 3D.
“Ad oggi la fase di analisi dei reperti richiede molto tempo e forti competenze per questo non è possibile fare analisi in modo massivo – spiega il professore Gabriele Gattiglia dell’Università di Pisa, coordinatore del progetto – tutto questo con AUTOMATA è destinato a cambiare. AUTOMATA faciliterà la documentazione archeologica grazie allo sviluppo di un sistema di digitalizzazione avanzata che integra sensoristica archeometrica, automazione robotica e Intelligenza Artificiale. I reperti diventeranno così oggetti parlanti a partire da origini, utilizzi ed evoluzione per raccontare la vita quotidiana, le relazioni, l’ambiente e la storia umana di chi ci ha preceduto”.
A livello tecnico, AUTOMATA consentirà una digitalizzazione rapida e a basso costo. Questo approccio semplificherà l’acquisizione dei dati, a beneficio di istituzioni pubbliche e private, musei e istituti dedicati alla ricerca, alla conservazione e alla tutela. Non ultimo, il lavoro di documentazione di AUTOMATA andrà ad arricchire il Cloud dedicato alla condivisione e all’utilizzo innovativo del patrimonio culturale che l’Unione Europea sta costruendo (ECCCH: European Collaborative Cloud for Cultural Heritage – ECHOES project: European Cloud for Heritage OpEn Science).
AUTOMATA sarà realizzato da un partenariato di eccellenza composto da dodici organizzazioni accademiche e non accademiche provenienti da sette paesi (le università di Bordeaux Montaigne, York, Barcellona, Gerusalemme; il King’s college di Londra;l’Istituto Italiano di Tecnologia; l’Institut National de Recherches Archéologiques Préventives-INRAP; il Museo Archeologico di Zagabria; le imprese italiane QBrobotics e Miningful e l’agenzia di comunicazione belga Culturelab) sotto il coordinamento dell’Università di Pisa. La gestione del progetto è affidata al professore Gabriele Gattiglia, docente di Metodologia della ricerca archeologica e Archeologia digitale presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere. Lo stesso Dipartimento sarà protagonista con un team interdisciplinare di archeologi, filosofi ed esperti di comunicazione. Fanno parte del gruppo di ricerca Francesca Anichini, project e communication manager del progetto, i docenti di archeologia Federico Cantini, Niccolò Mazzucco e Simonetta Menchelli, la filosofa professoressa Veronica Neri e l’esperto di videocomunicazione Nicola Trabucco.
Il progetto è stato presentato martedì 22 ottobre presso la Gipsoteca di Arte Antica dell’Università di Pisa. All’evento hanno partecipato rappresentanti della Commissione Europea, del progetto ECHOES e dei partner del consorzio.
Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa
1 Comment
Ho cominciato ad occuparmi di nuove tecnologie a vantaggio del patrimonio archeologico alla fine degli anni Settanta. Una vita fa. Ma possibile che dopo tanti anni ci stiamo ancora e anzi sempre di più fossilizzando nello sperimentare tecnologie ultramoderne per fare cose di modesta utilità, incentrate sempre e solo sui reperti?
Il lavoro duro e sporco, quello di cui ci sarebbe un gran bisogno, quello che nella realtà quotidiana siamo ahimé sempre meno disponibili a compiere, dovrebbe essere incentrato sui contesti e soprattutto sulle stratigrafie, quale classico metodo per migliorare progressivamente la nostra capacità di interpretare e perché no di datare entro una dimensione culturale, non necessariamente solo di cronologia assoluta.
E invece no: il braccio robotizzato preleverà reperti trattandoli con la massima cura, al meglio delle disponibilità tecnico-scientifiche, mentre ancora una volta ci sarà il rischio concreto che la fondatezza della comprensione stratigrafica verrà lasciata all’immaginazione del Collega che sarà presente lì in quel momento e riguardo al cui operato ci metteremo ancora una volta il cuore in pace in termini di prestigio personale, non di verificata standardizzazione del processo.
Eh vabbé, con l’età si diventa criticoni, ma sarei felice di sapere che mi sto sbagliando.