Caccia al bandito nella Siberia degli anni venti nel romanzo «Crudeltà» di Pavel Nilin
Siberia, anni venti. Jakov Uzelkov, cronista a caccia di scoop, arriva nel commissariato di Polizia di Dudari, già in subbuglio per il recente arresto di una banda di malavitosi. Ad accoglierlo sono un poliziotto – voce narrante del racconto – e il suo collega Veniamin Malyšev “Ven’ka”. Il viaggio per dare la caccia al bandito Voroncov, soprannominato “l’imperatore di tutta la taiga”, sta per cominciare.

È questo ciò che viene narrato dallo scrittore, giornalista e drammaturgo russo Pavel Nilin nel romanzo Crudeltà, stampato in Unione Sovietica nel ’56, tradotto in Italia per Feltrinelli nel 1960 e quest’anno riportato alla luce dall’editore readerforblind. Si tratta di un libro che quando uscì riscosse molto successo anche perché l’autore, come appunta Antonella Nocera nella Prefazione, rivestì realmente, per un periodo, il ruolo di funzionario della sezione investigativa.
Lo scenario che fa da sfondo alle vicende è senz’altro politico. È un periodo di grandi cambiamenti. Nelle province remote c’è una certa avversione verso il governo, non tutti sono disposti ad allinearsi ai dettami del verbo comunista. Si tratta, inoltre, di un ideale che viene spesso deformato dalla malvagità di certi apparati e da alcune azioni dai risvolti spietati. Si chiederà Ven’ka: «Si deve o no possedere una coscienza comunista?»1
Particolarmente interessante è la figura del catturato Lazar’ Baukin, ex soldato dell’esercito imperiale russo, poi membro dell’Armata bianca sconfitta dall’armata rossa durante la Rivoluzione d’ottobre del 1917. «In tutta la nostra vita non c’è che nebbia»2, affermerà. Egli appartiene a quella schiera di persone costrette alla fuga e, per sopravvivere, anche al banditismo. Emergono così delle differenze tra chi è più spietato e segue solo degli ordini e chi invece compie una lotta politico-ideologica ma con l’aiuto delle armi.

È molto curioso il dualismo quasi conflittuale che si crea all’interno delle personalità che animano il commissariato, tra la propria coscienza civile e il sistema del governo, tra il proprio punto di vista e il resto della società.
«Per me, la menzogna è senso di paura», afferma Ven’ka. «I borghesi vi ricorrevano perché temevano che la verità fosse contro di loro. Noi invece possiamo dire sempre la verità, non abbiamo nulla da nascondere»3.
In questo romanzo, il piano “investigativo” si arricchisce grazie a una figura femminile, contesa tra i protagonisti.
«Jul’ka taceva e si stringeva a me», racconta il narratore, «perché nelle vicinanze del fiume l’aria era fresca e lei indossava un abito leggero. Le misi sulle spalle la mia giubba; e fu il gesto più risoluto che seppi compiere. Di fronte a lei, mi sentivo completamente indifeso»4.
Non mancano parti descrittive e naturalistiche che offrono, a chi legge, un contesto chiaro e suggestivo:
«non c’è nulla al mondo capace di offuscare nella nostra memoria la bellezza, la grandiosità e la magia della selvaggia natura siberiana. Anche d’inverno, quando le foreste e i fiumi, le pianure e i monti, sono coperti dalla neve e sferzati da un gelo intensissimo, la sua stessa sconfinata vastità genera nell’animo una gioia indicibile, e infonde vigore e predispone a una pace solenne»5.

Crudeltà di Pavel Nilin è un racconto che offre lo spaccato di una società in piena evoluzione, fotografando nitidamente la contrapposizione tra il bene e il male, senza emettere sentenze ma offrendo continui spunti di riflessione grazie a descrizioni accurate e dialoghi taglienti, lasciando il lettore con due sensazioni tra le mani: la curiosità e il beneficio del dubbio.

Note:
1 Pavel Nilin, Crudeltà, readerforblind, Ladispoli, 2025, p. 87.
2 Ivi, p. 253.
3 Ivi, p. 174.
4 Ivi, p. 197.
5 Ivi, p. 94.
