Il 6 aprile è un giorno che non può passare sotto silenzio per chiunque conosca il personaggio del Petrarca (1304-1374), una data alla quale egli attribuì simbolicamente gli stravolgimenti più significativi di tutte le sfaccettature del suo io, psicofisico, personale, intellettuale, amoroso: il 6 aprile 1327 da giovanissimo incontrò, nella Chiesa di Santa Chiara ad Avignone, la giovane e bella Laura; pochi anni dopo, il 6 aprile 1348, Laura fu una delle tante vittime della peste, lasciando al poeta null’altro che il ricordo di un amore più distruttivo che appagante.

Laura
“Laura e il poeta”, raffigurati insieme in un affresco anonimo della casa del Petrarca ad Arquà. L’affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato nel corso del Cinquecento mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco.

Il Petrarca fu un intellettuale di fama e produzione letteraria eccezionale della sua epoca, ma se c’è un’opera dove egli tentò di fare i conti con se stesso e con quello che l’amore per questa donna comportò nella sua vita, offrendo ai lettori quasi una autobiografia critica, quella è certamente il Canzoniere, che nel 2019 compie ben 645 anni dalla sua redazione definitiva del 1374 (che si conserva in un codice autografo preziosissimo, il Vaticano Latino 3195). Guardando l’opera nel dettaglio, è una raccolta di 366 componimenti poetici di metro vario (317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali), sapientemente messi insieme da Petrarca di modo che possano essere letti sia individualmente, sia a gruppi, sia consequenzialmente senza l’ausilio di una cornice in prosa che li unisca e hanno la funzione di raccogliere i pensieri del poeta quasi come pagine di un diario e al tempo stesso raccontare le vicende di vita amorosa ma anche le idee sull’amicizia, sulla politica, sulla cultura e sulla religione come un’autobiografia; significativo come la raccolta subisca una sorta di giro di boa alla canzone CCLXIV, che fa a tutti gli effetti da spartiacque tra i carmina in vita di Laura e quelli che, di lì in avanti, saranno in morte di Laura.

Laura
La bellissima e precocemente strappata alla vita Laura in un ritratto conservato presso la Biblioteca medicea Laurenziana.

Certamente ciò non deve far cadere il lettore nell’equivoco di pensare che alla cronologia degli eventi corrisponda una contemporaneità o una cronologia della composizione: il Canzoniere, per quanto fosse dal Petrarca opera ritenuta di meno prestigio rispetto alle altre (si pensi all’Africa, al De viris illustribus, al Secretum, all’Epistolario, ai Triumphi ed altre;  si sappia che il discrimine nella produzione petrarchesca per capire se egli avrebbe destinato una sua opera a monumento di se stesso per i posteri è se la elaborò in latino, e non fu il caso del Canzoniere: paradossale che ad oggi sia invece l’opera con cui viene identificato, e soprattutto che per quanto possa aver voluto dare a vedere che non siano importate le sue opere in volgare, non avrebbe mai lasciato che degli “esperimenti letterari” a caso portassero il suo nome!) fu oggetto di continue rielaborazioni, aggiunte, tanto che Wilkins ha riscontrato, da una primordiale di 23 componimenti approntata già nel 1336, ben nove redazioni, fino alla definitiva del 1374 da cui poi fu tratta l’editio princeps nel 1470.

Francesco Petrarca, in un ritratto del XV secolo di Giusto di Gand ove porta la tradizionale corona d’alloro, simbolo del poeta laureato. Oggi è conservato presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino.

La tradizione consegna questa raccolta con il titolo di Canzoniere ma il titolo originario dato dall’autore fu Francisci Petrarche laureati poete Rerum vulgarium fragmenta, da altri detta solo Rerum vulgarium fragmenta, Rime sparse o solo Rime. Giacché in Petrarca nessuna parola è lasciata a casa, il titolo “frammenti di cose” è certamente paradigmatico di quello che è, parallelamente al rapporto con Laura, l’altro tema portante del Canzoniere: ripercorrere un’esistenza frammentata e tentare di ricomporla. La colpa è da imputare a questa donna bellissima, che lo aveva attirato nella trappola del peccato e tenuto anni in sospeso, nella speranza che realizzasse il suo desiderio di una vita amorosa felice. Da molti studiosi Laura è considerata un personaggio fittizio, soprattutto a causa del nome, ritenuto un nome parlante (in lirica provenzale senhal) dietro al quale si celerebbe il laurus, l’alloro simbolo della sacralità dell’arte o la laurea, conseguita a Roma e caratterizzata da un’incoronazione con l’alloro. Se anche fosse una finzione letteraria, sarebbe una finzione ben fatta, in quanto Laura è tutt’altro che convenzionale rispetto alle figure femminili che si trovano nella lirica di tipo amoroso precedente. Ella ha una propria personalità, caratteristiche psicosomatiche precise e mutevoli nel tempo, tanto che il poeta la descrive nel suo “invecchiare”, litiga e fa valere le sue ragioni con il poeta, risultando con dispiacere di quest’ultimo decisiva nel rapporto. Decisiva sarà persino nella sua assenza da morta in quanto, mediante il ricordo di quei pochi momenti di dolcezza e serenità vissuti con lei, Petrarca riuscirà a rimettere insieme quella vita andata in pezzi dapprima “il giorno ch’al sol si scoloraro” (sonetto III), e poi quando “Morte ebbe invidia al mio felice stato/anzi a la speme; et feglisi a l’incontra/a mezza via come nemico armato” (sonetto CCCXV).

A questo proposito è interessantissima la numerologia che sembra nascondersi dietro l’opera: ritornando alle date in cui il Petrarca e Laura si conobbero e poi lei morì, entrambe 6 aprile, per molti è una coincidenza incredibile che rende questo numero sacro alla donna (come il nove di Dante a Beatrice); 366 sono le poesie che compongono la raccolta, dove ricorre due volte il sei e togliendo il sonetto proemiale, il numero di carmina coincide ai giorni di un anno intero; l’innamoramento avvenne, secondo quanto il Petrarca afferma nel sonetto III, “il giorno ch’al sol si scoloraro”, dunque il giorno della Passione di Cristo, considerato per la cristianità il giorno in cui il peccato toccò l’apice nel mondo (non a caso anche Dante si smarrì nella selva oscura il venerdì santo dell’anno 1300); contando dal quel giorno i carmina come fossero giorni anch’essi, la prima poesia della seconda parte dell’opera, ovvero la canzone CCLXVII dove si preannuncia la morte di Laura, viene a coincidere con il 25 dicembre, simbolo della nascita del Salvatore: considerando che all’epoca si contavano gli anni proprio a partire dal Natale e non dal primo di gennaio, il Petrarca intendeva proprio significare una svolta alla sua vita, per quanto dolorosa. Laura nella morte diventa un mezzo attraverso il quale il poeta deve ristabilire un contatto con la propria identità perduta. La si vede infatti intervenire direttamente nei carmina per riscuoterlo (“Deh, perché inanzi ‘l tempo ti consume?”, sonetto CCLXXIX), consolarlo (“Alma felice che sovente torni/ a consolar le mie notti dolenti”, sonetto CCLXXXII) stargli vicino come mai aveva fatto da viva (vedi citazione precedente), incitarlo al superamento di quella passione carnale che lei prima di lui aveva capito avrebbe precluso ad entrambi le porte del Paradiso (“Di me non pianger tu, ché miei dì fersi/ morendo eterni, et ne l’interno lume/ quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi”, sonetto CCLXXIX). Certamente una impostazione di questo tipo, ben evidente fin dal sonetto proemiale dove Petrarca è già consapevole di aver nutrito “vane speranze” e aver provato un “vano dolore” per un “giovenile errore”, non fa altro che influenzare tatticamente la lettura di tutta l’opera, che non lascia possibilità di replica: il lettore è obbligato tanto quanto ha già fatto il poeta stesso a criticarlo e biasimarlo per le scelte compiute e intraprendere con lui un cammino, seppur ricco di deviazioni verso la passione, verso la redenzione.

Il sonetto proemiale del Rerum Vulgarium Fragmenta in questo bellissimo codice membranaceo miniato del XV secolo, conservato a Trieste presso il Museo petrarchesco Piccolomineo.
Foto di Shakko

In conclusione, sarebbe ideale che fosse un testo a parlare, e ovunque ricadesse la scelta certamente essa sacrificherebbe i restanti 365 componimenti del Canzoniere. Tuttavia chi scrive crede che abbia un particolare impatto il già citato sonetto CCLXVII, il primo componimento in morte di Laura:

Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,

oimè il leggiadro portamento altero;

oimè il parlar ch’ogni aspro ingegno et fero

facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!

et oimè il dolce riso, onde uscío ‘l dardo

di che morte, altro bene omai non spero:

alma real, dignissima d’impero,

se non fossi fra noi scesa sí tardo!

Per voi conven ch’io arda, e ‘n voi respire,

ch’i’ pur fui vostro; et se di voi son privo,

via men d’ogni sventura altra mi dole.

Di speranza m’empieste et di desire,

quand’io partí’ dal sommo piacer vivo;

ma ‘l vento ne portava le parole.

Il testo complessivamente è specchio delle emozioni senza filtri del poeta. Nelle quartine Petrarca vede tutti quei particolari fisici e caratteriali, che a lungo aveva ammirato di Laura, strappatigli via ingiustamente, all’improvviso e mentre è per giunta lontano da Avignone (si trovava infatti a Parma e ebbe la notizia più di un mese dopo). Ma il momento ancor più tragico si ha nelle terzine, ove ritorna prepotentemente alla sua memoria l’ultimo loro incontro, colmo di speranza in un futuro che non ci sarà mai più e per il quale a questo punto non vale la pena vivere, se non nella dimensione del ricordo. Significative le parole che Petrarca appuntò sul foglio di guardia (quel foglio bianco che si trova tra la legatura di un libro e il libro stesso) del suo libro più caro, un codice virgiliano, quando ricevette la triste notizia: “Laura, illustre per le sue virtù e lungamente celebrata nelle mie poesie, apparve per la prima volta ai miei occhi al principio della mia adolescenza, l’anno del Signore 1327, il sei di aprile nella Chiesa di Santa Chiara in Avignone, di prima mattina; e nella stessa città, nello stesso mese d’aprile, nella stessa ora prima del giorno sei dell’anno 1348, la luce della sua vita è stata sottratta alla luce del giorno.

Ecco il primo foglio del Virgilio ambrosiano del Petrarca, miniato da Simone Martini e recante soprattutto, in otto righe, il triste fato di Laura. Oggi è conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Foto Web Gallery of Art

Fonti:

“La scrittura e l’interpretazione” di Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese; Palermo, 2011

“Francesco Petrarca” in “I classici italiani” 2014, Treccani online

Il Virgilio Ambrosiano di Francesco Petrarca

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