Il femminismo italiano di Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo è considerata una pioniera nell’ambito del femminismo italiano. La pubblicazione di Una Donna, nel 1906, attraverso cui si fece portavoce dei ruoli sociali e stereotipati attribuiti alle donne dell’epoca, le assicurerà una notorietà non indifferente, che Sibilla riconobbe accrescersi giorno per giorno. Emilio Cecchi, a tal proposito, scrisse:

Ella se ne guardò bene coltivando di preferenza i propri doni lirici, ella tentò e percorse, ancora felicemente, nuove strade più ardue e solitarie. E quel rifiuto di rifare l’eco a sé stessa resta una fondamentale riprova della sua serietà e sincerità.’[1]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
la copertina della precedente edizione Universale Economica Feltrinelli di Una donna, con prefazione di Anna Folli e postfazione di Emilio Cecchi. Foto di Cristina Stabile

L’utilizzo dello pseudonimo non fu una scelta del tutto casuale, ma il nuovo nome fu un segno importante per l’autrice. Una delle sue migliori amiche dell’epoca, Ersilia Majno, che l’aveva chiamata Rina Pierangeli, fu rimproverata dalla stessa autrice la quale sostenne:

Come mai ti salta in mente di risuscitare uno stato civile che non ha più ragione d’essere nella memoria d’alcuno? Anzi […] ti dirò che ormai voglio sia dimenticato anche il mio cognome di nascita, ed essere nominata e presentata esclusivamente come Sibilla Aleramo: la mia personalità non si esplicita più che a traverso questo nome.’[2]

Un gesto di rinuncia e al tempo stesso di rinascita quello attuato nei confronti del nome assunto grazie al padre (Faccio) e, successivamente, al marito (Pierangeli). Sibilla fu una donna unica nel suo genere, un’avida lettrice e con un temperamento che sembrava atemporale rispetto all’epoca in cui voleva tanto che anche Franco Matacotta l’accosta a una donna dell’Ottocento:

Ma, rispose Sibilla, accostando Ibsen e Nietzsche, “senza quella voce ottocentesca forse non sarei diventata quello che sono”. (Diario, 24 Novembre 1940)’ [3]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile

Sibilla Aleramo sfidò le norme sul genere femminile prevalenti all’interno della sua epoca, in favore di una ricerca di autorappresentazione artistica, il cui mezzo fu proprio la scrittura. Sulla scena letteraria si propose come esempio di una nuova femminilità: da un lato, quella della scrittura e dall’altro si pone cose come esempio della grande trasformazione che augurava coinvolgesse le sue contemporanee. Sul piano letterario, Aleramo sosteneva che la donna poteva dare una propria impronta all’arte, differenziando la sua voce da quella maschile e infondendo la propria visione di vita. L’idea di fondo dalla quale l’autrice partiva era proprio la differenza sessuale che comportava, sistematicamente, a una differenza stilistica. Il suo motto, Amo Dunque Sono[4], sono sintetizza l’amore che determina l’esistenza: l’amore auspicato riferito alla liberazione della donna.

Sibilla Aleramo (Firenze, 1917). Foto di ignoto, in pubblico dominio
Sibilla Aleramo (Firenze, 1917). Foto di ignoto, in pubblico dominio

Sibilla iniziò a interessarsi al femminismo scrivendo alcuni articoli che lei stessa inviava ad alcuni giornali e riviste locali. Per lei, la lotta femminista che stava iniziando a prendere vita in quegli anni non era del tutto giusta, in quanto essa garantiva diritti soltanto alle donne operaie lasciando la donna borghese in una condizione e posizione civile: senza diritto per poter sviluppare il proprio potenziale e senza mezzo per poter aspirare a un futuro equo. Nonostante il modo in cui il femminismo veniva interpretato in maniera generale, l’autrice ne aveva una buona opinione:

Credo fermamente che il femminismo sia una delle leve che rigenereranno il nostro vecchio mondo.’ [5]

E tale movimento diventò centrale per la sua identità di donna e di scrittrice. Nel suo programma di emancipazione, l’autrice ebbe modo di notare che gli ostacoli applicati alle donne provenivano da una doppia causa: l’istruzione inadeguata e la resistenza applicata dalle giovani donne borghesi, troppo insicure per prendere in mano il timone della loro vita. Immortalando sé stessa nella propria scrittura, l’Aleramo volle mostrarsi come esempio per tutte le donne, specialmente coloro delle generazioni future affinché trovassero il coraggio di ribellarsi e di condurre una vita che non le portasse soltanto ad un totale isolamento o a una estrema condizione di passività.

Sibilla Aleamo negli anni '50. Foto di ignoto, in pubblico dominio
Sibilla Aleramo negli anni ’50. Foto di ignoto, in pubblico dominio

Il romanzo Una Donna è scritto in prima persona, dove la protagonista delinea una sorta di via Crucis, un avvicendarsi di eventi infelici che non conducono a un lieto fine. Il romanzo si configura come

Documento umano che aveva voluto scrivere Rina gridava la verità; e l’urlo e il pianto arrivavano con una forza che era già in sé un valore estetico, espressiva tanto da tenere insieme il vissuto e il romanzesco. Tranne che nel finale, dove il dissidio interiore si spezzava nella decisione di partire, partire per sempre.’ [6]

All’interno del romanzo, diversi sono i prototipi femminili messi in risalto durante la narrazione: la donna maritata e la donna madre sono alcuni dei primi. Il matrimonio svolge uno dei punti chiave sulla quale si svolge tutto il romanzo. In primis, la protagonista presenta la relazione dei genitori, che si fonda su un tipico modello tradizionale che attribuiva alla donna il riconosciuto ruolo subordinato, passivo e debole.

Ma di tutto appariva responsabile la mamma, che reclinava il capo come se fosse colpita all’improvviso da una grande stanchezza, o sorrideva, d’un certo sorriso che non potevo sostenere, perché deformava la bella bocca rassegnata.’ [7]

La relazione tra i genitori è il tipico esempio da un rapporto non egualitario, nel quale il padre gode di tutti i diritti imposti dalla società e dalla libertà di poter esercitare la propria autorità, sostenuta da una società tutta al maschile. L’uomo rappresenta il dominus della casa, in posizione antitetica rispetto alla moglie che non replica mai, costantemente umiliata, finisce per configurarsi come donna docile, che ricopre il ruolo passivo della casalinga. Lo stesso matrimonio di Sibilla risulta un matrimonio di “dovere” in quanto quest’ultima subisce violenza dall’uomo che sarà costretta a sposare, per mettere a tacere le voci riguardanti la sua reputazione. L’abuso provoca in lei una sensazione di smarrimento che le fa scaturire una serie di interrogativi e dubbi. Quando viene stuprata, il futuro marito la considera come un oggetto privo di una propria identità, un qualcosa che può prendere quando lo desidera. Il matrimonio le comporta un abbandono della femminilità che aveva precedentemente rifiutato in direzione di un’inferiorità di genere che la porterà anche a non riconoscersi più. Da fanciulla giovane e loquace si trasformerà in sposa subordinata, dipendente completamente dal marito e dai suoceri ma, soprattutto, prigioniera di poter esprimere la propria voce. L’esperienza della sua maternità metterà in luce una critica che sarà lo spunto di riflessione del modello materno alla quale lei stessa aveva sempre guardato. Sibilla vive il ruolo di madre guidata da un senso di inadeguatezza del suo ruolo, sensazione che non lascerà mai anzi, si accentuerà quando sarà costretta alla clausura dal marito che la condurrà verso un tentato suicidio. È lì che parte la realizzazione di essere disposta ad abbandonare totalmente il figlio per poter vivere una libertà che le viene impedita. La decisione arriverà in seguito:

Imploravo in cuore: “Perdono, perdono figlio mio”. E a lungo restavo lì, china, senza parole attendendo per il piccolo essere il sonno pietoso, per me l’atonìa che segue la crisi.’[8]

La maternità diventa un sacrificio: sacrificare l’amore per il figlio, in cambio della propria libertà individuale. Al ruolo di madre finisce per preferire il ruolo di donna:

«Vado», gli dissi piano, «è già l’ora, sii buono, voglimi bene, io sarò sempre la tua mamma…» e lo baciai senza poter versare una lagrima, vacillando’[9]

Aprendo gli occhi verso la corrente femminista, realizza che gli spazi riservati alle donne sono piuttosto ristretti, confinati alla cura dei figli, alla cucina e alla chiesa. La solitudine, la vita confinata alla cura del figlio e quel sentimento di liberazione che diventa ancora più opprimente e insistente la porta a scrivere. Se teniamo conto che Una Donna rappresenta parte del vero vissuto dell’autrice, possiamo affermare che lei stessa ha compiuto il suo personale atto liberatorio, rivendicando il suo desiderio di esprimersi. È così che il romanzo si configura come una fuga, uno strumento salvifico redatto allo scopo di scacciare via l’inquietudine di quegli anni. La protagonista avverte una spinta verso la scrittura che diventa insistente:

E scrissi, per un’ora, per due, non so. Le parole fluivano, gravi, quasi solenni: si delineava il mio momento psicologico; chiedevo al dolore se poteva divenire fecondo; affermavo di ascoltare strani fermenti nel mio intelletto, come un presagio di una lontana fioritura. Non mai, in verità, avevo sentito di possedere una forza d’espressione così risoluta e una così acuta facoltà di analisi.’[10]

Sibilla Aleramo una donna Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile

La protagonista comprende che il movimento femminista è grande, ha potenzialità e potrebbe salvare non solo la sua anima ma anche quella delle donne postume. Sibilla finisce per incarnare la possibilità di uno spirito femminile di oltrepassare le barriere imposte dalla società patriarcale, che ha sempre costretto le donne all’isolamento, al cospetto del potere maschile. La sua diventa una rivendicazione verso sé stessa, tramite l’atto dell’abbandono sofferto e un messaggio alle donne del futuro:

Spetta alla donna rivendicare sé stessa, ch’ella sola può rivelare l’essenza vera della propria psiche, composta, si, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche di dignità umana”’[11]

Foto di Cristina Stabile
Foto di Cristina Stabile



Note: 

[1]  Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p.169.

[2] Sibilla Aleramo, Lettera di Sibilla Aleramo a Ersilia Majno, Roma, 3 dicembre 1907, in Archivio Majno, Fondo Ersilia Majno Bronzini, cart. XVII, b. 6.

[3] Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p. IX.

[4] Si tratta di un’opera della stessa autrice. È una raccolta del 1927, di circa quarantatré lettere scritte mai spedite a Giulio Parise. Si tratta di lettere che compongono una sorte di diario privato dell’autrice: vi sono raccolti i ricordi di una vita passata insieme, il racconto di giornate in attesa di Giulio (presentato con il falso nome di Luciano) con i sospiri e le speranze che determinerebbero un futuro incontro.

[5] Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019, p.VIII.

[6] Ivi, p. XIII.

[7] Ivi, p. 3.

[8] Ivi, p.152.

[9] Ivi, pp. 160-161.

[10] Ivi, p. 79.

[11] Ivi, p.118.

 

Bibliografia:

Sibilla Aleramo, Lettera di Sibilla Aleramo a Ersilia Majno, Roma, 3 dicembre 1907, in Archivio Majno, Fondo Ersilia Majno Bronzini.

Sibilla Aleramo, Una Donna, prefazione di Anna Folli, Universale Economica Feltrinelli, Roma, 2019.

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