Santa Maria Donnaregina Vecchia: la leggenda che resiste al tempo
Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo
La leggenda di Donnalbina, Donna Romita, Donna Regina corre ancora per la lurida via di Mezzocannone, per le primitive rampe del Salvatore, per quella pacifica parte di Napoli vecchia che costeggia la Sapienza. Corre la leggenda per quelle vie, cade nel rigagnolo, si rialza, si eleva sino al cielo, discende, si attarda nelle umide e oscure navate delle chiese, mormora nei tristi giardini dei conventi, si disperde, si ritrova, si rinovella (…) Se volete, o miei lettori, io ve la narro.
La storia di Albina, Romita e Regina Toraldo, così com’è narrata da Matilde Serao nel suo Leggende Napoletane, sembra ambientarsi in una Napoli tetra e lurida: le tre sorelle, innamoratesi malauguratamente dello stesso uomo, pur di non ferire le altre prendono il velo e investono la dote nella fondazione di un proprio convento. Questi edifici trigemini, ancora esistenti nel centro storico della città, presero i loro nomi, diventando le chiese di Santa Maria Donnalbina, Santa Maria Donnaromita e Santa Maria Donnaregina.
Quest’ultima, in realtà ben più antica rispetto al XIII secolo romanzato dalla Serao, è la protagonista di una storia affascinante quanto una leggenda, che ha visto perfino la costruzione di un secondo edificio alle spalle del primo, denominato Donnaregina “Nuova”; è però la chiesa “Vecchia” che siamo andati a scoprire in un soleggiato sabato mattina, ben lontano dalle atmosfere oscure di Matilde Serao. Sarà la prima delle nostre tappe nel contesto di Open House Napoli.
Santa Maria Donnaregina Vecchia si trova a pochi metri dal Duomo di San Gennaro: teoricamente farebbe parte del percorso del Museo Diocesano, che ha sede nella chiesa Nuova; tuttavia, come ci spiega il giovane volontario Luca, “poiché nei locali del convento ha sede la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università di Napoli, non è visitabile nella sua interezza, e spesso risulta chiusa per motivi accademici”. È più frequente, dunque, che i visitatori si debbano limitare a sbirciarla dalle finestre del MADRE, il Museo di Arte Moderna che ha sede nel prospiciente Palazzo Donnaregina: “Molti pensano che questo palazzo sia l’antico convento, in realtà è un palazzo nobiliare così denominato per la vicinanza con la chiesa” dice Luca.
La visita ha inizio nel Chiostro dei Marmi, un’aggiunta settecentesca all’antica chiesa le cui forme attuali risalgono invece al ‘300: da qui possiamo ammirare la semplice facciata in stile gotico ormai quasi fagocitata da una palazzina privata costruita a ridosso dell’edificio. Sul piccolo rosone è possibile intravedere ciò che rimane dello stemma di Maria d’Ungheria, regina consorte di Napoli e principale benefattrice del convento: un’altra leggenda vuole che sia lei la “Donnaregina” che dà il nome alla chiesa.
“Carlo d’Angiò aveva destinato l’antico tempio qui presente a prigione” illustra Luca “ma fu Maria, dopo un terremoto, a voler rifondare il convento e a destinarlo alle monache clarisse, concedendo loro molte donazioni nel corso degli anni a seguire”.
Alla fine del ‘600 le clarisse vollero una nuova chiesa più grande e moderna, senza però distruggere la vecchia: Donnaregina Nuova fu dunque costruita alle spalle della Vecchia in posizione speculare; le absidi si toccano e un tempo era possibile accedere dall’una all’altra mediante un passaggio oggi scomparso, sostituito da alcune passatoie ai piani superiori del convento: solo uno dei molti interventi che nel corso dei secoli hanno modificato profondamente l’aspetto della chiesa, che oggi appare dimezzata nella lunghezza e quasi priva di decorazioni.
Oltrepassato un vestibolo ribassato scandito da volte a crociera, entriamo nell’unica navata maestosa e solenne: dalle tre altissime monofore absidali filtra una luce candida che riverbera sulle pareti quasi completamente spoglie se non per dei brani d’affresco che è possibile scorgere qua e là.
Sul lato sinistro del presbiterio è collocato il sepolcro che accoglie le spoglie di Maria d’Ungheria, vero capolavoro dell’arte gotica: impossibile non rimanere estasiati di fronte ai merletti di pietra, alle tessere in vetro blu del mosaico giunte intatte fino ai nostri giorni. Un vero miracolo, se si pensa che “il sepolcro è stato più volte spostato dalla chiesa vecchia alla nuova e viceversa, ma infine si decise di rispettare le volontà di Maria, che desiderava essere sepolta nella ‘sua’ chiesa”, narra Luca. La posizione del sepolcro non è tuttavia quella originale, poiché esso si trovava in una zona non più esistente, corrispondente grossomodo al Chiostro dei Marmi.
Non sono più a Donnaregina Vecchia, invece, i sepolcri della famiglia Loffredo, tenutari della cappella che si trova sul lato destro del presbiterio: nel piccolo ambiente permangono affreschi in ottimo stato di conservazione, i quali riflettono tanto il gusto giottesco in voga ai tempi della costruzione della chiesa, quanto gli stilemi bizantini ereditati dalla cultura partenopea.
Luca ci fa una piccola sorpresa e ci conduce ai piani superiori, sul Coro delle Monache, un ballatoio sorretto dalle crociere all’ingresso che si affaccia direttamente sull’abside. Qui le monache potevano assistere alle funzioni religiose senza venir meno alla clausura, che imponeva loro di rimanere separate dal resto del mondo; oggi qui la separazione non è più di casa, anzi: “il Coro è oggi adoperato come auditorium per eventi dell’università o, meno spesso, del Comune di Napoli” dice Luca indicando le file di sedie qui presenti, che fanno da contrappunto al prezioso coro ligneo in stile barocco proveniente dalla Basilica di San Lorenzo Maggiore, addossato al perimetro.
Quello che balza più agli occhi, tuttavia, è l’immenso ciclo di affreschi che si snoda lungo tutte le pareti laterali e di controfacciata: “Non sappiamo chi abbia realizzato questi affreschi, che risalgono ai primi decenni del ‘300” racconta la nostra guida “però sappiamo che in quegli anni a Napoli operò Giotto, che affrescò la Cappella Palatina del Maschio Angioino. È verosimile attribuire questi dipinti alla sua mano o, più realisticamente, a una scuola giottesca che doveva essersi impiantata in città”. Oggi il ciclo appare quasi del tutto color rame a causa di un incendio che distrusse la pellicola pittorica pochi anni dopo la realizzazione, ma tutte le scene sono perfettamente leggibili e non è certo andata perduta la sua monumentalità: la stessa di cui, in epoche remote, doveva essere rivestito l’intero complesso di Donnaregina Vecchia.
I visitatori scendono alla spicciolata: molti di loro saranno nuovamente nostri compagni di avventura in altri luoghi aperti in occasione di Open House. Ne approfittiamo per chiedere a Luca quali siano le sue aspettative circa questa iniziativa appena cominciata. “Abbiamo ricevuto tantissime prenotazioni” dichiara orgoglioso “questa prima visita è andata molto bene, anche se ero molto emozionato. È importante che la gente scopra luoghi lontani dai circuiti turistici, Napoli è piena di meraviglie che rimangono molto spesso chiuse al pubblico o ignorate. Spero che, alla fine di Open House, resti il ricordo e la volontà di salvaguardare questi luoghi”.
Quanto successo nei giorni seguenti darà ragione a questo ragazzo e a tutti gli altri che, muniti solo della propria passione, hanno reso la due giorni di Open House un’esperienza indimenticabile.
Tutte le foto sono di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo, ad eccezione di quella di anteprima dal sito di Open House Napoli.