DUE MOSTRE A PADOVA FANNO LUCE SU DUE PROTAGONISTI, TRA SETTE E OTTOCENTO, DELLA TRASFORMAZIONE URBANA DELLA CITTA’ E DEL SUO IMMAGINARIO VISIVO …INSIEME A QUELLO DI TANTE ALTRE MÈTE VENETE DEL NASCENTE “TURISMO”
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PIETRO CHEVALIER
Vedute di Padova e del Veneto nell’Ottocento
Musei Civici agli Eremitani 28 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
Disegnatore, incisore, giornalista e scrittore d’arte, attivo tra Venezia, Padova e Trieste,
PIETRO CHEVALIER- spirito innovatore e anticonformista – testimonia con le sue “guide turistiche” realtà urbane in evoluzione
ma anche nuove mode e nuovi riti nel passaggio dal Grand Tour al turismo moderno.
Immagini di Venezia, Padova, ma anche Vicenza, Cittadella, Possagno, la Rotonda di Palladio, Verona, Trieste, ecc.
È nel passaggio dal Grand Tour settecentesco, riservato alla giovane élite europea, alle prime forme di un “turismo” più diffuso, che s’inserisce la figura di Pietro Chevalier (Corfù 1795 – Padova 1864), disegnatore, incisore, giornalista e scrittore d’arte attivo tra Venezia, Padova e Trieste.
Egli fu partecipe di una nuova sensibilità nella rappresentazione dell’immagine urbana, legata certamente a una visione romantica,
ma anche a rinnovate dinamiche sociali, a nuovi modi di visita e di conoscenza delle città e a un mercato editoriale in evoluzione.
Come afferma l’Assessore alla Cultura Matteo Cavatton, “l’acquisto operato nel 1978 dal Comune di Padova di un nucleo consistente di disegni e stampe di Chevalier, grazie al determinante contributo dell’allora Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, permette di ricostruire – in una bella mostra ai Musei Civici agli Eremitani, dal 28 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017 – il processo creativo dell’artista, offrendo nel contempo un’interessante testimonianza dei principali monumenti e delle trasformazioni di Padova e di molte altre città venete nel XIX secolo”.
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Partecipe di un fenomeno ben più vasto italiano ed europeo, fatto di disegnatori, vedutisti e illustratori che andavano incontro alle esigenze di mercato, Chevalier nei suoi lavori diede spazio al romanticismo, al gusto popolare, allo storicismo, alla ripresa del Medioevo, ma fu attratto anche dall’esotismo, donandoci uno spaccato unico di realtà urbane in evoluzione e di un mondo che stava rapidamente cambiando. Il gusto orientalista, insieme allo spirito risorgimentale,
può richiamare alla memoria la più famosa esperienza di Ippolito Caffi.
Tra i discepoli prediletti di Giannanatonio Selva – titolare della cattedra di Architettura all’Accademia di Belle Arti a Venezia – Chevalier collaborò alla realizzazione de Le fabbriche più cospicue di Venezia, che uscì nel 1815-1820 a cura dello stesso stesso Selva, di Leopoldo Cicognara e di Antonio Diedo.
Nei fogli che riproducono le vedute veneziane più note, pur cercando spunti personali, appaiono ancora evidenti il richiamo alla tradizione e il debito del giovane nei confronti soprattutto di Luca Carlevarijs e Francesco Guardi.
Tuttavia il legame di Chevalier con la città lagunare si ripresenta in modo più originale in imprese come Porto franco. Città di Venezia
presumibilmente del 1831, Panorama di Venezia del 1836 (ristampa di Ricordi su Venezia del 1834), Annali urbani di Venezia di Mutinelli (1838) e Siti storici e monumentali (1838), in cui suggerirà al suo editore di dar conto al pubblico di luoghi meno noti e alternativi rispetto a quelli più famosi e conosciuti.
Negli anni venti, a Padova, Chevalier prestò la sua opera per gli editori Gamba – che dall’ottobre del 1811 avevano aperto una libreria in Piazza delle Erbe – per i quali disegnò, incise e scrisse; è allora che iniziarono a emergere la modernità del suo ruolo e la complessità della sua personalità artistica.
La raccolta Di alcuni principali edificj e situazioni delle provincie venete, pubblicata a Padova nel 1828 – Cittadella, Oliero, Possagno, Vicenza, la Rotonda di Palladio, Venezia, Verona e Padova sono alcuni dei luoghi rappresentati – ci mostra l’artista sotto un profilo inedito di illustratore e di autore dei testi che accompagnano le immagini.
“Scrive in un nuovo modo attento anche alle esigenze turistiche – spiega Davide Banzato, curatore della mostra insieme a Elisabetta Gastaldi e a Vincenza Cinzia Donvito – e dalle sue righe traspaiono conoscenze storiche adeguate a mettere a punto notizie sintetiche ma precise, spesso arricchite da non banali pareri personali”.
Nell’introduzione della raccolta, gli editori – ma è Chevalier che scrive per loro – individuano anche il “target” al quale l’opera è rivolta nel “colto pubblico” straniero o “amatore delle cose patrie” a cui si vuole offrire uno strumento agile, di pronta consultazione, senza ampie digressioni ma con testo succinto: è l’alta borghesia, quella che favorirà la nascita del turismo moderno.
A Padova Chevalier ebbe modo di addentrarsi in un terreno figurativamente molto meno indagato rispetto alla città lagunare, sottolineando soprattutto il richiamo romantico all’antico: scorrono davanti ai nostri occhi la Tomba di Antenore, il Santo, gli Eremitani, le porte cinquecentesche ecc.
Non manca l’orgoglio per le realizzazioni più recenti, poste su un piano non certo inferiore a quelle antiche nello sviluppo del tessuto abitato: Ospedale, Macello, Pedrocchi.
Il successivo Memorie architettoniche sui principali edificj della città di Padova, edito nel 1831, è strutturato in itinerari come una guida vera e propria e le immagini ne costituiscono il corredo.
Qui, come in N. 16 principali vedute della città di Padova pubblicate ancora prima sempre dai fratelli Gamba e nelle più tarde Vedute di Padova disegnate per Prosperini – in cui si possono apprezzare i progressi tecnici ed espressivi legati al nuovo strumento della litografia – Chevalier percorre una strada personale nell’intento di far conoscere l’unicità di Padova a un più vasto pubblico di nuovi viaggiatori colti e sensibili.
Veduta reale e veduta ideata ormai si mescolano, così come non mancano espedienti rappresentativi alla ricerca di grandiosità pur nella ridotta dimensione.
Chevalier è ormai consapevole dell’importanza del rapporto stretto tra figura e ambiente (le sue vedute sono spesso animate dalla fitta presenza di un’umanità variegata, intenta nelle più svariate attività) e del dialogo tra gli aspetti naturalistici e quelli monumentali.
Un approccio presente anche nella descrizione di altri luoghi del territorio del Veneto e dell’Italia del Nord, dove ebbe modo di viaggiare e risiedere, come nel caso di Trieste.
Nella città giuliana Pietro si trasferì nel 1840 e vi rimase fino al 1852 per poi fare ritorno a Padova. Erano anni inquieti
dal punto di vista politico e Chevalier non era tipo facile ai compromessi. A Trieste sviluppò soprattutto un’intensa attività editoriale, collaborando con numerose riviste e fondandone egli stesso di nuove, spesso usando lo pseudonimo Luca de Zaba.
Carattere non sempre conciliante con la politica o le lobby artistiche – come dimostra l’episodio in cui si rifiutò di modificare le bozze di una sua orazione (presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia) che non era piaciuta alla consorteria che allora teneva il dominio delle arti –
Chevalier vivrà gli ultimi anni in difficoltà.
Dell’attività del periodo padovano ricordiamo Un viaggetto da Venezia a Possagno per Padova, Vicenza, Bassano e ritorno per Treviso pubblicato nel 1860 dai Fratelli Gamba e Il territorio padovano illustrato di Andrea Gloria, primo direttore del Museo Civico di Padova, edito da Prosperini.
Molte delle tavole dell’opera, pur non firmate, grazie ai disegni esposti per la prima volta in questa mostra, possono essere infatti attribuite con certezza a Chevalier, dando conto della ormai sapiente simbiosi tra figura e scenografia: pensiamo alla Porta di Cittadella, a Montagnana, al Catajo, al Palazzo Vescovile di Luvigliano ecc.
Ancora una volta è Padova al centro delle sue attenzioni, la città di cui seppe, meglio di chiunque altro, interpretare l’anima
traducendo in bianco e nero l’unicità del suo passato. Concentrandosi sui luoghi della memoria ne alimentò e interpretò il mito, legandolo nel modo più compiuto alla realtà quotidiana.
L’esposizione, promossa dal Comune di Padova-Assessorato alla Cultura, è accompagnato da catalogo Skira e si svolge in contemporanea con la mostra” DOMENIO CERATO- Architettura a Padova nel secolo dei Lumi” a Palazzo Zuckermann
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DOMENICO CERATO
Architettura a Padova nel secolo dei Lumi
Palazzo Zuckermann – 28 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017
Architetto vicentino attivo soprattutto a Padova, DOMENICO CERATO ha segnato in modo decisivo l’aspetto della città arricchendola, con i suoi progetto innovativi – La Specola Astronomica, L’ospedale Giustinano e Prato della Valle – di nuovi simboli dell’identità urbana.
Accanto ai suoi disegni originali, taluni inediti, opere di contesto, da Canaletto a Piranesi, da Fossati a Subleyeras
L’opera di Domenico Cerato, architetto vicentino ma attivo soprattutto a Padova, ha segnato in modo decisivo l’aspetto della città.
A lui si devono infatti i progetti delle principali opere architettoniche del Settecento, come la sistemazione della Specola Astronomica,
la realizzazione del Prato della Valle e dell’Ospedale Giustinianeo.
Come afferma l’Assessore alla Cultura Matteo Cavatton: “Grazie ai suoi innovativi progetti anche la tradizionale identità di Padova risultò modificata, arricchendosi di nuovi simboli urbani, nuovi spazi nei quali ritrovare, affermare e divulgare la propria immagine.”
La mostra, promossa dal Comune di Padova – Assessorato alla Cultura, allestita a Palazzo Zuckermann dal 29 ottobre 2016 al 26 febbraio 2017 a cura di Vincenza Cinzia Donvito e Stefano Zaggia, rende esplicita questa trasformazione e la grande forza innovativa dell’attività di Cerato.
Accanto a una selezione di suoi disegni originali – taluni inediti – conservati presso la Biblioteca Civica, sono esposte opere di contesto da Canaletto a Francesco Piranesi, da Giorgio Fossati a Giuseppe Subleyeras – dipinti, affascinanti acquarelli, incisioni, volumi e stampe –
in grado di testimoniare l’evoluzione dell’immagine della città.
Il catalogo Skira che accompagna l’esposizione renderà noto l’intero corpus grafico dell’architetto di proprietà civica.
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Cerato fu interprete a Padova delle istanze funzionaliste in architettura propugnate da Carlo Lodoli, tramite le committenze dei
patrizi veneti Angelo Querini e Andrea Memmo, propugnatori dell’architettura come strumento di riforma socio-politica.
Il riferimento era l’élite culturale dell’illuminismo scientifico a Padova alla quale appartenevano anche il matematico Giovanni Poleni, con cui Cerato intrattenne rapporti epistolari, e Giuseppe Toaldo, astronomo, al quale fu legato da grande amicizia.
Occupatosi con spirito pragmatico della trasformazione della perduta Villa Querini ad Altichiero da modesta casa di campagna
in una sorta di manifesto degli ideali antiquari, artistici, scientifici e agronomici di Querini, Cerato usò lo stesso approccio per fondare a Padova nel 1766, come aveva fatto a Vicenza, una scuola privata di architettura.
Interveniva così nel dibattito sulla formazione dell’architetto chiamato a tener conto per esempio anche degli aspetti economici dell’edilizia. Stabilitosi a Padova ormai cinquantenne – ospite di Toaldo – gli viene chiesto di occuparsi della realizzazione di una moderna Specola astronomica che trasformasse radicalmente la Torlonga del Castello medievale. Ci vorrà un decennio per realizzare il suo progetto ma sarà un successo: Cerato e Toaldo abitarono nella casa per l’Astronomo e presso la Specola – “eretta a maggior lustro e vantaggio della cattedra d’astronomia” – Cerato vi avviò anche l’attività d’insegnamento, pensato sempre con un’impostazione eminentemente pratica “per tagliapietra, muratori e marangoni”.
La modernità della Specola fu subito compresa e la torre astronomica venne inserita nelle vedute antologiche della pianta di Giovanni Valle (1784), tra le Fabriche più considerabili della città nelle acqueforti di Francesco Belluco (1787) e tra i più rappresentativi edifici di Padova nelle Memorie di Chevalier, pubblicate dai Gamba.
Stessa cosa avvenne per l’ospedale commissionato da Andrea Memmo – con un enorme portato di innovazione e moderno funzionalismo – e per Prato della Valle.
In mostra, tra le varie documentazioni, vi è anche una gustosa rappresentazione dell’ospedale a lavori ancora in corso, disegnata da Daniele Danieletti con la direzione di Cerato: una rappresentazione animata da numerose figurette e forse realizzata in occasione della raccolta di fondi per sostenere l’impresa.
“Solidità, bellezza e comodità – scrive Brandolese nel 1795 – tre requisiti necessari alla perfezione di un fabbrica
(cosa difficilissima a combinarsi) pare s’abbiano qui a ritrovare: se così è, si potrà annoverare questo tra i più bei ospitali d’Italia
ed accrescerà celebrità al nome dell’abate Domenico Cerato, che ne fu l’autore”.
Quello della ricerca di finanziamenti e, diremmo oggi, del found raising era evidentemente un problema già sentito all’epoca e si ripeterà
anche per Prato della Valle: l’impresa di Cerato destinata al maggior successo nell’iconografia identitaria della città.
Lo sforzo dell’illuminato Andrea Memmo – provveditore straordinario di Padova dal 1775 al 1776 – per riqualificare e ammodernare la città, trova nel recupero morfologico e funzionale della zona depressa di Prato della Valle il suo momento più alto.
Memmo affida a Cerato il progetto, che doveva rispondere ad esigenze pratiche, sociali ed economiche insieme, con l’obiettivo di una piazza che fosse destinata a usi commerciali e di spettacolo ma anche di svago, sia per i cittadini che per i turisti.
Ma i fondi non bastano e dunque avvia il finanziamento delle statue da parte dei cittadini.
La bella veduta di Canaletto in mostra, del 1740, evidenzia la situazione antecedente l’intervento con l’area invasa dalle acque stagnanti mentre un’altra opera precedente al 1767 mostra la zona di pertinenza di Santa Giustina adibita a pascolo con abbeveratoi e canneti.
Diverse stampe testimoniano invece differenti stadi dell’intervento con l’inserimento anche di elementi progettuali non ancora realizzati.
Saranno due grandi carte, il disegno dell’architetto Subleyras e l’incisione di Piranesi, volute dallo stesso Memmo per gli amici, a mostrarci l’opera assai vicina alla definitiva realizzazione. Padova aveva un nuovo luogo simbolo per la propria identità urbana.
L’esposizione, promossa dal Comune di Padova-Assessorato alla Cultura, si svolge in contemporanea con la mostra ” PIETRO CHEVALIER – Vedute di Padova e del Veneto nell’Ottocento” ai Musei Civici agli Eremitani
Informazioni
PIETRO CHEVALIER VEDUTE DI PADOVA E DEL VENETO NELL’OTTOCENTO
28 ottobre 2016 | 26 febbraio 2017 Musei Civici agli Eremitani – piazza Eremitani 8
Orario 9-19, chiuso i lunedì non festivi, 25 e 26 dicembre, 1 gennaio
biglietti: solo Musei intero € 10; ridotto € 8, ridotto speciale € 6, scuole € 5 049 8204551
DOMENICO CERATO ARCHITETTURA A PADOVA NEL SECOLO DEI LUMI
28 ottobre 2016 | 26 febbraio 2017 Palazzo Zuckermann – Corso Garibaldi 33
Orario 10-19 chiuso i lunedì non festivi,25 e 26 dicembre, 1 gennaio
Ingresso libero 049 8205664
Ufficio Stampa Skira Editore