Acari, il romanzo corale, cesellato attraverso dei racconti di Giampaolo Rugo, mi è piaciuto così tanto che ho voluto coniare una nuova definizione di narrativa. Acari è un romanzo tegumentale, composto di più rivestimenti epidermici, e si lascia scarnificare fino a mettere a nudo ciò che si nasconde sotto l’epitelio. L’essere umano nella sua cloaca di sentimenti, emozioni, tradimenti e mostri invisibili. Come gli acari, assassini invisibili che rosicchiano micron di noi stessi.
Roma è un gigante pantagruelico, enorme e titanico e affamato di disastri umani. Il romanzo di Rugo fagocita ogni cosa, lo fa attraverso i fotogrammi di esistenze strampalate, bizzarre o forse normalissime, incatenate a un finto libero arbitrio che invece di salvare offre un ventaglio di condanne diverse. Non è semplice parlare di un romanzo polifonico modellato attraverso più narrazioni, si rischi di dire troppo, o troppo poco. Ma una cosa è certa, ogni personaggio è un portatore sano di sconfitte, tradimenti, idiosincrasie, traumi e amputazioni interiori. La Roma di Rugo è balzachiana, umorale e acida come ogni uomo sulla terra, ma incantata e comica come i ritratti della Commedia Umana dell’autore francese.
Seppur molti episodi raccontati rasentino un assurdo surrealista, ultracomico (perché grotteschi), Rugo con eleganza stilistica e una certa professionalità invece racconta qualcosa di ultrarealista, somministrando ai suoi lettori droghe letterarie a base di paradossi ironici, verve romana e il cinismo degli sconfitti. Degli ultimi.
Seppur Roma sia sempre presente, alla fine manca un orientamento, non meramente topografico o iconico, visivo. Rugo ci disorienta, è un narratore infedele che vuole farci perdere il senso delle cose, in questo spaesamento urbano e narrativo siamo come i protagonisti dei racconti. Persi, perduti, sacrificabili. Questa perdita del centro metropolitano è in parallelo alla destrutturazione delle coordinate narrative, perché i racconti sono legati ma non riusciamo a scorgere a quale fulcro essi gravitano. Lo scopriremo leggendo, rileggendo, forse spogliandoci della nostra stessa pelle, fino a sentire il silenzio degli acari.
In Acari, Giampaolo Rugo fonde malinconia e bellezza, struggimento e nonsense, incanto e perdita, dolcezza e morte. In questo gioco di specchi e istanze nostalgiche io sono riuscito a interrogarmi nuovamente sul significato di libertà. Mi sono risposto che raccontare significa non essere prigionieri.
Acari è l’ennesima scommessa vinta di Neo. Edizioni
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.