“Sipario siciliano”: Giuseppe Cerasa racconta la sua isola
Raramente accade di terminare un libro e volerlo subito ricominciare. Se Sipario siciliano, pubblicato da Nino Aragno Editore, conserva questa magia è merito della penna sincera e puntuale di Giuseppe Cerasa, giornalista di razza passato dal Giornale di Sicilia e da L’Ora di Palermo, dello storico direttore Vittorio Nisticò, «vera anima e coscienza civica di quel glorioso giornale» (p. 88), per poi approdare a la Repubblica.
«Questa raccolta composita di memorie», osserva Stefania Auci nella prefazione al volume, «è come un susseguirsi di vetrini da studio sotto la lente di un microscopio» (p. ix)
e ha come protagonista indiscussa la Sicilia, un’isola straordinaria, patrimonio d’Italia e del mondo intero.

Il libro d’esordio di Cerasa – progetto caldeggiato dal figlio Claudio, direttore de Il Foglio – può essere considerato come un’opera vibrante perché possiede una grande capacità evocativa: un racconto entusiasmante fatto di passioni, riti, speranze, soprusi, storie d’amore e di violenza.
Sfogliando le pagine, leggendo le lunghe e accurate descrizioni, si è in grado di sentire l’odore del basilico, del pane appena sfornato, percepire il sapore dei biscotti con i fichi, dei dolci e della pasta con le sarde, udire il suono delle sirene o il rumore dei fuochi d’artificio. E poi ascoltare le voci dei bambini che si levano per le strade del mercato della Vucciria – come se prendesse vita il celebre dipinto di Renato Guttuso – passando dai vetri delle finestre e mischiandosi a quelle che, tra i banchi di scuola, formulano domande ed elaborano risposte, o che, impertinenti e scostumate, inscenano confronti animati con le maestre.
I ricordi dell’autore si agitano tra i capitoli suscitando interesse. Si percepisce una certa urgenza, tipica del cronista, nel raccontare quanto inquinante sia stata la presenza della criminalità organizzata: dal
“sacco di Palermo” al controllo della acque pubbliche, dalle difficili condizioni che comportava l’emigrazione in Germania al mafia-tour a Corleone, paese dove «ci sono tante chiese, i peccati erano e sono parecchi da confessare e i preti un tempo non mancavano» (p. 44).
Se è vero che ciascuno nella propria vita ha un teatro di guerra, in quello di Cerasa, oltre a Giuseppe Insalaco, Beppe Montana, Paolo Borsellino e tanti troppi altri, c’è sicuramente la strage di via Carini, avvenuta il 3 settembre del 1982. Molto toccanti sono i paragrafi che narrano del suo arrivo sul luogo del delitto, del corpo di Carlo Alberto Dalla Chiesa col volto sfigurato e fumante e del momento in cui ogni giornalista si trova di fronte alla sua Olivetti e, anche con le lacrime che bagnano i fogli, è costretto a consegnare il pezzo per il giorno dopo.
A proposito di questo difficile ma affascinante mestiere, Cerasa ha affermato che «il valore dei giornali si misura soprattutto in termini di credibilità»1, contro le false notizie. Basterebbe riavvolgere la pellicola per ritrovarlo studente del liceo classico Baccelli di Corleone, in pieno Sessantotto, tra cineforum, dibattiti, un incontro indimenticabile con Leonardo Sciascia e la realizzazione di un giornale:
«Straordinari quei pomeriggi a battere i tasti sulla carta carbone traforata, una specie di matrice che finiva attaccata al ciclostile. Girando una manovella si vedevano uscire le pagine, una, due, dieci, ventiquattro, che venivano allineate e spillate finché le risme di carta lo consentivano e poi distribuite all’ingresso del liceo, volantinaggio collettivo entusiasmante» (pp. 57-58).
Non mancano personaggi simbolo dell’Isola, come il sociologo Danilo Dolci, il poeta Ignazio Buttitta e lo scrittore Andrea Camilleri il quale, come racconta l’autore, un giorno gli portò ‘a munnizza, piatto realizzato con diversi tipi di verdure sovrapposte, a strati, avvolto in una «truscia», cioè quel panno ruvido che, come un fagotto, evita la dispersione del calore e preserva la conservazione dell’alimento.

Sipario siciliano si presenta come un mosaico prezioso di ricordi il cui valore è dato anche e soprattutto dalle figure femminili, talvolta celate ma sempre presenti, pilastro su cui si fonda, vive e sopravvive una storia, una tradizione.

Note:
1 Quante storie, Rai Tre, 20 febbraio 2025.
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.