Considerazioni a margine di pagina:
per il riscatto sociale dei fantasmi, degli ologrammi, degli ingranaggi silenti del sistema
“Il correttore di bozze fu inventato verso il 1440: quando, cioè, il signor Gutenberg, inventata la stampa propriamente detta e tirata una bozza della sua prima composizione tipografica, trovò, nella seconda riga, una signora elefante al posto di una signora elegante. Allora il signor Gutenberg lanciò un grido di trionfo: aveva inventato l’errore di stampa.”
Giovannino Guareschi, La donna elefante.
Nell’Art de toucher le clavecin di François Couperin si legge la seguente affermazione:
“Se si trattasse di scegliere tra accompagnamento e pièces per giungere alla perfezione di uno o delle altre, sento che l’amor proprio mi spingerebbe a preferire le pièces. Convengo tuttavia che non c’è niente di più divertente per noi stessi, e utile per creare legami con gli altri, che diventare ottimi accompagnatori. Ma che ingiustizia! L’accompagnatore è l’ultimo a venire elogiato dopo un concerto! L’accompagnamento del clavicembalo, in queste occasioni, viene considerato come le fondamenta di un edificio, di cui non si parla mai, e che tuttavia sostengono tutto. Chi invece eccelle come solista gode dell’attenzione e degli applausi del pubblico.”
Curiose considerazioni, per un trattato di tecnica clavicembalistica datato 1716-1717. Osservazioni che tuttavia hanno sollecitato una riflessione su quel mondo sommerso, fatto di fantasmi incorporei e sottopagati, di ingranaggi del sistema costretti a lavorare per pochi centesimi, il cui nome non figurerà mai, neppure nelle ultime righe dei titoli di coda di un film di quart’ordine passato dopo mezzanotte su Telecapri. Quelle anonime fondamenta sorreggono ogni cosa e non meritano di vedere la luce, non hanno diritto a un nome, a un ruolo; sono mere funzioni meccaniche, senza le quali, però, va tutto a ramengo.
Discorso applicabile a innumerevoli scenari, dal mondo dello spettacolo all’editoria, dalle sale da concerto ai teatri. Chi va in scena, sotto i riflettori, non è che la punta dell’iceberg. Che a detta di Greenpeace non se la passa neppure troppo bene ultimamente. Al di là del riscaldamento globale, sarebbe il caso di restituire un po’ di dignità e di considerazione a figure marginali ma imprescindibili, senza le quali non potremmo godere di un film, di uno spettacolo teatrale, di una mostra, di un piatto di carbonara, di un disco, di un libro. Sì, perché esiste ancora una sottile frangia di irriducibili feticisti che mantiene in vita il culto del libro senza vergogna e che si trova a maneggiare, purtroppo, idoli realizzati con sempre meno cura, precisione e riguardo.
Cosa c’è di più fastidioso e disturbante che scorgere tra le righe di un libro, pagato a volte anche a caro prezzo, refusi, errori di battitura, quando non addirittura imprecisioni sintattiche, concordanze sballate, segni di interpunzione lanciati a caso nella pagina? L’epidemia dilaga da quando il ruolo del correttore di bozze è stato accantonato, declassato, ridicolizzato, e il suo intervento ritenuto superfluo, pedante, inutile. Ci si affida all’autore per ripulire il testo e mai vi è stato errore più fatale: seguendo gli antichi dettami (“ogni scarrafone è bello a mamma sua”), il “genitore” è la figura meno adatta a giudicare la propria creatura e a correggerne i difetti caratteriali; gli errori sfuggono perché si è troppo “dentro” la propria scrittura, il cervello e gli occhi congiurano contro la pulizia e la precisione e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Qui avrei voluto mettere volontariamente un refuso, ma sono un correttore di bozze e per me è moralmente inconcepibile disseminare il testo di errori, fosse anche per gioco o provocazione.
Mentre mi attorciglio in queste riflessioni, cercando di irrobustirle con una buona dose di teorie ed assiomi, mi capita tra le mani un delizioso libretto, che cattura la mia attenzione per fattura, dimensioni e sottotitolo. Parlo di un volumetto della collana “Piccoli quaderni di prosa e di invenzione” dell’editore Henry Beyle, stampato a Milano nell’ottobre del 2014 in 375 copie numerate (la mia è la 146). Un libriccino, formato 10×12, intitolato La donna elefante. Elogio del correttore di bozze di Giovannino Guareschi, estratto da Celebrazione del tipografo (Editrice Il quadratino, Torino 1968). La risposta alle mie istanze, il sollievo alle mie ambasce si concentra in poche illuminanti righe scritte dal creatore dell’epopea di Don Camillo e dell’onorevole Peppone; penna affilata, matita appuntita, mente brillante al di là delle posizioni ideologiche, autore più visto che letto (grazie anche alle indimenticabili interpretazioni di Gino Cervi e Fernandel) che ci offre, con la consueta tagliente ironia, un ritratto divertentissimo in forma di elogio della figura più bistrattata dal mercato editoriale di tutti i tempi. Apprendiamo così che:
Il correttore di bozze vive acciambellato in piccoli recinti situati nei punti più oscuri e più disturbati delle tipografie, essendo, il suo, un lavoro che richiede calma e ottima visibilità.
Chissà cosa penserebbe oggi, sapendo che il correttore di bozze è stato estromesso anche dallo sgabuzzino della tipografia e il suo ufficio trasferito a casa, alla fioca luce di un monitor, sotto una lampada giallastra che non affatichi gli occhi. Chissà cosa direbbe, sfogliando un Meridiano Mondadori, un Supercorallo Einaudi, un pregiato volume della Pléiade, di fronte a orrori quali “benediva”, “maledendo”, “dorghiere” et similia; chissà se proverebbe il mio stesso sgomento leggendo articoli di quotidiani on-line sgrammaticati, sciatti e zeppi di errori, perché l’importante è la sostanza non la forma, perché il correttore di bozze è un paladino di una crociata inutile, vezzosa, priva ormai di significato. La sua è una missione, più che una professione e oggi che il lavoro intellettuale è considerato mediamente un hobby, una forma sofisticata di volontariato, un mezzo attraverso cui gonfiare l’ego in luogo del più comune elio per i palloncini, questa considerazione, opportunamente distorta, appare quanto mai attuale.
È dura la vita del correttore di bozze. Con una paga media di cinquanta centesimi a cartella non può programmare le vacanze, non può permettersi di affittare qualcosa di più dignitoso di un sordido tugurio, non può pagare la cena alla fidanzata, e neppure una pizza biologica con farine di grani antichi, vegana e macrobiotica. Non può andare in palestra e neppure dal parrucchiere: per questo lo si riconosce per strada, dimesso, leggermente pingue, con le mani che tremano per i troppi caffè, i capelli – quando ci sono – arruffati e di colore indistinto, la borsa di moda in una precedente era geologica ricolma di foglietti, di qppunti, di ibuprofene, di quattro paia di occhiali, perché non è solo la masturbazione a creare problemi di vista gravi, di cioccolatini mezzi sciolti, di fazzolettini intrisi di lacrime raccolte dopo l’ennesimo accredito della vertiginosa somma di 20 euro per una settimana di lavoro matto e disperato.
Il correttore di bozze è di solito un uomo infelice: egli gira per le strade del mondo sempre in affannosa ricerca di errori. Legge tutti i cartelli, tutte le insegne, le epigrafi delle lapidi e dei monumenti, le pubblicità luminose, si arrampica fin sui tetti pur di segnare col suo lapis la parola o la lettera errate. Per il correttore di bozze l’errore di stampa è la più grave delle provocazioni.
Al correttore di bozze va tutta la nostra sempiterna gratitudine, possibilmente accompagnata da una cifra idonea alla sopravvivenza dignitosa, perché ho scoperto a mie spese che non puoi pagare al discount con una pacca sulla spalla della cassiera o scrivendo ai gestori delle utenze primarie missive in stile epico-tragico o declamando versi appassionati all’idraulico che ha appena chiesto 100 euro per aver estratto dal cestello della tua lavatrice 50 centesimi lucidi e storti, il corrispettivo di 2000 battute spazi inclusi, ossia il tuo compenso per un’ora di lavoro accurato. Idraulico che, contravvenendo alla mitologia erotica legata alla sua figura, rifiuta un pagamento in natura, uno scambio di servigi, una fratellanza tra poveri. Già, perché la povertà è stata abolita due giorni fa e quindi va tutto bene. Ed io che, come una stupida, continuo a chiedermi come arrivare a fine mese? Semplice: aboliamo il mese, aboliamo le settimane, aboliamo tutto l’abolibile. E il vile denaro lo lascio a voi, capitalisti succhiasangue. Io mi taccio perché in fondo, molto in fondo, sono una donna elefante.