Forme della trascendenza. Un romanzo, L’invitata di Simone de Beauvoir

A Olga Kosakiewicz”.

Così si apre L’invitata, il primo romanzo di Simone de Beauvoir, edito quando lei ha trentacinque anni ma scritto, pensato molto prima. Fin da quando Olga Kosakiewicz è giovanissima e contro tutto, si sente diversa, una diversità che lei porta come una sorta di superiorità. È un’allieva di Simone, che da lei è sedotta per il suo modo di sentire, per l’avidità con cui Olga guarda le cose e le persone. Si aspetta che lei prenda forma, intende aiutarla per non vederla scomparire dietro studi aridi, che non le si addicono.

Simone Lucie Ernestine Marie Bertrand de Beauvoir. Foto di NiaVasilevaCC0

La sua totale avversione per il conforme, il pieno abbandono con cui si dà al presente, ai libri, ai corpi e ai gesti umani fanno di lei l’invitata nel legame amoroso tra Simone e Jean-Paul Sartre, suo compagno di vita. Olga diventa l’impresa da realizzare: da loro prende lezione per prepararsi alla licenza in filosofia, ma per lei tutto ciò che si comprende con la testa non ha valore, contano le emozioni. Per Olga il domani esiste appena, perché il presente le basta. Sfuggente all’avvenire, anche i suoi legami personali non hanno storia; viene a formarsi una sorta di ménage à trois in cui non ci si chiede niente perché le parole fissano e impegnano.

L'invitata Simone De Beauvoir
L’invitata di Simone de Beauvoir, nell’edizione Oscar Moderni Cult di Mondadori. Foto di Camilla Gazzaniga

Ne L’invitata, recentemente riedito da Mondadori, l’immaginazione letteraria prende forma dalle memorie personali di de Beauvoir – è lei Françoise; Sartre sarà Pierre – che si uniscono a suggestioni filosofiche, scorci dell’esistenzialismo. Molti le hanno criticato la trasposizione della vita nei romanzi, come se i suoi personaggi fossero del tutto ricalcati dalle persone che la circondavano. Un romanzo deve conservare un certo grado di verità rispetto a ciò che si vive, spiega lei in un’intervista edita in La femminilità, una trappola, il resto è questione d’inventiva.

La femminilità, una trappola | Simone de Beauvoir tra vita e letteratura

Ma quando la storia è soltanto inventata, secondo lei, ha più a che fare con l’artificio che con l’immaginazione. Ne L’invitata il profilo di Olga viene limato affinché il personaggio che le corrisponde, Xavière, sotto il suo aspetto seducente si riveli null’altro che crudo egoismo; non ci potrebbe essere odio, altrimenti, da parte della protagonista Françoise, che in Xavière scopre la prova che gli altri esistono, oltre a lei, con altrettanta evidenza. «Forse, per nessuno è comodo imparare a coesistere tranquillamente con gli altri; io non ne ero mai stata capace. Io, o regnavo o m’inabissavo», dichiara de Beauvoir ne L’età forte, riconoscendo di aver dovuto richiamare un’interiorità venuta meno, talvolta.

Nel romanzo si interroga sull’essere di una coscienza, sull’esserlo quando altri esistono, quando li si ama. Declina in modo personale i concetti filosofici, ovvero l’apertura della coscienza sulle cose, l’incontro con l’Altro, e l’eventuale trascendenza della propria coscienza rispetto a quella altrui – il suo inabissarsi. Ma sempre e soltanto narrando.

Libera e impersonale

Con le cose è semplice, dalle cose ci si salva; l’esistenza dell’Altro, la sua evidenza, resiste. Attraverso la narrazione letteraria, de Beauvoir intende questo, e proprio sulle cose si apre la scena iniziale de L’invitata: sotto gli occhi di Françoise sfilano il sipario, le poltroncine di velluto, tutto il teatro immerso nel nero della notte – lei scrive le pièces, Pierre recita. Il punto di vista diventa quello delle cose: Françoise, seduta, dimentica per un istante di avere un lavoro urgente da portare a termine, di essere lì per quello e senza Pierre, dimentica anche la sua assenza.

I suoi pensieri vagano sulle cose attorno, si abbandona mentre esse si affermano, ed è come se lei non ci fosse più. L’essere al mondo apre un orizzonte infinito di oggetti davanti a sé, ma di cui si scorge soltanto una piccola parte, di volta in volta; tutto il resto ci sfugge. Ma poi Françoise si desta, torna a essere una persona, si situa in un luogo nel suo tempo: «aveva questo potere: la sua presenza strappava le cose dalla loro incoscienza, restituendole al loro colore, al loro odore». Françoise si dice che le cose, che sembravano superarla, hanno bisogno di lei per esistere, di rientrare nella sua esperienza; altrimenti, restano spettacoli per nessuno e per questo in un certo senso smettono di esistere, esistono “da lontano”.

Françoise crede così di sublimare anche l’esistenza degli altri, e di sottrarsi dall’immagine che hanno di lei. Nei locali contempla i loro volti, e non appena distoglierà lo sguardo, essi non saranno che uno scenario di vita abbandonato.

«Non mi importa di quello che la gente pensa di me» riflette, «i loro pensieri per me sono esattamente come le loro parole e le loro facce: oggetti in un mondo che è mio».

Poco conta che siano coscienze al suo pari, che abbiano una loro vita interiore; in lei c’è la convinzione, come per le cose, di farli vivere. Ma l’Altro ci guarda, ci scopre; se l’Altro è coscienza, occorre accettare il potere che ha di vederci, di formulare giudizi e scoprirci – parole della fenomenologia, poi dell’esistenzialismo. Per lei, il resto del mondo e l’altro non smettono davvero di esistere, vengono soltanto allontanati; davanti a loro si dice «impersonale e libera», in altri termini si svuota della sua esistenza.

Françoise è libera perché impersonale, è impersonale dunque libera. Non si sente neppure un corpo – «il proprio volto le piaceva, ed era sempre una sorpresa gradevole scoprirlo nello specchio. Di solito non pensava mai d’avere un volto» – ed essere un corpo significa anzitutto situarsi in un mondo; credersi una coscienza impersonale e imparziale, invece, la trascende dalla sua dimensione intima, la dissolve nel mondo in maniera imprecisata.

Nemmeno amare Pierre la riporta a riconoscere l’altro, proprio perché Pierre, per lei, non è veramente un Altro, ma non si riduce neppure a oggetto del suo mondo. C’è solo una vita, tra loro, un solo mondo interiore, quanto meno Françoise è convinta di questo. Hanno un loro simbiotico stare, per cui ogni singolo sentimento, pensiero, avvertito dall’una viene interpretato e poi reso all’altro – «tutti i momenti della sua vita che gli confidava, Pierre glieli restituiva chiari, lucidi, perfetti, e diventavano così momenti della loro vita».

Un amore posto fuori dal tempo, che permette loro di rimanere insieme pur essendo in altri luoghi, pur essendo con altri, liberi nel loro legame. Non viene meno con gli altri amori che Pierre intrattiene, a condizione che vengano raccontati a Françoise, e che non prendano il posto di lei – «non le avrei abbandonato il posto sovrano che io occupavo, al centro esatto di tutto», riporta de Beauvoir nelle sue memorie, a proposito di Olga.

Chi è l’invitata

L’una l’inverso dell’altra, da un lato c’è un’esistenza incentrata sull’immediato, dall’altro una coscienza apparentemente “pura”, senza i contorni di una persona. La costruzione dei caratteri è così fine che de Beauvoir riesce a rendere ogni altro personaggio “l’invitato” quando si relaziona all’essere a due di Françoise e Pierre. Il più riuscito, in tal senso, è forse il profilo di Elisabeth, nome dell’amica più cara, la Zaza in Memorie di una ragazza perbene. Persa per una malattia quando erano giovanissime, Elisabeth “Zaza” rivive negli scritti di de Beauvoir, forse per una convinzione di non essere riuscita a salvarla. Mentre Simone si emancipava con lo studio e la lettura, lei scompariva sempre di più dietro gli obblighi cristiani mossi dalla sua famiglia.

L’ultimo amore di Zaza sarà Maurice Merleau-Ponty, filosofo e amico di de Beauvoir e poi Sartre; mancando un fidanzamento ufficiale, Simone li aiuta a incontrarsi. «Dopo la seconda volta li lasciai soli e in seguito si incontrarono spesso senza di me. Non ero gelosa» si legge in Le inseparabili, romanzo consacrato a Zaza, «tenevo sempre enormemente a lei, ma adesso c’era anche il resto del mondo e c’ero io: lei non era più il mio tutto». Come ipotizzato da Simona Munari nell’introduzione al romanzo, è forse questa la prima volta che Simone si sente estranea davanti ad altri due, a un mondo affettivo e privato che non la riguarda. Forse è stata lei, per prima, a essere l’invitata.

La Elisabeth del romanzo è una artista che trasfigura ogni esperienza della sua vita allo scopo di abbellirla, ma proprio per questo è l’unica a comprendere fino in fondo che gli altri detengono un’immagine di noi stessi. Ammaliata da Françoise, a sua volta è “invitata” nel rapporto, per lei irresistibile nonostante per prima ne scopra le crepe, nella gelosia di Françoise, nei malumori di Pierre. C’è qualcosa che tende a sfuggire al loro essere a due e lo si intuisce fin dall’inizio, dal capitolo primo che comincia con un “sacrificio” di Françoise – sono parole dello stesso Maurice Merleau-Ponty nello scritto Il romanzo e la metafisica, in cui romanzo è L’invitata. Nella scena iniziale, Françoise si sofferma sull’aspetto di Gerbert – anch’egli teatrante –, non riesce a non pensare a un amore che sarebbe potuto essere con lui, e immediatamente rivela questo turbamento privato a Pierre.

In fondo, si dice lei, non perderà nulla, perché lei è il suo amore per Pierre. Quando subentra Xavière, per Pierre amarla significa esistere e contare per lei. Un “imperialismo puramente sentimentale”, scrive de Beauvoir ne L’età forte, per rendere la gelosia che coglieva Sartre quando Olga mostrava piacere nell’uscire con un altro, e per rendere quella di Pierre, nella finzione romanzesca, quando Xavière fa lo stesso.

Un dramma metafisico

E Françoise? Non ama Pierre nella sua libertà, ama che Pierre scelga di non impegnarsi nei suoi altri amori, con il loro che viene prima – tanto è vero che non si sente libera di amare Gerbert. E al contempo, quando dice di amare Xavière, in realtà ama il suo esserle assolutamente necessaria. Con questi presupposti, il disegno di un legame a tre appare irrealistico fin dall’inizio; Pierre e Françoise decidono come amarla, come dividersela in quanto oggetto del loro proprio mondo, affinché questo non si sfaldi. Xavière, folgorante ed eterea, per certi versi infantile, è tremendamente gelosa di Françoise quando si tratta di Pierre, e di Pierre quando si tratta di Françoise.

Quando lui ammette di amarla, lei vuole sottrarsi dalle inquietudini, dalle piccole malinconie che un amore potrebbe portarle, non tollera un suo dispiegarsi nel tempo, ne rifiuta la costanza. Françoise sa che ormai Xavière esiste nel suo mondo; il dispiacere imprecisato che prova all’inizio prende presto la forma dell’ossessione, i vecchi rancori da cui rifugge puntualmente si ripresentano con le collere passeggere di lei. In una scena tremenda e magnifica trova espressione tutto l’orrore di Françoise: seduti a un tavolino, nell’indifferenza generale, Xavière si brucia con una sigaretta il dorso della mano. Più viene ignorata da Pierre, più prova un piacere perverso ad affondarsela nella carne scoperta. Detesta il ruolo di musa in trasformazione che le è stato attribuito; niente le dà piacere come il manipolare entrambi.

Come scrive Merleau-Ponty, il dramma di Françoise non è di ordine psicologico, ma metafisico: Pierre e Xavière vivono una dimensione che è solo loro, e né il resoconto verbale, né il sodalizio amoroso con Françoise, potranno includerla in quel sentimento. Lei, che non distingue Pierre da sé stessa, d’un tratto non è più al centro del mondo e delle cose; il centro del mondo diventa dove Pierre e Xavière si trovano, dove lei non può entrare. Finalmente si percepisce con occhi esterni – come possono gli altri – e non per come si credeva nella piacevole menzogna. Ancora sconosciuta nel suo corpo, perfino il suo dolore le è estraneo. Il risvolto tragico finale era forse inevitabile; a morire è chi, come era stata Zaza nella vita, è vittima di ipocrisie e illusioni stagnanti, della Storia e del contesto, da cui non è riuscito a salvarsi, mentre chi si è salvato rimane a guardare, scoprendo quanto davvero si dipenda dagli altri, e dal resto del mondo.

L'invitata Simone De Beauvoir invitata
L’invitata di Simone de Beauvoir, nell’edizione Oscar Moderni Cult di Mondadori. Foto di Camilla Gazzaniga

Bibliografia:

SIMONE DE BEAUVOIR, L’invitata, Mondadori 2022, pp. 420.

S. DE BEAUVOIR, Memorie di una ragazza perbene, Einaudi 2014, pp. 384.

S. DE BEAUVOIR, L’età forte, Einaudi 2016, pp. 544.

S. DE BEAUVOIR, Le inseparabili, Ponte alle grazie 2021, pp. 208.

S. DE BEAUVOIR, La femminilità, una trappola. Scritti inediti 1927 – 1983, in particolare Scrittura e lettura, intervista con Madeleine Gobeil, L’Orma Editore 2021, pp.160.

MAURICE MERLEAU-PONTY, Il romanzo e la metafisica, in Senso e non senso, Il Saggiatore 2016.

L'invitata invitata Simone de Beauvoir
La copertina del romanzo L’invitata di Simone de Beauvoir, nell’edizione Oscar Moderni Cult di Mondadori

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