Joker: solito film di supereroi oppure no?

Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo

Il genere cinecomic, nato qualche decennio fa, ha beneficiato negli ultimi tempi di una serie di congiunture socio-economiche che hanno provocato una crescita abnorme dell’industria a esso collegata: ogni anno sono prodotti decine di film tratti da fumetti il cui successo, annunciato in partenza, si rivela quasi sempre oltre le aspettative; gli incassi da capogiro sono incrementati da home-video e merchandising, e spesso i sequel vengono annunciati quando il film precedente è ancora in sala. Da film “per bambini” o al massimo per adolescenti, si è passati in breve a dar loro dignità pari a quella di pellicole ben più blasonate: Black Panther, ispirato a un eroe minore della Marvel, nel 2018 è stato candidato agli Oscar come miglior film accanto alle opere di Spike Lee e Alfonso Cuaròn. In un contesto simile mancava effettivamente un film in grado di sdoganare definitivamente il genere: l’onore e l’onere di questo compito sono toccati a Joker.

Uscito nei cinema il 3 ottobre, il film di Todd Phillips, interpretato da Joaquin Phoenix e ispirato alla più iconica nemesi di Batman è stato presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, dove ha vinto la Palma d’Oro per il miglior film; salutato dalla critica e dal pubblico come un vero e proprio capolavoro, Joker è stato in grado di ammantarsi rapidamente di un’aura da film cult, per certi versi maledetto: è notizia di pochi giorni fa il divieto, importato dagli USA, di andarlo a vedere muniti di maschere e/o armi giocattolo, in riferimento (con un certo dubbio gusto) ai tragici fatti del 2012, quando un pazzo vestito da Joker irruppe in una sala cinematografica alla prima di Batman – il Cavaliere Oscuro compiendo una strage. Con premesse di questo stampo ci si chiede quanto l’ambiguo entusiasmo per quest’opera sia giustificato.

Il film narra la tragedia personale di Arthur Fleck, miserabile omiciattolo affetto da una patologia neurologica che lo porta a emettere una risata incontrollata in contesti non adeguati; l’uomo tenta la carriera di comico, ma in una città come Gotham City, dove il disordine è la regola e i confini tra gli strati sociali sono netti e invalicabili, una persona come lui è destinata al continuo fallimento. Saranno proprio le vessazioni a cui è costantemente sottoposto, nonché un crescendo di eventi tragici e violenti, a fargli perdere il poco di senno a sua disposizione e a portarlo a indossare la maschera (pardon, il trucco) del Joker che tutti conosciamo.

A testimoniare quanto questo film sia diverso dai vari Avengers, Spider-Man e affini basterebbero i commenti delusi dei teenager a fine proiezione, i quali si aspettavano forse un prodotto usa e getta a base di effetti speciali, inquadrature ardite, battute enfatiche e armature scintillanti: nulla di tutto questo è presente in Joker, che invece è una storia estremamente adulta, drammatica e complessa che addirittura richiede una notevole partecipazione empatica e intellettiva da parte dello spettatore.

Joker Joaquin Phoenix
Joaquin Phoenix al Festival internazionale del cinema di Berlino del 2018. Foto di Diana Ringo, CC BY-SA 4.0

Joaquin Phoenix impersona magistralmente un uomo corrotto nello spirito e nel corpo, reso esausto da una vita squallida e inconcludente: subisce senza batter ciglio la violenza, parla con sé stesso, danza dopo aver commesso i crimini nei quali gradualmente troverà riscatto. Per mezzo di una regia che mette ossessivamente al centro dell’attenzione il protagonista e il suo punto di vista, si assiste a un’evoluzione lenta ma inesorabile, resa particolarmente evidente da trucco e fotografia che enfatizzano i tratti grotteschi di Fleck fino alla definitiva trasformazione. Il Joker di Phoenix molto deve, in termini di interpretazione, a quello di Jack Nicholson (apertamente citato in più di una scena) e a quello del compianto Heath Ledger; quasi del tutto assenti, oseremmo dire per fortuna, i riferimenti alla versione metal-punk di Jared Leto nell’evitabile Suicide Squad. La Gotham City di Joker, vero e proprio campo da gioco e di battaglia del personaggio, è una metropoli degli anni ’70-’80 lurida e buia, le cui strade sono sovraffollate e le case corrose e decadenti come la gente che vi cammina: impossibile non vedere in questo un paradigma, con le dovute esagerazioni, dei contrasti sociologici dei nostri tempi.

La parabola discendente di Arthur Fleck ricorda per certi versi lo psicodramma Requiem for a dream di Darren Aronofski: come nel film del 2000, anche qui è presente una costante sovrapposizione di follia e realtà tesa a disorientare lo spettatore. Per atmosfere e taglio registico, invece, il film è il compendio di un certo tipo di cinematografia in voga trenta o quaranta anni fa, che trova tra i suoi maggiori esponenti Martin Scorsese, il quale non a caso figura come produttore; la fedeltà a questi stilemi, tuttavia, risulta essere uno dei punti deboli della pellicola.

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Joaquin Phoenix in Joker. Foto Copyright Warner Bros.

Joker è infatti un film smaccatamente citazionista, nel quale praticamente ogni scena è un omaggio ad altre opere: i più rodati cinefili non faticheranno a trovare chiare reminiscenze di Taxi Driver o Shutter Island, ed è particolarmente evidente come Robert De Niro, forse l’unica altra star di questo film, interpreti sé stesso nel suo ruolo in Re per una notte. E questo solo per rimanere nell’ambito delle citazioni a Scorsese: non mancano riferimenti a Tim Burton o ad altri registi che si sono cimentati con l’universo di Batman, in un susseguirsi di richiami che sfiorano il calco vero e proprio. In un contesto del genere, Joker fatica a trovare una propria dimensione, e il tocco personale di Phillips quasi viene fagocitato dalla necessità di portare rispetto a cotanti archetipi.

La mancanza di coraggio è in effetti un’altra pecca di Joker: senza guastare troppo la festa, diremo che questo film avrebbe potuto rappresentare una ghiotta occasione per affrancarsi completamente dall’universo di Batman e forse addirittura dall’intero dal genere cinecomic, ma a conti fatti Phillips preferisce non uscire dalla propria comfort zone per rimanere forzatamente confinato tra le righe di quello che alla fine resta un blockbuster. Violenza, emozioni e pathos, che pure dovrebbero essere i pilastri di un film con questi toni, restano più che altro suggestioni, troppo standardizzati per risultare anche vagamente credibili. A questo, purtroppo, contribuisce un cast che per lo più si limita a fare bene i propri compiti e svanisce di fronte alla performance di Phoenix: lo stesso De Niro, a confronto, risulta poco in parte.

Di conseguenza, e questo è il principale difetto di Joker, il film fallisce nel trovare una sua identità: dallo psicodramma che vorrebbe essere, la storia vira decisamente verso un thriller drammatico, nel quale ciò che dovrebbe lasciare lo spettatore in dubbio anche dopo il finale è invece mostrato in maniera quasi del tutto palese. A far storcere ancora di più il naso sono poi alcuni notevoli buchi di sceneggiatura, per colpa dei quali alla fine numerosi conti, nell’ambito della macrotrama, non tornano come dovrebbero.

In definitiva, Joker scorre piacevolmente, induce a riflettere e presenta perfino dei lampi di genialità, che tuttavia non arrivano a farlo risplendere come un capolavoro: perché un film sia tale occorre il coraggio, la capacità di osare e stravolgere completamente i canoni del genere; Joker, semmai, ha il grande pregio di portare detti canoni a un nuovo livello tutto da esplorare, ma a parte questo rimane un film ben fatto, confezionato con cura e con un protagonista capace di catalizzare l’attenzione.

Joker
Locandina di Joker, Copyright Warner Bros.

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