Apre per la prima volta al pubblico

l’area archeologica del Circo Massimo

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Apre per la prima volta al pubblico l’area archeologica del più grande edificio per lo spettacolo dell’antichità. Da giovedì 17 novembre l’importante area archeologica sarà aperta con ingresso da Piazza di Porta Capena. Viene dunque restituito alla città uno dei suoi luoghi simbolo, collegato dalla leggenda alle origini stesse di Roma. Dopo 2800 anni di avvenimenti e attraverso i suoi tesori oggi finalmente svelati, il Circo Massimo avvolgerà cittadini e turisti in una  suggestione senza tempo.

Fino all’11 dicembre dal martedì alla domenica dalle ore 10 alle 16 (ultimo ingresso ore 15); dal 12 dicembre il sabato e la domenica dalle 10 alle 16 (ultimo ingresso ore 15) e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608.

Con i 600 metri di lunghezza e 140 di larghezza, nel corso dei secoli ha vissuto innumerevoli trasformazioni. Qui fin dall’età regia si sono svolte manifestazioni pubbliche di ogni genere: competizioni ippiche, cacce con animali esotici, rappresentazioni teatrali, esecuzioni pubbliche, ma anche processioni religiose e trionfali. In seguito l’area è divenuta luogo di passaggio dell’acqua Mariana, ha ospitato coltivazioni agricole e mulini, è divenuta proprietà privata della famiglia Frangipane, cimitero degli Ebrei per poi ospitare, a partire dal XIX secolo, gli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni.

I lavori di riqualificazione ambientale e di musealizzazione dell’area, miranti al recupero del monumento nei suoi valori archeologici, storici e paesaggistici e all’ottimizzazione della sua accessibilità e fruibilità, sono stati condotti da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con l’Ufficio Città Storica, con il contributo tecnico di Zetema Progetto Cultura e realizzati dall’Impresa Celletti Costruzioni Generali.

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I LAVORI

Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.

È stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.

I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi – che dal ‘500 sono stati ricollocati in piazza S. Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo – e dotata di metae, i grandi segnacoli intorno ai quali giravano i carri.

I resti della spina sono stati localizzati in profondità (la pista romana si trova a oltre 5 metri di profondità rispetto all’attuale piano dell’area archeologica) attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

IL PERCORSO DI VISITA

I visitatori potranno accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si potranno percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si potranno osservare anche i resti delle latrine antiche. Si proseguirà sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.

Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre – Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.

L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo) su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progetto di consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.

I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

 
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SCHEDA INFO

AREA ARCHEOLOGICA CIRCO MASSIMO

Ingresso

piazza di Porta Capena

Orari

17 novembre – 11 dicembre

dal martedì alla domenica ore 10 – 16 (ultimo ingresso ore 15)

dal 12 dicembre

sabato e domenica ore 10 – 16 (ultimo ingresso ore 15)

e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608

Biglietti

intero 4 euro, ridotto 3 euro

Info

www.sovraintendenzaroma.it

tel 060608

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BREVI CENNI STORICI

Il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo dell’antichità e uno dei più grandi di tutti i tempi (600 m di lunghezza per 140 m di larghezza), è collegato dalla leggenda alle origini stesse della città: qui infatti in occasione dei giochi in onore di Conso ebbe luogo il ratto delle Sabine che segna uno dei primi importanti eventi della città di Roma. La prima sistemazione della Valle Murcia per adibirla a luogo per le corse dei carri risale all’epoca dei Tarquini, con sistemazione di spalti lignei; ma è solo con Giulio Cesare che sarà realizzato un vero e proprio edificio in muratura, la cui pianta è conservata, almeno parzialmente, nelle costruzioni successive. Nel Circo si svolgevano le gare di corse dei carri che, insieme ai giochi gladiatori, erano l’attività agonistica più amata dai Romani: i conduttori delle quadrighe diventavano ben presto personaggi idolatrati dal popolo di Roma. Poiché le quadrighe facevano capo a scuderie distinte in base ai colori (verde, azzurro, rosso, bianco) anche gli spettatori si dividevano sulle gradinate del circo in base al colore di appartenenza dei propri beniamini, che venivano incitati con cori e motti composti per l’occasione. L’ampio spazio del fondovalle si prestava anche a manifestazioni di vario tipo legate in ogni caso alla vita politica, sociale e religiosa della città, come manifestazioni trionfali, processioni, giochi gladiatori, cacce, pubbliche esecuzioni.

Devastato più volte dal fuoco, il Circo Massimo fu ricostruito quasi integralmente sotto il principato di Traiano, alla cui fase appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio attualmente visibili. Numerosissimi gli interventi degli imperatori successivi tra cui quello, spettacolare, dell’erezione del gigantesco obelisco portato a Roma da Costante II, ora al Laterano. Il circo rimase in attività, forse solo parzialmente, fino ai primi decenni del VI secolo. In seguito il grande invaso fu utilizzato come area agricola, proprietà privata dei Frangipane (1145), luogo di passaggio dell’acqua Mariana, cimitero degli Ebrei, per poi diventare a partire dal XIX secolo sede degli impianti del Gazometro, di magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del ‘900, quando si mette mano ai lavori per la passeggiata archeologica.

La monumentalizzazione dell’area fu realizzata negli anni ’30 contemporaneamente a grandi opere di scavo le quali, insieme a quelle attualmente in corso, hanno messo in luce buona parte dell’emiciclo e i resti dell’arco di Tito. L’area intorno alla torre (con il piccolo “quartiere” limitrofo) è smantellata, sono scavati gli ambienti dell’emiciclo e parzialmente restaurate le strutture emergenti. In seguito l’area è ceduta al Partito Nazionale Fascista, che la utilizza, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzano le grandi mostre degli anni 1937-40 (del tessile, del minerale, delle colonie estive). Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.

A partire dagli anni ’80 cominciano alcuni interventi di scavo e restauro, ma una nuova sistemazione dell’area archeologica prende avvio nel 2009 con gli interventi di ‘Riqualificazione ambientale’.

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IL CIRCO MASSIMO

Il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport di tutti i tempi, era un monumento grandioso in grado di ospitare alcune centinaia di migliaia di spettatori. Occupava gran parte dell’ampia valle che si allungava per oltre 600 metri tra i colli Palatino e Aventino, una zona in cui sin dall’età arcaica si svolgevano varie manifestazioni collegate ad antiche feste religiose. La tradizione attribuisce a Romolo l’istituzione delle prime competizioni ippiche in onore del dio Conso (Consualia) mentre risalgono ai Tarquini, gli ultimi re di Roma, i primi lavori di allestimento con la creazione di file di sedili lignei.

Durante il periodo repubblicano, la valle viene progressivamente sistemata con costruzioni ed attrezzature in parte stabili, configurandosi come il più grande spazio pubblico urbano dove poter svolgere competizioni ippiche ma anche processioni religiose e trionfali, cacce con animali esotici, rappresentazioni teatrali, pubbliche esecuzioni. Nel 329 a.C. furono costruiti in legno gli stalli da cui partivano i carri (carceres). Nel 170 a.C. sulla striscia centrale della pista i censori restaurarono le Mete (metae), cioè i segnacoli intorno ai quali giravano i carri ed installarono il meccanismo di conteggio dei giri (le ova), oltre a varie attrezzature connesse con i giochi. Questa zona centrale, spina o euripus, nel tempo si definisce come un lungo basamento rettilineo occupato da altari, statue, vasche, su cui Augusto ed in seguito Costanzo II faranno erigere due grandiosi obelischi fatti portare dall’Egitto. Il primo edificio in muratura viene fatto costruire da Cesare; di questo rimangono ancora visibili alcuni tratti di murature in opera reticolata incorporati nelle successive ricostruzioni. Nel corso della prima età imperiale il Circo subisce importanti trasformazioni ma anche danneggiamenti dovuti ad incendi fino a quando, alla fine del I secolo, l’edificio viene ricostruito ed inaugurato da Traiano con grandiosi giochi nel 103 d.C.

Il Circo di età imperiale aveva dimensioni notevolissime: era lungo circa m 600 e largo circa m 140, con i due lati lunghi raccordati al centro da un emiciclo su cui svettava il grande arco trionfale dedicato a Tito. Poteva contenere un numero molto alto di spettatori, le fonti antiche ci tramandano una capienza di circa 250.000 persone. In facciata il piano inferiore era su arcate ed i due superiori si presentavano chiusi da una parete piena con finestre. La struttura risultava seminterrata, con il piano della pista e di parte delle gradinate più bassi rispetto alla quota della strada esterna.

Nel II e III secolo d.C. il circo venne rinforzato con ulteriori murature costruite a supporto della facciata ma continuò ancora ad ingrandirsi e ad abbellirsi. Gli ultimi giochi nel Circo risalgono ai primi decenni del VI secolo. In seguito il grande ippodromo antico venne in gran parte demolito e depredato e l’enorme invaso sfruttato soprattutto per usi agricoli.

Lì l’immenso fianco del circo sfida la bellezza dei templi, degna sede del popolo vincitore del mondo, degno di esser visto non meno degli spettacoli ai quali in esso si assisterà.

Plinio, Paneg., 51

Le parti del circo

Nell’edificio di età imperiale si ritrovano, monumentalizzati, tutti quegli elementi religiosi e simbolici collegati alle origini circo ed alle antiche manifestazioni che si tenevano nella valle Murcia, una zona in cui si celebravano culti e cerimonie collegati alle principali fasi dei cicli agricoli.

Le parti costituenti il monumento erano le gradinate (cavea), con la parte alta costruita in legno, gli stalli di partenza dei carri (carceres) e la lunga e larga piattaforma rettangolare posta al centro della pista (spina o euripus), con due grandi segnacoli alle estremità (metae) la cui funzione principale era quella di delimitare internamente lo spazio delle corse. In questa striscia centrale erano collocati i più importanti sacelli ed altari dedicati alle divinità che fin dall’età arcaica sovrintendevano alle attività della valle, il più antico dei quali era l’altare sotterraneo dedicato a Conso. Tra il II ed il I sec. a.C. vengono predisposti i meccanismi per contare i giri di pista, le Ova ed i Delfini. Due grandi obelischi in granito rosso provenienti dall’Egitto furono posti da Augusto nel 10 a C. e nel 357 da Costanzo II. L’antico altare di Murcia, la divinità tutelare della valle, era ancora presente in età imperiale sulla pista, a ridosso del lato lungo sud occidentale.

Le gradinate erano suddivise in genere in quattro settori (dal basso in alto: ima, media, summa cavea e porticus in summa cavea) una suddivisione che corrisponde ad un razionale gestione del flusso degli spettatori, poiché i posti erano suddivisi in base alla posizione sociale.

Nel circo di età imperiale si ritrova un tempio dedicato al Sole sul versante del lato Aventino, sulle cui scalinate si posiziona il Tribunal dei giudici di gara, mentre di fronte, sul versante del colle Palatino, acquista forme monumentali il Pulvinar, una struttura a forma di tempio destinato ad ospitare le statue delle divinità che assistevano ai giochi portate in processione prima delle manifestazioni e adibito anche ad ospitare i membri della famiglia imperiale.

I cancelli da cui partivano i carri, carceres, erano disposti secondo una linea leggermente obliqua per dare a tutti i concorrenti le stesse opportunità e costituivano il limite del Circo verso il Tevere, mentre sul lato opposto, al centro dell’emiciclo, il grande arco di Tito, a tre fornici, valorizzava il passaggio delle processioni trionfali.

Le parti del Circo erano cariche di significati simbolici: le porte dei carceres erano 12 come i segni zodiacali e i mesi dell’anno, i quattro colori delle squadre erano in relazione alle stagioni, le Mete rappresentavano i confini dell’oriente e dell’occidente, i giri della corsa erano sette come i pianeti ed i giorni della settimana ed al sole, l’auriga celeste, erano dedicati anche i due grandi obelischi egizi.

Il Circo è dedicato in principal modo al sole; in mezzo infatti vi è un tempietto a quello dedicato e nella parte più alta di esso se ne vede l’immagine.. svariati sono gli ornamenti, diversi i tempietti quasi con i singoli attributi divini…in onore di Castore e di Polluce si riferiscono le Uova…. là si trovano dei delfini consacrati a Nettuno…Un obelisco di straordinaria grandezza è dedicato al Sole Conso se ne sta nascosto, sotto terra, presso le mète Murcie.

Tertulliano, De spectaculis, VIII

L’emiciclo

L’emiciclo orientale del Circo Massimo è un settore che risulta documentato anche nella antica pianta marmorea di Roma (Forma Urbis) e che si è parzialmente conservato fino al secolo scorso grazie all’utilizzo continuo nel tempo di alcune delle sue strutture. Gli scavi eseguiti nei primi decenni del ‘900 hanno messo in luce gli ambienti più esterni del circo: i sottili pilastri in peperino della facciata, le murature in mattoni a sostegno delle gradinate e la strada basolata che correva esternamente con una grande fontana pubblica. Nel 2011 è stato parzialmente scoperto l’edificio che si trovava oltre la strada, forse un magazzino (horreum) con alcuni locali, probabilmente botteghe (tabernae), che affacciavano sulla via.

Gli ambienti esterni attualmente visibili si ripetono in successione e sono disposti in funzione dei percorsi: alcuni sono dotati di scale diretti ai piani superiori, altri di passaggi diretti dal piano terra verso la parte più bassa delle gradinate (ima cavea) ed infine ci sono stanze aperte solo verso la strada utilizzate come botteghe (tabernae) che potevano essere suddivise al loro interno con tramezzi o piani rialzati in legno. Questi locali erano normalmente utilizzati per varie attività proprio per venire incontro alle necessità del numeroso pubblico che affluiva in occasione dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli. Le due gallerie interne superstiti, al piano terra ed al primo piano, distribuivano il flusso del pubblico diretto verso le gradinate (ima e media cavea). La parte superiore dell’edificio non è nota, ma a causa della fragilità di alcune strutture portanti possiamo ipotizzare un largo impiego di costruzioni in legno in molte sue parti.

E’ proprio questo il settore del circo da cui la notte del 18 luglio del 64, durante il principato di Nerone, si sviluppò il disastroso incendio che distrusse gran parte di Roma, come ci racconta lo storico Tacito: ebbe inizio dapprima in quella parte del Circo che è contigua ai colli Palatino e Celio, dove a causa delle botteghe piene di merci infiammabili, le fiamme divamparono violente e alimentate dal vento, in un baleno avvolsero il circo per tutta la sua lunghezza. Il Circo Massimo venne ricostruito da Traiano, a cui si attribuiscono le strutture attualmente visibili.

Nel corso del II e III secolo vengono addossaste ulteriori murature di supporto ancora visibili nei pilastri in mattoni, su cui si impostavano arcate di sostegno che invadevano anche la strada esterna. A partire dall’epoca tardo imperiale alcuni ambienti interni vennero trasformati, come testimoniano le murature in mattoni e tufelli (opus vittatum) che delimitano anche la fronte delle botteghe mentre successivamente la galleria esterna, ormai priva della pavimentazione originale, fu nuovamente pavimentata con basoli. Nella zona furono costruiti altri manufatti tra i quali due strutture idrauliche (condotti con pozzo) su cui si impostano successivamente, nuove imponenti murature realizzate con materiale di recupero.

Oggi il circo contiene tutta Roma e dal fragore che mi percuote la testa presumo che vinceranno i verdi. Se perdessero vedresti tutta la città mesta e smarrita … ma allo spettacolo vadano i giovani, a loro si addice far baccano, scommettere senza paura ed assediare le fanciulle.

Giovenale, XI, 197-202:

Perché cerchi invano di allontanarti? La linea che separa i posti ci costringe a stare uniti. Il circo con la sua legge offre questi vantaggi. Tu, però, chiunque tu sia che siedi alla sua destra, abbi riguardo per lei: ella è infastidita dal contatto con il tuo fianco; anche tu che occupi il posto alle nostre spalle, ritrai le gambe, se hai un po’ di rispetto e non fare pressioni sulla sua schiena con le tue dura ginocchia …

Ovidio, Amores, III

L’ARCO DI TITO

Le fonti antiche narrano che nel Circo Massimo esisteva già in età repubblicana un arco fatto costruire da Lucio Stertinio nel 196 a.C.; un altro arco venne fatto distruggere nel 68 d.C. da Nerone. Nell’81 d.C. nella parte curvilinea del Circo venne edificato un nuovo arco dedicato all’imperatore Tito, nell’anno della sua morte, dal Senato e dal Popolo Romano per la celebrazione della vittoria sui Giudei e la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C., come ricorda la lunga iscrizione che era incisa con lettere bronzee sull’attico e il cui testo è giunto fino a noi.

L’arco si trovava lungo il percorso del corteo trionfale organizzato dai generali e dagli imperatori vittoriosi al ritorno dalle campagne belliche; la processione prendeva avvio dal Campo Marzio ed entrava nel Circo Massimo sfilando nella pista e, passando sotto l’arco, si dirigeva fino al tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio. Il monumento è raffigurato sulla Forma Urbis e su rilievi, mosaici e su varie monete.

L’arco a tre fornici intercomunicanti, alto oltre 20 metri e largo circa 17 metri, era realizzato in marmo lunense e si presentava animato sulle fronti da quattro colonne scanalate alte circa 10 metri e da quattro lesene aderenti ai piloni. I capitelli corinzi erano alti m 1,15 circa. La fronte dell’arco era decorata con rilievi figurati e probabilmente anche con pannelli nel fornice centrale. Un fregio di minori dimensioni correva sulla trabeazione tra l’architrave e la cornice. L’attico era sormontato da una quadriga bronzea.

Nell’area restano visibili i tre piedistalli delle colonne dei fornici laterali con due basi delle colonne e i piedistalli retrostanti di due lesene. Sono anche conservati i blocchi in travertino di due piloni e frammenti dei fusti delle colonne scanalate.

In età tardoantica la zona fu interessata da un riutilizzo sistematico dei materiali dell’arco. Nel IX-X secolo avvenne un primo crollo degli elementi strutturali appartenenti alle parti alte del monumento; rimasero tuttavia in piedi ancora le colonne e qualche frammento della muratura, che poi vennero definitivamente distrutti al più tardi nel XII secolo quando anche le colonne furono fatte a pezzi e riutilizzate in nuove costruzioni.

Sulla terrazza della torre sono stati allestiti grandi frammenti architettonici pertinenti alla decorazione dell’Arco di Tito, rinvenuti per la maggior parte nelle indagini archeologiche degli anni 2014-2015.I frammenti, tutti intagliati nel marmo lunense estratto dalle cave di Carrara, appartengono alla decorazione della zona dell’attico e della trabeazione del monumento.

Sed iam pompa venit; linguis animisque favete, tempus adest plausus, Aurea pompa venit

Già comincia la sfilata, raccoglietevi e tacete, è il momento di applaudire. Avanza il corteo sfavillante d’oro

Ovidio, Amores III, 2, 43-44

Epigrafe

Nelle indagini archeologiche sono stati rivenuti frammenti della grande iscrizione a lettere bronzee che era incisa sull’attico ed il cui testo completo è giunto fino a noi grazie alla trascrizione che ne fece un pellegrino, l’Anonimo di Einsiedeln, nel IX secolo.

Due conservano rispettivamente la cornice inferiore e superiore che chiudeva lo specchio epigrafico, permettendo così un loro posizionamento quasi certo.

L’iscrizione ricorda la dedica dell’arco nell’81 d.C. da parte del Senato e del Popolo Romano all’imperatore Tito per celebrare il suo trionfo sui Giudei e la presa di Gerusalemme, avvenuta dieci anni prima. L’imperatore Tito è celebrato con grande enfasi come l’autore di un’impresa eccezionale, quale la sottomissione di Gerusalemme, già in passato tentata invano da tutti i condottieri, re, popoli.

Il Fornice XII

Il fornice XII, scavato nel 2014, presentava varie fasi di utilizzo legate ad attività commerciali attestate per lo più tra il III e IV secolo d.C.

L’ ambiente era chiuso sul retro con prospetto verso la strada ed in età tardo antica presentava il settore più interno occupato da almeno sei grandi recipienti, di varie dimensioni, seminterrati e disposti lungo le pareti. Di questi rimane solo la traccia dell’alloggiamento nel piano pavimentale. Lungo la parete settentrionale era presente un condotto fognario collegato da canale verticale ad una piccola latrina nella galleria superiore. Non è certa l’interpretazione di tale ambiente, utilizzato come bottega o forse anche come piccola ‘lavanderia’ artigianale (fullonica), un’attività commerciale in cui venivano lavati i tessuti con l’ausilio di materiali alcalini tra cui l’urina.

Dal riempimento del canale fognario sono state recuperate oltre un migliaio di monete di bronzo databili per lo più tra il III e IV secolo, una gran parte delle quali possono attribuirsi ad una deposizione intenzionale. Sono stati recuperati anche alcuni elementi di collana o bracciale in oro ed un fondo di una coppa di vetro con decorazione a filo d’oro che rappresenta un cavallo di nome NUMITOR con la palma della vittoria in bocca.

Colonne marmi colorati

In un settore dell’area archeologica di Circo Massimo sono state esposte una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici.

Le conquiste dell’Oriente ellenistico, della Grecia e dell’Africa (II a.C.), permisero a Roma di sfruttare le cave dei marmi bianchi e colorati situate all’interno di questi territori. A partire dall’età tardo repubblicana (I a.C.), i marmi bianchi pregiati e le pietre colorate vennero utilizzati su vasta scala sia nell’architettura pubblica che in quella privata. Questi materiali, essendo costosi e quindi rari, trasmettevano l’idea del potere, del prestigio e del lusso, che erano state prerogative in precedenza delle monarchie ellenistiche e che poi vennero fatte proprie dalla classe dirigente romana.La varietà dei marmi colorati usati per gli elementi architettonici del Circo Massimo restituisce un’idea della ricchezza della decorazione dell’edificio.

I GIOCHI NEL CIRCO

il popolo due cose soltanto ansioso desidera, il pane e i giochi del circo (panem et circenses)
Giov. X, 80-81

La valle Murcia, compresa tra i colli Palatino ed Aventino, fu fin dall’età protostorica sede di antichi culti e successivamente divenne lo spazio privilegiato per eventi di vario tipo: le processioni religiose, la pompa trionfale dei generali vittoriosi e i ludi circenses. Le corse dei carri erano lo spettacolo che più appassionava i romani: le loro origini si fanno risalire alle feste religiose che prevedevano durante lo svolgimento anche corse di cavalli. Nel tempo questi ludi si trasformarono in veri spettacoli che si svolgevano in strutture stabili ad essi interamente dedicate.

Lo spettacolo delle corse iniziava con il corteo (pompa) aperto da littori e trombettieri e seguito dal magistrato e da una processione in cui erano presenti anche gli aurighi e i sacerdoti, che scortavano le immagini delle divinità trasportate su portantine o su carri trainati da cavalli. Il corteo percorreva la pista girando intorno alla spina e terminando davanti al palco dell’imperatore, il pulvinar. I carri erano leggere strutture in legno a due ruote trainate da cavalli (solitamente quattro) e guidate dall’auriga: dovevano percorrere in senso antiorario sette giri di pista intorno alle metae, basi semicircolari poste alle estremità della spina. Su questa si trovavano le sette uova sacre ai Castori e i sette delfini sacri a Nettuno, che segnalavano al pubblico il numero dei giri compiuti dai carri. La maggiore difficoltà nella corsa consisteva nel momento in cui si aggirava la meta correndo a forte velocità, perché c’era il rischio che i carri si capovolgessero, causando anche incidenti spesso mortali. Per questo il cavallo di sinistra, funalis, era di solito il migliore.

Le squadre (factiones) erano quattro, distinte da diversi colori: bianco, rosso, verde, azzurro. Gli aurighi avevano la testa coperta da un caschetto e indossavano corti tuniche del colore della propria fazione, strette in vita da cinghie; tenevano le redini avvolte intorno al petto, con una mano stringevano le briglie e con l’altra la frusta. Portavano sempre con sé un pugnale con cui tagliare le redini in caso di incidente (naufragium).

L’auriga vincitore riceveva, oltre a corone e palme, anche cospicui premi in denaro e diveniva un vero e proprio beniamino delle folle, similmente ai moderni campioni dello sport. I veri protagonisti delle gare erano però i cavalli, la coda tenuta alta da uno stretto nodo e con i finimenti decorati in modo prezioso con borchie scintillanti, acclamati nel circo e famosi al punto tale che i loro nomi venivano trascritti sui mosaici, sulla pietra, sui muri, nelle coppe, sui bordi delle lampade e su lamine di bronzo. Le gare si susseguivano numerose durante la giornata ed erano anche accompagnate da giri di scommesse.

L’avvio della competizione era dato dal magistrato che lanciava dalla terrazza sopra gli stalli di partenza un fazzoletto.

L’ACQUA MARIANA

Nel corso del XII secolo la città fu dotata di un nuovo acquedotto in gran parte a cielo aperto, chiamato la Marana o Marrana in seguito anche Mariana. Il nome deriva probabilmente dal luogo presso cui nasceva – l’ager o fundus Maranus alle pendici dei colli albani. Si tratta del primo vero acquedotto medievale di Roma, talmente noto che in seguito il termine “marrana” nel linguaggio popolare è passato ad indicare tutti i fossi della campagna romana. La paternità dell’opera è attribuita al breve pontificato di Callisto II (11191124) egli derivò le acque per antiche condutture e lo condusse fino a Porta Asinaria; e lì fece approntare un lago per far abbeverare i cavalli e lungo lo stesso costruì anche molte piccole mole.

Il percorso L’intervento papale era destinato a risolvere le problematiche idriche del Laterano, anche in vista del Concilio del 1123. Da qui il corso d’acqua proseguiva costeggiando le mura Aureliane, vi entrava a Porta Metronia, quindi scendeva dietro di S. Sisto Vecchio nell’area dell’antico orto del monastero, dove erano due mulini (la Mola di Sopra e la Mola di Sotto). Superato il monastero di S. Maria in Tempulo, il fiume raggiungeva il Circo Massimo passando, nel fornice centrale dell’arco di Tito, sullo stesso tracciato di più antichi acquedotti postromani. Attraversata tutta la valle Murcia l’acqua serviva ancora le ultime tre mole presso S. Maria in Cosmedin, per gettarsi nel Tevere accanto alla Cloaca Massima.

Il sistema idraulico Dietro le colonne dell’arco si vedono i due condotti affiancati, ed il fondo pavimentato con scaglie di marmo, lava e materiali antichi di recupero. Le acque venivano in parte convogliate verso la valle ed in parte gestite attraverso un sistema di chiuse e cisterne ricavate in alcuni ambienti del circo in disuso. In questo modo si potevano irrigare gli orti, che ormai occupavano buona parte della pista romana, ormai coperta dal terreno, senza togliere forza motrice al mulino che si trovava presso la Torre Frangipane, conosciuta anche come Torre della Moletta.

Le piante A partire dal XV secolo il fosso della Mariana compare nella maggior parte delle piante e vedute di Roma, nel XVIII secolo lungo il suo percorso, circa 25 km, sono attestate tredici mole, molelle e valche utilizzate da numerosi opifici. Nel Circo questo passaggio e la possibilità di utilizzare l’acqua segnerà per secoli la destinazione d’uso della valle: si costruiranno appunto opifici e officine fino a quando l’intera valle si trasformerà in un’area industriale. Con l’avvento dell’energia elettrica, dopo il 1909, la Mariana, venendo meno l’uso energetico, sarà usata per scopi irrigui, fino alla definitiva copertura e deviazione del suo percorso urbano.

IL MULINO E LE MACINE

Il mulino. Nel XIII secolo è documentata la presenza di un mulino localizzato ai piedi della Torre, appartenente nel 1217 a Jacopa de’ Normanni de’ Settesoli, terziaria francescana e moglie di Graziano Frangipane de’ Settesoli, una pia donna tuttora famosa per aver ospitato nel suo Palazzo San Francesco d’Assisi. Allo stesso edificio fa ancora riferimento un documento del 1264 dove si apprende che tale Saracena Frangipane, vedova di Giovanni Frangipane, reclama i propri diritti di usufrutto su tutta la proprietà del fortilizio circense, compreso il mulino posto ai piedi di detta Torre. Un secondo mulino, denominato Mola di S. Gregorio, è documentato nella medesima area alla fine del XIV. La pianta di Roma di Mario Cartaro del 1576 restituisce l’immagine di una struttura in prossimità dell’emiciclo meridionale, dotata di una ruota dentata e posta lungo la Marrana. Interessante è anche la lettura della pianta di Roma di G.B. Falda del 1676, in cui si può osservare un canale d’acqua che attraversa la base della Torre per attivare, verosimilmente, una mola posta all’interno dell’edificio. Tale sistemazione della Torre sembra aver interessato l’edificio per un breve periodo, legato ad una temporanea deviazione del percorso principale del canale della Marrana. Stampe, disegni e dipinti posteriori, tra cui la pianta di G.B. Nolli del 1748, continuano ad evidenziare un passaggio di acqua nei pressi della Torre, che appare sempre incorporata all’interno di un complesso di edifici. Tuttavia, quando negli anni Trenta del Novecento, si è proceduto all’isolamento dell’edificio, tale intervento di “liberazione” ha rimosso anche le strutture pertinenti all’impianto molitorio, impedendone per sempre una puntuale ricostruzione.

Le macine. In un documento del 1266, si apprende che Saracena Frangipane è impegnata a vendere le macine del suo mulino, ormai in dismissione. Le mole erano considerate ingranaggi di grande valore all’interno della struttura produttiva, perché garantivano il corretto funzionamento dell’impianto e una molitura di qualità, quando sottoposte ad una costante manutenzione e ad un’adeguata martellatura della superficie. Non di rado, infatti, negli atti notarili si ricorreva a stimatori in grado di fissare l’esatto costo delle macine.

LA TORRE DELLA MOLETTA

Denominazione. All’estremità meridionale del Circo Massimo si trova una torre medievale variamente nota come Turris in capite circi (Torre in capo al Circo) dalla specifica ubicazione occupata all’interno dell’area, come Torre dell’Arco, dalla sua collocazione in prossimità del monumento trionfale a tre fornici, innalzato dall’imperatore Tito all’ingresso dell’Ippodromo, o, ancora, come Torre della Moletta, per la presenza di un mulino che le si addossò a partire dal XIII secolo fino agli anni Trenta del Novecento. La torre è anche conosciuta come Torre Frangipane, dal nome della nobile famiglia romana che, già insediata sul Palatino e nella zona del Velabro, alla metà del XII secolo volle estendere le sue proprietà verso il Circo, nell’area compresa tra il Settizodio Maggiore (pendici del Palatino) ed i resti dell’Arco, dove allora sorgeva un complesso fortificato appartenente ai monaci della chiesa di S. Gregorio al Celio. Il duraturo legame dei Frangipane con il sito portò il Casato ad assumere con il tempo il titolo di “de’ Settesoli”, corruzione medievale, insieme ai toponimi Septem solia e Septem via, dell’antico Settizodio. Non è casuale, dunque, che l’edificio sia ulteriormente menzionato come Torre de’ Settesoli.

Storia dell’edificio. Il primo documento noto relativo alla Torre è datato 18 marzo 1145; in esso si legge che l’abate del vicino monastero di S. Gregorio cede in locazione perpetua a Cencio Frangipane una torre, detta dell’Arco, insieme ad altre strutture ad essa pertinenti, tutte appartenenti ad un unico sistema difensivo di proprietà dei monaci di S. Gregorio. Fonti di archivio del XIII secolo, unitamente alla documentazione iconografica compresa tra il XV e il XVII secolo, informano anche dell’esistenza di un mulino che, addossato alla Torre, utilizzava l’acqua della Marrana, canalizzata e condotta nel Circo nel XII secolo. Intorno alla metà dell’Ottocento, con la profonda trasformazione del luogo, la Torre risulterà essere inglobata all’interno di numerose costruzioni. Negli anni Trenta del Novecento, nell’ambito di una riqualificazione della zona promossa dal Governatorato di Roma, si procederà ad un intervento di ristrutturazione della Torre che vedrà prioritario l’isolamento dell’edificio. Tuttavia, la “liberazione” della struttura ha inevitabilmente comportato la definitiva cancellazione di tutte le fasi storiche dello sviluppo del sito, impedendone per sempre una puntuale ricostruzione. Nell’odierno restauro la Torre è stata interessata da importanti operazioni, tra cui l’inserimento di una scala in ferro all’interno della struttura che ne consente l’accesso fino al livello superiore per una nuova fruibilità.

L’edificio. A pianta quadrata, è costituito da un paramento murario a blocchetti di tufo alternato a mattoni e a materiale marmoreo di recupero, largamente modificato in varie epoche, fino ad essere sostituito in alcune parti da intonaco. Il coronamento, a merli ghibellini e sporgente su beccatelli che sostengono archetti ciechi, anche se rimaneggiato nella ristrutturazione degli anni Trenta del Novecento, sembra suggerire stilisticamente un rifacimento collocabile tra il XIII e il XIV secolo. Non è da escludere la possibilità che la Torre venne “capitozzata” nel 1257, quando, oltre cento torri furono distrutte per ordine di Brancaleone degli Andalò, allora Senatore e Capitano del Popolo di Roma, che intraprese un’azione repressiva nei confronti dell’aristocrazia baronale.

IL CIRCO MASSIMO IN ETÀ MODERNA

La valle L’area rimase fino all’età moderna al di fuori della città adibita ad orti e campi irrigui, come appare nelle piante storiche. Nel 1587 per ordine di Sisto V vengono riportati alla luce i due grandi obelischi egizi che si trovavano al centro della pista e posti in Piazza del Popolo ed in P.zza S. Giovanni in Laterano. Dal 1645, alle pendici dell’ aventino, si impiantò il Cimitero Israelitico, alcuni cipressi ancora oggi ne indicano l’antica localizzazione.

La fase industriale La Compagnia Anglo-Romana dell’Illuminazione a Gaz nel 1854 realizzò, al centro della valle, il primo impianto per la produzione del gas per l’illuminazione pubblica. La collocazione fu scelta per motivi di salute della cittadinanza e per la presenza del corso dell’Acqua Mariana. La fabbrica si espanse fino a coprire circa due terzi dell’area mentre il settore sudorientale della valle veniva occupato da capannoni, magazzini ed opifici di vario genere. La zona verso il Tevere venne invece utilizzata, a partire dal 1870, dal pastificio Pantanella, la cui attività, interrotta da alcuni gravi incendi, venne trasferita nei primi decenni del ‘900 presso i locali di via Casilina.

La riscoperta Negli stessi anni vennero spostati anche i gasometri nella nuova area industriale cittadina lungo via Ostiense. Iniziarono quindi le sistemazioni viarie ed i lavori e per sgombrare le fabbriche, i casali e gli orti e riportare alla luce il settore meridionale dell’antico edificio. Tra il 1928 ed il 1936 venne scavato, ed in parte restaurato, il settore centrale ed orientale dell’emiciclo ma la presenza dell’acqua non permise il completamento delle indagini. Nel 1934 Antonio Munoz compì l’operazione di “isolamento” del monumento aprendo anche via del Circo Massimo, così realizzata per permettere la visuale della cupola di S. Pietro senza intaccare le strutture del Circo.

Le mostre Dal 1936 l’area del Circo Massimo fu concessa dal Governatorato al Partito Nazionale Fascista che iniziò ad utilizzarla come spazio espositivo con la “Mostra delle Colonie Estive e dell’assistenza all’infanzia”. I vari padiglioni erano associati anche ad attività culturali, sportive e sociali. Tra la fine del 1937 e l’inizio del 1938 vi fu ospitata la “Mostra del Tessile Nazionale” e successivamente la “Mostra Nazionale del Dopolavoro” con uno stabilimento balneare e tre piscine. L’ingresso fu monumentalizzato con statue colossali e prospettiva verso la stele di Axum. Dopo l’embargo per l’invasione dell’Etiopia il regime avviò una politica volta a propagandare l’autosufficienza produttiva che ebbe uno sbocco naturale nella “Mostra autarchica del minerale italiano” – in cui vennero ricostruite perfino cave e miniere. Il successo spinse poi a progettare il “Villaggio Circo Massimo”. Per la messa in opera dei vari settori furono costruite strutture permanenti, ma la situazione europea in guerra, contribuì, nell’aprile del 1940, al definitivo tramonto dell’iniziativa.

Le tracce L’impatto di molti di questi edifici sul monumento fu particolarmente devastante, settori dell’emiciclo e della spina furono obliterati da fondazioni e muri in cemento armato.

 
Testi e immagini dall’Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura

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