LE CHIAVI DELLA CITTÀ NEI CAPOLAVORI DI PALAZZO MADAMA

Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica

Sala Senato

Piazza Castello – Torino

24 febbraio – 10 aprile 2023

Le chiavi della CittàPalazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica propone, dal 24 febbraio al 10 aprile 2023, un inedito sguardo sulle sue collezioni civiche e la loro storia attraverso una selezione di opere emblematiche, in un percorso che accompagna il visitatore da La porta della Città nella Corte Medievale a Le chiavi della Città nella Sala del Senato: chiavi reali e allegoriche, che consentono di aprire la porta di Torino e poi svelarne l’animo attraverso quanto nel tempo si è deciso di conservare, poiché le opere non vanno solo viste, ma anche guardate.

“Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”.

È questa la definizione di Museo approvata a Praga il 4 agosto 2022 dall’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM – International Council of Museums. Una definizione cui Palazzo Madama sta dando concreta applicazione con quanto programmato negli spazi della Corte Medievale e negli ambienti del piano nobile, in un processo di sviluppo di cittadinanza attiva iniziato nel 2022, che prosegue con progetti allestitivi, incontri e dialoghi a restituire il tessuto connettivo della Torino contemporanea, oltre a vedere la genesi di un preciso progetto espositivo in Sala Senato.

Il 4 giugno 1863 nasce il Museo Civico di Torino e fin dal 1878 gli viene dato un compito preciso: testimoniare la storia della città di Torino e la sua evoluzione nei millenni attraverso un percorso inevitabilmente intessuto sulla grande storia dell’artigianato artistico, quello che dà vita alle cosiddette arti applicate.

Se il percorso non può che principiare dall’elemento simbolico di questo passaggio – l’esposizione delle chiavi e della mazza della Città di Torino – da qui si procede in un racconto che intesse capolavori paradigmatici e opere che, pur essendo di rilievo assoluto, appaiono da secoli avvolte in una sorta di cono d’ombra, poco percepite nella loro eccezionalità.

Un viaggio dipanato dalle parole chiave della definizione di Museo dell’ICOM.

Ecco allora il Tesoro di Desana, abitualmente conservato nella Torre dei Tesori ipogea di Palazzo Madama: uno dei più straordinari complessi italici di gioielli del periodo posteriore al 476 d.C, capolavori fondamentali nell’evidenziare l’altissima qualità dell’arte europea allo spegnersi dell’epoca tardo antica, oltre che testimonianza della guerra fra Bisanzio e gli Ostrogoti, una delle tante microstorie che hanno fatto la Storia. Per quasi 1.400 anni sepolto, ritrovato arando un campo, e scoprendosi così l’amore tra un nobiluomo romano, Stefano, e una gentildonna ostrogota, Valatrudi: una coppia singolare, nell’Italia di Teodorico.

Segue la sala dedicata al Piacere, alla contemplazione e alla visione con la capacità di indagare l’Io, l’intima essenza dell’uomo di Antonello da Messina, artefice di un’opera che anticipa di una generazione i ritratti di Leonardo, segnando inequivocabilmente il valore di un’arte e le primogeniture d’invenzione e ruoli.

L’ambiente connesso al Ricercare è consacrato a Filippo Juvarra, artefice della trasformazione di Torino in capitale e qui protagonista attraverso una selezione dei 644 fogli in cui il grande architetto sviluppa costantemente ogni dettaglio, in uno studio che dalle prime idee e pensieri si articola in schizzi, rilievi e progetti che deflagrano in vedute di fantasia, scenografie e ornati. Si potranno ammirare il disegno della facciata di Palazzo Madama – ora oggetto di un complesso restauro – e i fogli dedicati alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, presentata con un magnifico modello in scala 1:500.

La sala dedicata al Collezionare è dedicata al principale artefice delle collezioni civiche e del loro preciso indirizzo nell’ottica di museo d’arti applicate: quell’Emanuele Taparelli d’Azeglio che, da ministro plenipotenziario italiano a Londra, ove sarà artefice della fondazione di club quali il Fine Arts Club e il celebre Burlington Club, rientrato a Torino donerà non solo le proprie raccolte di porcellane, maioliche e vetri dipinti e dorati, ma avrà la volontà di fare della propria passione privata una missione civile. Accanto alla sua figura quella di uno dei grandi donatori di opere extraeuropee: con Zaverio Calpini giunge a far parte delle collezioni del Museo Civico un formidabile nucleo di opere provenienti dagli stati messicani del Veracruz e del Tabasco, culla nel periodo pre-classico della ‘cultura-madre’ di tutta la Mesoamerica, capace con la sua arte di influenzare le successive civiltà dell’area. Un insieme che, al di là dell’eccezionale valore storico-artistico, pone oggi molte domande sul ruolo di un Museo civico occidentale, cui si sta cercando di dare risposta con i progetti in Corte Medievale.

Nella sezione successiva, quella dell’Educare, si è deciso di porre al centro l’ebanisteria piemontese del Settecento e la straordinaria fortuna delle opere di Pietro Piffetti, in cui perizia tecnica e fantasia inventiva si uniscono con risultati di estrema eleganza, mostrando quanto sia complessa l’esecuzione dei suoi capolavori e quale ruolo educativo abbia ancora la bottega. Si fa riferimento anche ai materiali usati dall’artista, narrando la provenienza dei legni, in molti casi esotici: dalle conchiglie importate dal Golfo Persico e dal Mar Rosso alla tartaruga dall’Oceano Indiano e dai Caraibi fino alla madreperla dalla costa occidentale dell’India.

La conclusione non può che essere in due sale: quella del Conservare, consacrata all’eccezionale figura di Vittorio Viale, uno tra i massimi direttori museali del Novecento – e alla sua tutela del patrimonio torinese –  giunto a salvaguardare le ringhiere cadute nei bombardamenti di Torino: capolavori esse stesse dell’arte del ferro piemontese; e quella del Condividere, del donare: poiché è sulle donazioni che si è fatto il Museo civico, cui è stata data un’anima da ogni cittadino, da ogni torinese che in esso ha visto il prosieguo della propria storia, della propria memoria, della propria identità.

 

INFO UTILI:

 

SEDE ESPOSITIVA E DATE
Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica
piazza Castello, Torino

24 febbraio – 10 aprile 2023

ORARI
Lunedì e da mercoledì a domenica: 10.00 – 18.00. Martedì chiuso
Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura

BIGLIETTI
Incluso nel biglietto di ingresso al museo: intero € 10,00 | ridotto € 8,00
Gratuito Abbonamento Musei e Torino+Piemonte card

INFORMAZIONI
[email protected]   – t. 011 4433501
www.palazzomadamatorino.it

PRENOTAZIONI
011 5211788 o via mail a [email protected]
PrevenditaTicketone.it

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LE SEZIONI

INTRODUZIONE

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale.

Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.

Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo

esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”

(Definizione di Museo approvata a Praga il 4 agosto 2022 dall’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM –

International Council of Museums)

4 giugno 1863, nasce il Museo Civico di Torino

Articolo 1. È istituito un museo civico per la conservazione e l’esposizione permanente delle raccolte infradescritte di proprietà municipale.

1° Di dipinti, scolture, ed incisione antiche e moderne, 2° Di oggetti d’arte di vario genere.

3° Di cose relative alle scienze naturali ed all’industria”

(dal Regolamento provvisorio per il Governo del Museo Civico, 2 marzo 1863)

Articolo 1. Il Museo civico consta di tre Collezioni:

La prima comprende la storia del lavoro nelle epoche remote (Collezione preistorica), e una collezione etnologica a complemento della medesima.

La seconda la storia del lavoro, a partire dal periodo bisantino, sino al principio del corrente secolo. La terza gli oggetti d’arte italiana moderna (Pittura, scultura, architettura, ecc.)”

(dal Regolamento del Museo Civico, 25 novembre 1878)

Le secentesche “chiavi in bronzo dorato che la Città di Torino presentava ai Sovrani al loro ingresso nella Città” risalgono all’epoca di Cristina, prima Madama Reale; la mazza cerimoniale della Città di Torino è invece realizzata nel 1814 da Luigi Dughet fondendo l’argento di “cucchiaini n. 28, cucchiari n. 21, forchette n. 22, cucchiaroni n. 1. Totale once 126. 7 e ½”. Una mazza dal profondo significato simbolico, poiché sancisce l’autorità del governo civico: nelle funzioni pubbliche era portata dall’usciere municipale, che precedeva il corpo dei decurioni, i cittadini scelti per svolgere insieme con il Sindaco le funzioni principali dell’amministrazione comunale.

Sono i simboli che la Città di Torino consegna a perpetua memoria al suo Museo Civico.

Luogo dell’identità, luogo di conservazione e rispetto.

SALA 1: ESPORRE

Nel 1938 Palazzo Madama acquisisce il Tesoro di Desana, uno dei più straordinari complessi italici di gioielli del periodo posteriore al 476 d.C. Questi capolavori, che gettano una fondamentale luce sugli atelier di orefici nel Mediterraneo tardoantico, furono scoperti in un nascondiglio nei pressi di una grande villa tardoromana, costruita nel IV secolo e rimasta in uso fino alla metà del VI secolo. Un tesoro preziosissimo anche nel suo testimoniare il matrimonio tra un nobile romano e una dama di origine germanica: quello Stefani(us) e quella Vatatru(d) i cui nomi appaiono su di una vera nuziale. E i cinquantun oggetti componenti il Tesoro sono testimonianza di questo incontro: dai nove cucchiai in argento con inciso il nome Gundila, di origine gota, all’anello con gemma e collana risalenti al II-III secolo d.C. per arrivare ai preziosi del regno di Teodorico, si mescolano complementi di vestiario e gioielli maschili e femminili in un insieme unico. Anche nella sua scoperta: l’intero patrimonio di questa importante famiglia sepolto tra il 538 e il 539, nel periodo della guerra fra Bisanzio e gli Ostrogoti, riportato alla luce dopo 1.400 anni d’oblio e finalmente esposto per la pubblica ammirazione.

SALA 2: PIACERE

Il fascino senza tempo dell’arte di Antonello da Messina, che si poneva in gara con i grandi padri dell’arte fiamminga. Non eccedere, ridurre al minimo il decoro delle vesti, concentrare massimamente l’attenzione nello sguardo e nell’espressione. Lavorare sull’ambiguità di un sorriso lievemente ironico. Sono le caratteristiche e le novità della ritrattistica del maestro, capace di costruire una sintesi psicologica, di restituire caratteri e personalità di uomini che divengono effigi assolute, in un’abilità che farà del siciliano uno dei più grandi ritrattisti di ogni tempo.

Come evidenzia nel Ritratto d’uomo (anche detto Ritratto Trivulzio), un’opera di singolare, potente e individualizzata perspicacia fisionomica. Un’immagine indimenticabile, un riassunto dell’uomo del Quattrocento italiano compiuto trent’anni prima, almeno, di un iconico sorriso cui infiniti commentatori l’accostano: quello, ovviamente, della Gioconda di Leonardo.

L’opera giunge per via matrimoniale dai Rinuccini di Firenze alla collezione milanese del marchese Giorgio Teodoro Trivulzio, dove è certamente dalla metà dell’Ottocento. Fa poi parte dell’acquisto previsto nel 1935 da parte della Città di Torino dell’intera collezione Trivulzio. È Benito Mussolini ad annullare l’accordo: la raccolta rimane al museo di Milano, ma Torino ottiene come indennizzo il codice delle Très Belles Heures de Notre-Dame e questo ritratto.

Per secoli Antonio de Antonio, Antonellus messaneus nell’autografia, è stato un mito. Appena otto decenni dopo la sua morte s’erano già perse tracce e documenti, restavano solo racconti e leggende. Sarà Giovanni Battista Cavalcaselle a ricostruire per primo una plausibile cronologia del grande messinese, solo fondata sul confronto e la visione diretta, circoscrivendo l’attività di un maestro che era stato pressoché ignorato per tre secoli. Antonello si forma, tra il 1445 e il 1455, tra la natìa Messina, crocevia e scalo commerciale delle rotte che solcavano il Mediterraneo e nel vivace clima culturale della corte aragonese di Napoli, città ricca di opere provenzali e nordiche di altissimo valore, con il maestro Colantonio. Fin da principio il suo percorso pittorico mostra un’articolata impaginazione spaziale gestita con completa padronanza degli effetti luministici e una rivoluzionaria resa psicologica dei personaggi che popolano le sue opere. Sarà poi il soggiorno veneziano, datato 1475-1476, a segnare un definitivo punto di non-ritorno per l’intera storia dell’arte italiana del XV e XVI secolo. È infatti l’incontro tra l’arte di Antonello, impregnata d’umori nord-europei e catalani, e l’ambiente figurativo veneziano, in primis Giovanni Bellini, a creare le premesse di capolavori nei quali caratteristiche tipicamente fiamminghe come la posa di tre quarti, il diaframma del parapetto a segnare la separazione tra effigiato e spettatore, il fondo scuro, si coniugano a una resa del dato psicologico inedita per acutezza di penetrazione.

Un’arte dalla parabola troppo breve, il 14 febbraio del 1479 il quarantanovenne Antonello facendo testamento; due mesi dopo egli risulta defunto, ponendo termine a una carriera artistica di straordinaria rilevanza, entro cui si condensarono con inedita coerenza e intensità, come raggi solari sotto l’effetto di una lente convergente, le diverse matrici culturali che si intrecciavano nel Mediterraneo in quell’epoca di splendore che fu il Quattrocento.

SALA 3: RICERCARE

Filippo Juvarra (Messina 1678 – Madrid 1736) è l’artefice della trasformazione di Torino in una capitale moderna. Chiamato da Vittorio Amedeo II nel 1714, sa elaborare nuovi progetti e reinterpretare gli edifici esistenti dando vita ad assoluti capolavori dell’architettura europea del Settecento. Juvarra è disegnatore fecondo e apprezzato già dai contemporanei, manifestando la sua abilità grafica nei pensieri, negli schizzi, nei rilievi, nei progetti come nei disegni di presentazione, negli studi dall’antico o nelle vedute di fantasia, nelle scenografie e nell’ornato. Ha l’abitudine di conservare gran parte della sua produzione grafica presso di sé, spesso raccogliendola in volumi.

Nelle collezioni di Palazzo Madama si conservano quattro album di disegni di Juvarra rilegati in pelle, su cui sono incollati – senza un apparente criterio tematico o cronologico – 644 fogli di vario genere, realizzati a matita, penna e acquerello tra il 1706 e il 1735. I primi due contengono progetti architettonici, vedute e scenografie; il terzo riunisce cento invenzioni di monumenti funerari di personaggi celebri della Roma di inizio secolo; il quarto raccoglie un vasto repertorio di motivi ornamentali, candelieri, vasi e soggetti allegorici.

I volumi si riconoscono in un inventario del 1764 dell’archivio privato di Carlo Emanuele III, che alla morte dell’architetto richiede tutto il materiale dell’eredità juvarriana, disegni compresi, trasmessa al fratello Francesco. Dopo le dispersioni degli anni napoleonici, gli album entrano in proprietà del conte Seissel d’Aix, per imboccare in seguito strade diverse. Il secondo e il quarto giungono in eredità alla Pia Casa del Cottolengo e nel 1921 vengono acquistati dal Museo Civico. Il primo e il terzo arrivano al marchese di Lesegno, che li vende alla biblioteca del Regio Politecnico di Torino e di qui, grazie all’intervento degli ingegneri Giovanni Angelo Reycend e Giovanni Chevalley, sono donati al museo con il preciso intento di riunirli agli altri e metterli a disposizione degli studiosi, in un’epoca in cui gli studi sul barocco piemontese suscitano grande interesse in ambito nazionale e internazionale.

Il disegno è lo strumento attraverso il quale Juvarra studia, progetta e comunica: al cantiere, agli allievi e al committente. Ogni schizzo sviluppa un’idea e diventa spunto per la definizione del progetto. Ne sono esempio, nel volume I, i pensieri iniziali dell’architetto per la palazzina di caccia di Stupinigi (1729), dalla prima idea della croce di Sant’Andrea fino al tracciamento del sistema geometrico complesso di linee e cerchi concentrici formato dalla residenza di caccia con i giardini, il borgo rurale, i fabbricati dei canili e il preesistente Castelvecchio. Juvarra studia ogni dettaglio, dagli elementi decorativi interni al coronamento del padiglione centrale, dalle porte ai capitelli, fino alle soluzioni tecniche per la copertura lignea dell’edificio, consentendoci di ripercorrere tutte le fasi del processo creativo. Varietà e capacità grafica che troviamo anche nei fogli sciolti presenti nelle collezioni di Palazzo Madama, tra i quali si trova il progetto della facciata di Palazzo Madama (1718).

SALA 4: COLLEZIONARE

Dopo il successo della Grande Esposizione del Crystal Palace del 1851 – creata per fornire esempi delle arti decorative del passato agli artigiani e ai designer – è il South Kensington Museum (ora Victoria and Albert Museum) a segnare la nascita dei musei d’arte applicata all’industria nell’Inghilterra della rivoluzione industriale. Sono gli anni in cui Emanuele d’Azeglio, ministro plenipotenziario italiano a Londra, emerge quale protagonista del vivace clima culturale che ruota intorno ai musei e al mercato dell’arte della capitale inglese. Nel dicembre del 1856 d’Azeglio propone a John Charles Robinson, conservatore del South Kensington, la fondazione di un club per amatori d’arte dedicato specificatamente alle arti decorative, il Fine Arts Club. Da esso, sempre per iniziativa di d’Azeglio, nascerà il celebre Burlington Club. A partire dal 1874 d’Azeglio trasferisce dalla residenza di Londra al Museo Civico di Torino le sue raccolte di porcellane, maioliche e vetri dipinti e dorati, nella convinzione la giovane istituzione debba trasformarsi in un museo di arti applicate sull’esempio inglese. Nella rara immagine in mostra di una delle riunioni del Fine Arts Club (1868), in cui i membri esponevano i loro recenti acquisti, si riconoscono alcune delle porcellane e maioliche appartenenti alla collezione d’Azeglio ora conservate a Palazzo Madama.

Nel 1876 d’Azeglio rientra a Torino, divenendo subito membro del comitato direttivo del Museo Civico, indirizzandone le acquisizioni. E già nel 1879 il sindaco Rignon gli propone la direzione dell’istituzione. D’Azeglio non colleziona più per sé ma per la comunità, per strutturare un patrimonio pubblico: la passione privata diviene una missione civile. Sotto la sua guida il museo cresce e muta: tralasciando l’arte preistorica, e rendendosi indipendente dalle scelte sull’arte moderna, si concentra sulla sezione “del lavoro artistico applicato all’industria”. La raccolta di arti decorative, considerate fondamentali per comprendere la storia dell’umanità e lo sviluppo dell’arte, si accresce a ritmi impressionanti con centinaia di acquisti e donazioni.

Tre le direttive principali – le ceramiche, i vetri e i tessuti – che determinano assetti ancora centrali nelle collezioni del Museo Civico: nel 2019 Palazzo Madama ha acquistato sul mercato antiquario una parte del prestigioso servizio in porcellana di Meissen appartenuto a Vittorio Amedeo II di Savoia– un dono inviato dal sovrano sassone Augusto il Forte nel 1725 – completando così proprio un’acquisizione promossa nel 1877 da Emanuele d’Azeglio.

Nel 1876 entra a far parte delle collezioni del Museo Civico una formidabile collezione di opere provenienti dagli stati messicani del Veracruz e del Tabasco, culla nel periodo pre-classico della ‘cultura-madre’ di tutta la Mesoamerica, capace con la sua arte di influenzare tutte le successive civiltà dell’area. È la raffinata cultura degli Olmechi che, fiorita a principiare dal IX secolo a.C., inciderà poi sul mondo di Teotihuacan e nelle culture Zapoteca, Maya, Tolteca e Mixteca-Puebla, di cui si presentano opere del tutto eccezionali quali lo squisito ornamento labiale in oro a forma di testa d’aquila. Un nucleo costituito dagli acquisti compiuti nel corso della lunga permanenza a Città del Messico, dove Zaverio Calpini aveva fondato la Casa Industriale Calpini, attiva nel commercio di strumenti ottici. Dell’insieme fanno parte strumenti musicali, statuette di idoli, urne, vasi e ornamenti preziosi che con atto di grande munificenza sono donati al Museo torinese divenendo esempio paradigmatico dei fondi provenienti dal collezionismo piemontese dedicato alle civiltà extraeuropee dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento.

SALA 5: EDUCARE

L’ebanisteria piemontese del Settecento deve la sua straordinaria fortuna alle opere di Pietro Piffetti, in cui perizia tecnica e fantasia inventiva si uniscono con risultati di estrema eleganza. Nato a Torino nel 1701, Piffetti completa la sua formazione a Roma nel terzo decennio del secolo frequentando gli ebanisti francesi attivi nella Città Eterna: Richard Le Brun, giunto in Toscana alla corte dei Medici intorno al 1683 e nel 1725 residente a Roma, e il più giovane Pierre Daneau. Questa fase strettamente legata al gusto nordico francese e fiammingo è rappresentata dal tavolo da muro con il piano intarsiato con un vaso di fiori tra rigogliose volute di foglie d’acanto, putti, mascheroni, nature morte e animali feroci alternati a composizioni di fiori. Un mazzo di carte a trompe l’oeil è gettato alla rinfusa sul bordo della composizione.

Al suo ritorno a Torino, nel 1731 Piffetti viene nominato ebanista di corte. Molti sono i lavori consegnati per le residenze sabaude, spesso seguendo le indicazioni di Filippo Juvarra e, dopo la sua partenza per Madrid nel 1735, sotto la guida del successore Benedetto Alfieri, orientato verso il più puro stile rocaille. La sua lunga carriera segna il passaggio dall’esuberanza del rococò al classicismo della seconda metà del XVIII secolo. Il tavolino con piano a trompe l’oeil di libri, carte e oggetti, proveniente dal Palazzo Reale di Torino, incarna questa semplificazione di forme, ma al tempo stesso si rivela molto raffinato nel simulare la presenza di oggetti ben precisi, allusivi all’educazione del giovane principe: il libro, versione italiana della Géographie des enfants di Nicolas Lenglet Du Fresnoy, scritta nel 1736 e tradotta nel 1738; l’incisione tratta dalle massime morali di Orazio illustrate da Otto Van Venius (Emblemata Horatiana, 1607), lo spartito di un brano del compositore parmense Alessandro Besozzi, primo oboe della Cappella reale di Torino; un rosario, un compasso, un coltello e alcune stelle a otto punte.

La presenza delle opere degli ebanisti piemontesi nelle collezioni del Museo Civico risale alla fine dell’Ottocento e va ricondotta, almeno inizialmente, alla cultura artistico-industriale che traccia la Storia del lavoro e fornisce i modelli per l’industria nascente. Le caratteristiche tecniche degli arredi, l’arte dell’intarsio e dell’intaglio, lo stile e le decorazioni diventano motivo di profondo interesse, anche in relazione alla trattatistica che accompagna la produzione con manuali dedicati ai materiali e alle lavorazioni. Luigi Prinotto e Pietro Piffetti si dimostrarono geniali inventori di arredi e pannelli intarsiati con legni pregiati, avorio, madreperla, tartaruga, osso e filettature in ottone. Ne rende qui testimonianza la cassetta di Prinotto realizzata nel 1730 su commissione di Carlo Emanuele III per contenere le medaglie raffiguranti la vita di Luigi XIV, appartenuta a Emanuele D’Azeglio.

I legni esotici hanno provenienze diverse: l’acero dall’Europa e dall’Asia Minore; l’amaranto dall’America centro-meridionale (Amazzonia e Guiane); il bosso dall’Europa centro-meridionale, dalla Turchia e dall’Oriente fino all’Himalaya; il ciliegio dal Caucaso e da tutta l’Europa; il mogano dal centro-America; il noce dall’Europa; l’olivo dall’Italia e dai paesi mediterranei; il pioppo dall’Europa centro-meridionale, dall’Asia occidentale e dal nord-Africa; il palissandro (nelle varietà definite bois de rose e bois de violette) dall’Etiopia, Madagascar, Mozambico e dall’India; il tiglio dall’Italia; l’ebano “diospyros” da Cina e Indonesia. Le conchiglie sono importate dal Golfo Persico e dal Mar Rosso, la tartaruga dall’Oceano Indiano e dai Caraibi, la madreperla dalla costa occidentale dell’India.

SALA 6: CONSERVARE

Il 13 agosto 1943 un’incursione aerea della Royal Air Force colpisce Palazzo Madama: una bomba incendiaria danneggia la volta dello Scalone juvarriano, crolla parte del Tempo nel medaglione centrale. È l’ennesima ingiurie inferta all’edificio simbolo di Torino, che solo il mese prima aveva visto andare in frantumi vetrate e cadere i soffitti in tre stanze. Se nei primi due anni di guerra Vittorio Viale, direttore del Museo Civico, pone in salvo raccolte e arredi, nulla può contro le incursioni dei bombardieri che lesionano le lesene scanalate e la copertura della facciata monumentale. Danni cui ora, a ottant’anni di distanza, il cantiere di restauro sta ponendo rimedio.

Viale è attento a proteggere tanto il consolidato patrimonio museale quanto quello civico, sempre pensando al futuro: le ringhiere qui esposte sono quelle da lui recuperate una a una, dopo i bombardamenti, nelle vie prospicenti Palazzo Madama. Una sensibilità bene espressa nella lettera indirizzata il 3 settembre 1943 a Lorenzo Rovere, suo predecessore alla guida del Museo: “[…] è una pena andare per Torino. Se puoi, evita di venirci perché ti farebbe impressione. Piazza San Carlo, la nostra bella piazza, è addirittura una rovina, una larga macerie. […] mi sono affannato con tutte le forze e il tempo che avevo a portare via roba e roba. Dai magazzini del Museo vengono sempre fuori tante cose, magari non importantissime, ma che rincresce non aver cercato di salvare, per quel culto delle cose vecchie che noi tutti portiamo in cuore”.

SALA 7: CONDIVIDERE

Un museo che non fa acquisizioni è un museo destinato a morire”. Questa frase di Pierre Rosenberg evidenzia bene una delle missioni fondamentali di ogni museo: acquisire per condividere. Ed è soprattutto il patrimonio delle istituzioni pubbliche che deve costantemente crescere, anno dopo anno: per poter testimoniare e tramandare la storia, l’arte e la cultura materiale dell’umanità.

È in quest’ottica che, nel 2004, Città di Torino e Regione Piemonte acquisirono il cofano del cardinale Guala Bicchieri, da due secoli in collezione privata: capolavoro straordinario de l’Oeuvre de Limoges e insieme testimonianza significativa del gusto “internazionale” di un committente vercellese del Duecento. Un’opera che costituisce, al di là del suo valore stilistico, un tassello imprescindibile per ricostruire la storia del Piemonte medievale.

Di questo capolavoro sono da poco apparsi sul mercato antiquario alcuni frammenti: cinque elementi decorativi in rame dorato e smalto, detti “staffe”, che originariamente ornavano il coperchio del cofano

Bicchieri. È ora nostro dovere evitare la dispersione di tali frammenti, assicurandoli al museo per ricongiungerli all’opera di cui fanno parte e da cui vennero sottratti tra il XV e il XIX secolo. E Palazzo Madama intende lanciare un crowdfunding destinato a questa importante acquisizione. A breve troverete tutte le indicazioni relative sul nostro sito: nella speranza possiate contribuire anche voi ad arricchire il museo della città.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Palazzo Madama

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