Vivere il lutto, di Valentina Tatti Tonni – un delicatissimo addio, che suona come un arrivederci
Per parlare del libro di Valentina Tatti Tonni, Vivere il lutto, pubblicato da Affiori, marchio di Giulio Perrone Editore, bisogna tornare indietro, molto indietro, precisamente a quando è nato il genere elegiaco. Gli studiosi di letteratura greca si sono chiesti per tanto tempo come sia nata l’elegia, questo tipo di componimento poetico, formato da distici detti, per l’appunto, elegiaci (cioè un esametro e un pentametro) e pare che concordino tutti nell’affermare che sia nata dapprima come canto funebre.
Il che spiegherebbe l’etimologia stessa della parola: e e legein, in greco, significa “dire ai ai”. È una poesia che nasce dapprima per esprimere un dolore profondo, come quello del lutto. Un dolore che riguarda tutti noi, almeno una volta nella vita. Tali poesie riguardavano amici, parenti, mariti e mogli. E, attraverso il canto, i vivi riuscivano a separarsi dai morti, ad andare avanti con le loro vite. A tornare a vivere con quel caro ricordo nel cuore.
Poi l’elegia è diventata molto più di questo. Parlerà di vita, degli anni che passano, di amore, dei piccoli e grandi dispiaceri che si provano nel corso dell’esistenza. È finita col riguardare ogni aspetto della vita, fatta di cose belle, come di cose brutte. E io credo che sia anche quello che è riuscita a fare in questo suo libro Valentina.
Un libro speciale. Di quelli che andrebbero portati con sé e aperti nei momenti di tranquillità o di tristezza. Sono poesie dolci come carezze, mai superficiali. Canti di dolore e di vita.
Un soffio delicato per dire ad una persona speciale un addio che, fortunatamente, non è mai definitivo.
Valentina ci spiega che una persona, specie se è stata tanto importante per noi, finisce col far parte comunque della nostra vita, perfino dopo la sua morte.
Non va mai via, nonostante all’inizio ne avvertiamo la perdita. Penso alla prima poesia con cui si apre questa breve raccolta. L’inizio di un viaggio che è soprattutto interiore e che, forse, anche per questo non si può fare che da soli:
“Al ristorante / non ho compagnia / prenoto da sola. / La sedia di fronte / ora è vuota / per un motivo preciso: / la mia mamma / è diventata / uno stato emotivo. E sopravvive” (p.13).
All’inizio l’assenza di chi amiamo è insopportabile. Cambia inevitabilmente tutte le nostre abitudini e ci fa ripensare a quanto fosse più bella la vita quando questa persona era ancora tra noi. Ma quello che è un canto di dolore presto diventa un inno alla vita. Un’elegia (che si fa finanche elogio) alla vita. E la morte, purtroppo inevitabile, è parte di questa nostra breve parentesi sulla terra.
La mamma di Valentina, cui è dedicato il libro, non scomparirà mai dalla vita della scrittrice. Se all’inizio la sua scomparsa è motivo di dolore, presto diviene una calda compagna, sempre presente, forse, in un modo ancora più profondo, ancora più speciale di quanto lo sia stata in vita.
Che canto delicato quello di Valentina, che si rivela una scrittrice raffinata, la cui cultura squisitamente letteraria emerge in questi versi dolci, semplici come dovrebbe sempre essere la poesia. Senza giri di parole, ma diretta.
Non posso che consigliarvi di tenerlo sul comodino o in borsa, di non leggerlo un poco alla volta.
Va assaporato, parola dopo parola. Verso dopo verso.
Buona lettura!
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.