Vaslav Fomič Nižinskij, leggenda dei Balletti Russi, fu una delle figure più controverse del mondo della danza. Nato in Ucraina nel 1889, da genitori polacchi e ballerini di danza classica, fu introdotto al mondo del palcoscenico in età precoce. La sua vita fu da subito contornata da un alone di negatività: in giovane età suo fratello maggiore Stanislaw (1887-1917) cadendo da una finestra, subì una grave lesione cerebrale che lo condannerà a passare la vita in un manicomio.

Nel 1900 Vaslav entrò a far parte della Scuola Imperiale Russa di Balletto di San Pietroburgo. Le sue esibizioni furono sempre eccezionali al punto che Nižinskij fu chiamato spesso “il Dio della danza” per la perfezione tecnica e per il suo senso del dramma teatrale, con il quale incarnava i suoi ruoli. Quando incontrò Sergej Pavlovič Djagilev
nel 1909, i due iniziarono una collaborazione che sembrò guidata da un tacito accordo d’amore di cui Nižinskij conserva un ricordo burrascoso, descritto nei diari.

la copertina dell'edizione integrale dei Diari di Vaslav Fomič Nižinskij, editi da Adelphi, con traduzione di Maurizia Calusio, nella collana Gli Adelphi 297. Foto di Cristina Stabile
la copertina dell’edizione integrale dei Diari di Vaslav Fomič Nižinskij, editi da Adelphi, con traduzione di Maurizia Calusio, nella collana Gli Adelphi 297. Foto di Cristina Stabile

Piangevo. Djagilev mi insultava. Lui digrignava i denti e io sentivo una stretta al cuore. Abbiamo vissuto a lungo insieme. So che avevo diciannove anni quando ho conosciuto Djagilev. Lo amavo sinceramente, e quando lui mi diceva che amare le donne è una cosa tremenda, io gli credevo. Se non gli avessi creduto non avrei potuto fare quel che ho fatto.”[1]

Alla fine del 1913 Nižinskij si fidanzò con l’aristocratica ungherese Romola de Pulszky (1891-1978), che sposò a Buenos Aires. La notizia viene comunicata al direttore della compagnia, il quale lo licenziò, trovando un nuovo pupillo nella figura di Leonid Massine (1896-1979). Nižinskij tornò ad essere padrone del proprio destino, tuttavia la salute mentale iniziò a risentire del rapido susseguirsi degli eventi: si era ritrovato sposato, senza reddito e prospettive lavorative e in attesa di una bambina. Nel 1914 si recò a Budapest dove gli fu diagnosticata una “nevrastenia con stato depressivo”.

Vaslav Fomič Nižinskij e sua moglie Romola de Pulszky (circa 1915-20), nella foto Bain News Service, dalla Libreria del Congresso,  in pubblico dominio
Vaslav Fomič Nižinskij e sua moglie Romola de Pulszky (circa 1915-20), nella foto Bain News Service, dalla Libreria del Congresso (Reproduction Number: LC-DIG-ggbain-21431, Digital ID: ggbain.21431), in pubblico dominio

A partire dal gennaio al marzo del 1919, il ballerino catturò i suoi pensieri e le sue esperienze in quattro diari, partendo da qualche ora prima della sua ultima apparizione in scena. Dei quattro quaderni, solo i primi tre sono stati pubblicati nella versione italiana.

I primi quaderni sono il risultato di una scrittura elementare, ripetitiva, tumultuosa e frettolosa. Il terzo quaderno, datato 27 febbraio 1919, risulta ancora più frenetico e spasmodico. Nel complesso, tutti i quaderni si caratterizzano per una scrittura-fiume che richiama lo stile dell’Ulisse di Joyce, sospesa tra racconto delirante ed esperienza mistica della vita che il ballerino sente di vivere, in piena connessione con Dio.

Tuttavia, questa tensione mistica non esclude una consapevolezza corporea e mentale dell’atto stesso dello scrivere. Nei suoi diari, Nižinskij alterna momenti di pura esaltazione spirituale a passaggi in cui riflette con lucidità sul gesto della scrittura, sul rapporto tra parola e pensiero, tra corpo e significato. La scrittura diventa così non solo testimonianza della sua interiorità, ma anche strumento per dare forma all’esperienza del tempo, della memoria e del sé in trasformazione.

Vaslav Fomič Nižinskij in Scheherazade (circa 1910-15) nella foto Bain News Service, dalla Libreria del Congresso, in pubblico dominio
Vaslav Fomič Nižinskij in Scheherazade (circa 1910), nella foto Bain News Service, dalla Libreria del Congresso (Reproduction Number: LC-DIG-ggbain-19576, Digital ID: ggbain.19576), in pubblico dominio

I temi che ricorrono all’interno dei quaderni sono numerosi e particolari. Il primo, senza dubbio, riguarda il funzionamento della scrittura, o meglio, della penna stilografica. Per Nižinskij scrivere non è semplicemente un’azione, ma una necessità guidata dal movimento del pensiero. La sua scrittura-fiume si presenta con uno stile molto semplice e una grammatica elementare, scelte che gli permettono un maggiore controllo. Nonostante ciò, mostra grande attenzione a ciò che scrive, al significato delle parole e alle modalità espressive.

La scrittura è una bella cosa, perciò bisogna riprodurla. Voglio che la mia scrittura venga fotografata per spiegare la mia grafia, perché è la grafia di Dio. Voglio scrivere come Dio, perciò non correggerò la mia scrittura. Scrivo male di proposito.”[2]

Nižinskij tende a cercare nell’atto della scrittura la sorgente del movimento del suo pensiero, in aiuto con quella che è la guida di Dio. È lo stesso movimento che il ballerino compie sul palco. È dal corpo che Nižinskij inizia, dal corpo biologico, dal corpo scenico, dal teatro, la macchina perfetta del movimento e della performance. La descrizione di ciò che mangia, delle sue preferenze alimentari, il sentire la musica, il danzare, sono tutti parte di quel movimento che ha origine dalla testa e che si propaga all’interno del corpo stesso.

“Io lavoro con le mani e i piedi e la testa e gli occhi e il naso e la lingua e i capelli e la pelle e lo stomaco e le budella.” [3]

È dal corpo e dalla quotidianità che tutto ha inizio. La danza di Nižinskij nasce da un’esperienza corporea totale, da una sorta di trance amorosa che lo sospinge verso una condizione superiore. L’abbandono della comunicazione ordinaria e il progressivo isolamento coincidono con un colloquio interiore con Dio, figura con cui Nižinskij spesso tende a identificarsi.

Pagine dei Diari. Foto di Cristina Stabile
Pagine dei Diari. Foto di Cristina Stabile

Io sono il sentimento divino che si muove. Io sono amore. Io sono sentimento in trance. Io sono la trance amorosa. Io sono un uomo in trance. Io voglio dire e non posso. Voglio scrivere e non posso. Posso scrivere in trance. Sono la trance col sentimento, e questa trance si chiama ragione.”[4]

In tal modo la realtà quotidiana si sviluppa simultaneamente alla realtà mistica da cui sembra essere immerso in cui Dio irrompe e si sostituisce all’Io di Nižinskij.

Voglio un grande libro del sentimento perché conterrò tutta la tua vita. Non voglio pubblicarlo dopo la tua morte. voglio pubblicarlo ora. Voglio dire la verità. Forse ti metteranno in prigione per questo a causa di questo libro. io sarò con te, perché tu mi ami. So che ti metteranno in prigione. Se ti vorranno processare, dirai che tutto ciò che dici è la parola di Dio. Allora ti metteranno in manicomio. Starai in manicomio e capirai i pazzi.”[5]

Pagine dei Diari. Foto di Cristina Stabile
Pagine dei Diari di Vaslav Fomič Nižinskij, editi da Adelphi, con traduzione di Maurizia Calusio, nella collana Gli Adelphi 297. Foto di Cristina Stabile

Nonostante i momenti di isolamento e le frequenti identificazioni con Dio, Nižinskij sembra mantenere una certa lucidità nei confronti degli eventi esterni, in particolare rispetto agli effetti e alle conseguenze della Prima Guerra Mondiale. Descrive la distruzione della natura, da lui percepita come un organismo vivente sofferente e trasformato dalla guerra, e intuisce che qualcosa sta cambiando. Non sa se sia Dio stesso a mutare, oppure se sia la sua follia a prendere lentamente il sopravvento. Alla fine del secondo quaderno arriverà persino a firmarsi come “Dio Nižinskij”.[6]

Vaslav Fomič Nižinskij con sua sorella Bronislawa, nella scultura di Gennadij Jerszow al Gran Teatro di Varsavia. Foto di Galeriafart, CC BY-SA 3.0
Vaslav Fomič Nižinskij con sua sorella Bronislawa, nella scultura di Gennadij Jerszow al Gran Teatro di Varsavia. Foto di Galeriafart, CC BY-SA 3.0

È da qui che la scrittura di Nižinskij diventa più spasmodica e molto spesso racconta dei colloqui con il Dottor Fränkel. La psichiatria e la psicoanalisi all’epoca della sua malattia fornirono differenti definizioni: nevrastenia, catatonia, mania, depressione, demenza precoce, schizofrenia, paranoia. Sono differenti anche le cure a cui viene sottoposto: dal riposo agli esercizi relativi all’attività professionale, alla psicoterapia, dall’assistenza infermieristica a domicilio all’ospedalizzazione fino agli shock insulinici. Alcuni valutarono anche l’ipotesi che Nižinskij avesse inscenato la follia, interpretando un ruolo teatrale. La cosa certa è che per la sua malattia furono consultati i più grandi dell’epoca: Eugen Bleuler, Ludwig Binswanger, Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, Alfred Adler. Nel corso della sua vita, presentò diversi sintomi: deliri (persecutori e grandiosi), allucinazioni uditive e disturbi del pensiero ma anche sintomi motori ed uno stato finale ebefrenico.

Pagine dei Diari. Foto di Cristina Stabile
Pagine dei Diari. Foto di Cristina Stabile

Alla fine riceve la diagnosi di schizofrenia, che , George Hanus e René Le Guillot-Eliet, psichiatri e psicoanalisti francesi, definirono con queste parole:

“realizza un insieme di disturbi in cui dominano la discordanza, l’incoerenza ideo-verbale, l’ambivalenza, l’autismo, le idee deliranti, le allucinazioni mal sistematizzate e profondi turbamenti affettivi nel senso di distacco ed estraneità dei sentimenti, disturbi che hanno tendenza ad evolvere verso un deficit e una dissociazione della personalità”[7]

Solo il Prof. Peter Ostwald mise in dubbio questa diagnosi pur suggerendo che potesse trattarsi di un disturbo schizoaffettivo, a causa della predominanza dei sintomi dell’umore e associando la catatonia al disturbo affettivo.

So che tutti diranno: «Nižinskij è impazzito», ma non m’importa, perché faccio già la parte del pazzo in casa mia. Lo penseranno tutti, ma non mi metteranno in manicomio perché danzo molto bene e do dei soldi a chiunque me ne chieda. La gente ama i tipi strambi, perciò mi lasceranno stare dicendo che sono un clown pazzo. Io amo i pazzi perché so parlare con loro.”[8]

A partire dal 1919 e fino al 1950 Nižinskij passa gran parte della sua esistenza  in ospedali psichiatrici dove, ormai, non era più il corpo in movimento che tutti ammiravano ma solo un individuo infermo e malato. Già quattro mesi dopo il ricovero, le sue condizioni peggiorarono. Soffriva di allucinazioni e manie di persecuzione associate a sintomi motori catatonici o improvvisi episodi di rabbia e violenza. nel marzo 1920 fu trasferito all’ospedale Steinhof di Vienna, diretto da Wagner-Jauregg. I quindici anni successivi li trascorse entrando e uscendo da ospedali psichiatrici a causa degli episodi catatonici. In questo periodo Nižinskij fu più solo che mai sotto le cure delle infermiere. 

Tra il 1923 e il 1929 Nižinskij visse a Parigi. Di quegli anni restano alcune descrizioni cliniche che raccontano una comunicazione quasi sempre non verbale, fatta di gesti ripetitivi e discorsi spesso confusi. I cinque anni successivi, trascorsi al Bellevue, furono simili: lunghi momenti di immobilità passiva, interrotti da episodi di violenza.

il ballerino in una scultura di Auguste Rodin (MET, 1991.446). Foto dal Metropolitan Museum of Art, CC0
il ballerino in una scultura di Auguste Rodin (MET, 1991.446). Foto dal Metropolitan Museum of Art, CC0

Nel 1936, Alfred Adler, psichiatra e fondatore della psicologia individuale, scrisse la prefazione per la prima edizione dei diari di Vaslav Nižinskij, considerandoli un documento clinico esemplare della schizofrenia e illustrando in essa le sue ipotesi teoriche sulle cause della malattia. Tra le terapie biologiche sperimentate da Nižinskij vi fu anche quella di Manfred Sakel, pioniere della tecnica del coma insulinico. Nižinskij ricevette un totale di 224 iniezioni di insulina che pare avessero innescato un notevole miglioramento della catatonia anche se, poco tempo dopo, ricadde nell’inibizione motoria. 

Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Romola e Nižinskij si trasferirono prima in Svizzera e poi a Budapest. Nel 1943 rischiò di cadere vittima del genocidio nazista e fu ricoverato in un piccolo ospedale di campagna. Nel maggio del 1945, quando fu dato l’ordine di sterminare tutti i pazienti psichiatrici, Nižinskij si nascose per salvarsi. Dopo la liberazione, con l’arrivo dell’Armata Rossa in Ungheria, visse una fase di sorprendente recupero che durò a lungo. Dopo la guerra fu trasferito in Austria e, nel 1948, a Londra, dove non fu più ricoverato né visitato da uno psichiatra. Morì l’8 aprile 1950 e oggi riposa nel cimitero di Montmartre a Parigi.

Si ringrazia per i consigli Valerio Manippa.

 

BIBLIOGRAFIA

Hanus M, Le Guillou-Eliet, C. Psychiatrie integrée de l’étudiant, tr. it. Psichiatria, DEMI, Roma 1972.

Vaslav Nijinsky, Diari, Versione integrale, Adelphi, Milano, 2006.

Note:

[1] Vaslav Nijinsky, Diari.Versione integrale, Adelphi, Milano, 2006, p. 109.

[2] Ivi, p. 44.

[3] Ivi, p.47.

[4] Ivi, p. 76.

[5] Ivi, p. 59.

[6] Ivi, p. 140.

[7] Hanus M, Le Guillou-Eliet, C. Psychiatrie integrée de l’étudiant, tr. it. Psichiatria, DEMI, Roma 1972, p. 69.

[8] Vaslav Nijinsky, Diari, Versione integrale, Adelphi, Milano, 2006, p. 20.

Write A Comment

Pin It