Il conto di 819 giorni utilizzato dai Maya è – tra i cicli calendariali della popolazione mesoamericana – uno di quelli che maggiormente riuscivano ad eludere le spiegazioni degli studiosi. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Ancient Mesoamerica da John H. Linden e Victoria R. Bricker – entrambi dell’Università di Tulane (Stati Uniti d’America, Louisiana) – ritiene che le ragioni dietro il suddetto conto abbiano carattere astronomico.

In precedenza, la ricerca su questo conto era arrivata al punto di ritenere che lo stesso venisse utilizzato per cicli di quattro e con uno schema basato sui colori. Questo tuttavia non permetteva una sincronizzazione coi corpi celesti, dei loro periodi sinodici (cioè il tempo che un oggetto celeste impiega per ritornare nella stessa posizione del cielo rispetto al Sole).

John H. Linden e Victoria R. Bricker hanno invece considerato un ciclo di venti per il conto di 819 giorni (con una durata totale di circa 45 anni), dal quale emerge un pattern nel quale i periodi sinodici di tutti i pianeti visibili a occhio nudo compaiono per un numero intero di volte. E così Mercurio compare ad ogni ciclo, mentre Venere ogni cinque e Saturno ogni sei, Giove appare ogni 19 cicli e Marte ogni 20.

Secondo i due ricercatori, quindi, piuttosto che considerare singoli corpi celesti, col conto di 819 giorni i Maya cercavano un sistema calendariale che permettesse di effettuare predizioni, tenendo a mente i periodi sinodici di tutti i pianeti visibili a occhio nudo. In questo modo, i Maya potevano utilizzarlo anche in relazione a date importanti e festività.

Lo studio costituisce parte fondamentale di un ambito di ricerca di decenni che cerca di comprendere i diversi calendari Maya nella loro complessità.

Riferimenti bibliografici:

The Maya 819-Day Count and Planetary Astronomy, Ancient Mesoamerica (18-Apr-2023), DOI: 10.1017/S0956536122000323

The Caracol in Chichén Itzá astronomy Maya calendar 819-day count planets El Caracol (“la lumaca”), uno dei principali edifici a Chichén Itzá, ritenuto una sorta di osservatorio. Foto di Daniel SchwenCC BY-SA 4.0

Þegi þú, Týr, þú kunnir aldregi bera tilt með tveim; handar innar hægri mun ek hinnar geta, er þér sleit Fenrir frá.

Write A Comment

Pin It