Il sequestro Dozier – un’operazione perfetta: serie TV Sky Documentaries
La presenza militare della Nato in Italia è da anni al centro di contrasti con movimenti politici e una parte della popolazione. Senza arrivare ai più recenti sviluppi geopolitici, basti pensare alle proteste contro l’intervento militare in Kosovo alla fine degli anni Novanta e, prima ancora, alla crisi di Sigonella del 1985. Ai primi anni Ottanta risale però un’altra vicenda assai meno nota. È quella del sequestro di un generale di brigata americano, vice-capo di stato maggiore della Nato nell’intera Europa meridionale, avvenuto a Verona pochi giorni prima del Natale 1981. Il suo nome è James Lee Dozier.
Era un anno “caldo”, il 1981, per i rapporti con l’Alleanza atlantica. A gennaio ha inizio la presidenza Reagan, che impone un cambio di strategia militare a livello globale. Alla fine di giugno si insedia il governo Spadolini, il primo dell’Italia repubblicana guidato da un politico non democristiano, ma anche apertamente filo-americano. Ad agosto, il governo italiano designa l’aeroporto di Comiso, in accordo con la Nato, quale sede dei missili di nuova generazione Cruise (gli “euromissili”).
Contro questa decisione, prima in Sicilia e poi, il 24 ottobre, a Roma, si svolgono grandi manifestazioni pacifiste volute in particolare dai movimenti extraparlamentari, dalla sinistra giovanile e dalle organizzazioni cattoliche. In questo clima, il 17 dicembre 1981, un commando delle Brigate Rosse fa irruzione nell’appartamento del generale Dozier e lo rapisce. È un’operazione eseguita nello stile del sequestro Moro, e se ne teme lo stesso esito. Ma si rivelerà – come titolerà un mese dopo “l’Unità” – “il colpo più duro alle BR”.
Una docu-serie Sky, andata in onda poche settimane fa, ripercorre nei dettagli questo episodio decisivo per la lotta al terrorismo di matrice brigatista: è Il sequestro Dozier. Un’operazione perfetta, scritta dal giornalista del “Corriere della Sera” Fulvio Bufi, dal produttore Davide Azzolini e dallo scrittore Massimiliano Virgilio, con la regia di Nicolangelo Gelormini. La “perfezione”, in realtà, si rivela alla fine della storia soltanto superficiale.
Non è perfetta l’operazione delle Brigate Rosse, perché al termine dei 42 giorni di sequestro l’organizzazione si ritroverà assai più debole e sostanzialmente decapitata. Ma non è perfetta neppure l’operazione di polizia che condurrà, in meno di un minuto, alla neutralizzazione del commando armato e alla liberazione del generale Dozier. Poco più di un anno dopo, infatti, a finire in tribunale saranno gli stessi componenti del reparto speciale del NOCS, le “teste di cuoio” intervenute nel covo brigatista. L’accusa sarà quella di aver esercitato violenze ai danni dei terroristi dopo il loro arresto.
Nella docu-serie vengono intervistati, oltre a Bufi, alcuni tra i principali protagonisti di quella vicenda: gli agenti del NOCS, ex militanti delle Brigate Rosse, l’ex ministro Vincenzo Scotti, l’ex sostituto procuratore di Padova Vittorio Borraccetti. Quest’ultimo si occupò del filone di indagini che portò all’incriminazione degli agenti del NOCS, al centro in particolare del quarto e ultimo episodio della serie. Ma il documentario mostrerebbe come violenze e torture fossero iniziate già pochi giorni dopo il sequestro. E svela il ruolo di un funzionario di polizia per molti anni conosciuto solo con il suo soprannome, che era tutto un programma: il professor De Tormentis.
La storia degli anni di piombo è costellata di figure di questo genere, appartenenti a diversi organi dello stato. E l’aura di mistero che le circonda è un elemento narrativo sempre molto utilizzato in lavori di ricerca (editoriali o audiovisivi). In questa vicenda, De Tormentis entra in scena pochi giorni dopo il sequestro, quando la pressione dell’amministrazione statunitense spinge la catena di comando delle istituzioni statali e delle forze di polizia a fare tutto il possibile per la liberazione di Dozier. Questo impegno si traduce anche nell’utilizzo di metodi estremi durante gli interrogatori: waterboarding, molestie sessuali, violenze fisiche e psicologiche, tutti confermati nel corso del tempo da diversi esponenti delle forze di polizia. Metodi che condussero in effetti un militante delle BR a svelare il covo in cui, a Padova, Dozier era tenuto in ostaggio.
La docu-serie Il sequestro Dozier fonda gran parte della sua inchiesta su De Tormentis, di cui solo una decina di anni fa è stata resa nota l’identità, e che è da poco scomparso. Ciò sacrifica forse altri aspetti della vicenda: le ricadute sui rapporti tra Italia e Stati Uniti, i ruoli di Reagan, Pertini e Spadolini, le posizioni dei partiti sulla linea della trattativa o della fermezza. Ma consente allo spettatore di arrivare preparato al dilemma conclusivo, espresso con chiarezza da un agente dei NOCS che liberò Dozier e dal giudice Borraccetti. Con il primo a rimarcare che “per noi era una guerra” e che, in fondo, “morti [per le torture] non ce ne sono stati”. E il secondo a rivendicare la necessità di quel processo contro le “teste di cuoio”, perché “il discrimine tra lo stato di diritto e chi lo stato di diritto combatte col delitto è proprio questo: che lo stato i diritti li rispetta”.
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Video e foto dall’Ufficio Stampa Sky.