Da puellae a nubendae. Il viaggio delle bambine ne La perla di Minerva – recensione con intervista all’autrice, Sofia Fiorini

La perla di Minerva, l’opera poetica di Sofia Fiorini uscita lo scorso settembre per La Noce d’Oro nella collana i Talismani, fonde immaginario classico e rituale in un percorso di formazione che assume la connotazione di un vero e proprio viaggio all’insegna del divino.

Per entrare con maggior consapevolezza nelle profondità nel mondo classico evocato dalla poetessa, sì da dare al lettore gli strumenti per godersi il più possibile il viaggio, abbiamo posto all’autrice Sofia Fiorini alcune domande.

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Leggi qui l’intervista a Sofia Fiorini

Sofia Fiorini La perla di Minerva La noce d'oro
l’opera poetica di Sofia Fiorini, La perla di Minerva, pubblicato da La Noce d’Oro (2023) nella collana i Talismani

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Due crepuscoli in un giorno –

questo non è il primo

Chi siamo noi per sopravvivere alla notte?

Allo scoccare dell’ora,

tra le rovine della nostra carrozza arancione

ci chiederanno il prezzo per il viaggio:

noi daremo le briciole in pegno

e diremo: «ora non lo abbiamo,

ma possiamo cercare nella terra dov’è l’oro».1

 

Ecco dove comincia il viaggio.

Ma cosa incontreranno lettore e protagonista lungo la via?

C’è una domanda a cui rispondere, dell’oro da cercare per andare avanti.

C’è un pozzo, dapprima vuoto, ma poi se si guarda bene si scorge un serpente aggrovigliato sul fondo.

C’è un io che diventa presto un noi, persona della condivisione per eccellenza.

C’è un destino che da secoli spinge le bambine romane fuori dai loro letti bianchi, fuori dalla loro purezza, per intraprendere il percorso che da bambine le farà diventare donne.

Ci sono delle bambine, infatti, che raggiungono quel pozzo vuoto e, in un tempo ciclico scandito da due crepuscoli quotidiani, mentre cercano l’oro necessario per continuare il viaggio, iniziano a cambiare pelle, proprio come è destinato a fare il serpente sul fondo del pozzo quando fa la muta.

C’è di mezzo una ginegonia, quindi, (dal greco γυνή, donna, e γένος, nascita) quella di Belladonna, la protagonista che diventa il noi e poi di nuovo un io, un io nuovo non più bambina, ma donna ormai nubenda, pronta ad andare in sposa e diventare nupta.

C’è Minerva, la dea lunare che protegge e guida Belladonna e, come lei, tutte le bambine sole nel proprio viaggio.

C’è anche una natura partecipe di quanto accade: una notte apparentemente insuperabile che incute timore, una luna dalla cui ricerca dipende la possibilità di avere la libertà, un rospo che sfida le bambine mettendone in discussione le abilità alchemiche, delle rane che prima rubano i sogni delle bambine e poi le benedicono, una rondine che contiene nel suo ventre la parola liberatrice, dell’acqua miracolosa con cui lavarsi e purificarsi.

E poi c’è la perla, quella che Minerva, in quanto protettrice e guida nel cambiamento di stato, dona prima che la torre richieda alla sua ospite un isolamento di cinque giorni che, alla luce delle connessioni con l’universo femminile, quello antropologico legato ai riti di passaggio e a quello religioso legato alla festa dedicata alla dea in epoca romana – i cosiddetti Quinquatria – non può in alcun modo apparire casuale. Piuttosto, ogni dettaglio, ogni elemento, ogni scelta lessicale dell’autrice rivela una costruzione poetica sapientemente studiata che si nutre di connessioni e rimandi simbolici e metaforici tanto all’immaginario antico quanto a quello sacro e a tratti persino fiabesco.

La perla di Minerva Francesca Barracca
l’opera poetica di Sofia Fiorini, La perla di Minerva, pubblicato da La Noce d’Oro (2023) nella collana i Talismani. Foto di Francesca Barracca

Insomma, ne La perla di Minerva c’è tutto quello che serve per entrare in una dimensione rituale fuori dal tempo e restarne intrappolati fino allo scioglimento finale che ne rivela rischi e conquiste.

Infatti, in un tempo dilatato che trasforma una prova della vita femminile in una vera e propria fiaba il rischio che corre tanto chi intraprende il percorso quanto chi legge è di perdere il contatto col divino. E forse è per questo che il viatico che apre la silloge e che, come suggerisce la stessa etimologia del termine, rappresenta proprio tutto ciò che è necessario portarsi dietro nel viaggio, invita a credere a tutto quanto si leggerà senza ricerca di logica, ma con la devozione di un rito che riporti il sacro nel mondo. Del resto,

C’è un anello «migliore delle gemme e

dell’oro». – quello di chi «si unirà al Divino».

È il pensiero.2

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l’opera poetica di Sofia Fiorini, La perla di Minerva, pubblicato da La Noce d’Oro (2023) nella collana i Talismani. Foto di Francesca Barracca

Di seguito, Sofia Fiorini ha risposto ad alcune domande.

Tra le connessioni presenti nella silloge, ce n’è una che lega la dea Minerva alla luna, una dimensione diversa da quella che le si è soliti attribuire in prima istanza e che forse meriterebbe qualche precisazione. Qual è, dunque, la relazione tra la dea Minerva e la luna?

Sulla connessione tra la luna e Minerva ricevetti un’intuizione – di cui si può parlare solo a quattr’occhi, davanti a qualcuno nel cui sguardo si legge che crederà a ciò che sta per ascoltare. Così recita il viatico della Perla di Minerva: “questo libro non è per gli increduli”. In questa sede si può spiegare, invece, come questa intuizione trovò conferma in alcuni studi. Illuminante a questo proposito fu per me un articolo – di cui sono debitrici anche le considerazioni che qui seguono – di Tiziano Cinaglia sulla connotazione lunare di Minerva3. Lì viene chiarito come l’aspetto lunare di Minerva non sia imputabile all’influenza greca di Atena, ma sia piuttosto un carattere arcaico italico occultato nel tempo. Ma la lunarità di Minerva – non un semplice attributo, ma vera e propria identificazione con l’astro lunare – si può rintracciare nella memoria della lingua.

Le prove di questa connotazione lunare sarebbero infatti, oltre che di natura letteraria (come l’accostamento di Minerva e Diana alla luna in alcune fonti romane) e archeologica (la prossimità tra templi di Diana, di Minerva e della dea Luna nell’antica topologia dell’Urbe), anche di natura etimologica. Le origini del teonimo Minerva – com’è evidente nella forma arcaica di Menerva – affonderebbero nel termine greco per indicare la luna (μήνη). In più, il nucleo del teonimo, la radice men, è condivisa anche dal latino mens (mente), oltre che da mensis (mese): Minerva è colei che sa contare il tempo perché lo scandisce tramite l’astro lunare, è in questo senso la dea dotta, è colei che sovrintende al ciclo femminile – altra parola con cui Minerva, dea menstruationis, condivide la radice del suo nome.

Partendo da ciò, qual è la relazione tra Minerva e la luna nel libro?

L’ipotesi dell’identificazione di Minerva con l’astro lunare è quella che viene sposata nella storia di Belladonna. Ma non è l’unica che lì interessa: Minerva non cessa di essere la dea della mente – e anzi la capacità alta, divina, del pensiero è forse il suo primo attributo. Mentre la Luna è una, la più lampante, delle sue manifestazioni. L’iconografia della dea, così come emerge da questo libro, si avvicina moltissimo a quella della Minerva Tritonia (la cui statua del V sec a.C. è conservata al museo archeologico di Lavinium). Connessa a questa rappresentazione arcaica è un’altra particolarità di Minerva, un altro tratto non imputabile all’influenza greca: oltre ai crescenti lunari incisi sullo scudo, al Tritone che la affianca, la sua mano è immortalata nell’atto di stringere una serpe. La decorazione a serpentelli rimanda alla connotazione ctonia di questa divinità, spesso dimenticata. Ma Belladonna se ne ricorda. La serpe che sentiva sibilare nel fondo del suo pozzo l’ha condotta ad incontrarla.

Lavinio – Museo Archeologico, statua in terracotta policroma di Minerva Tritonia del V secolo A.C (particolare). Foto di Paolofortis, CC BY-SA 4.0

L’altra connessione che appare evidente è quella stabilita tra cinque giorni di isolamento cui sono costrette le fanciulle e i cosiddetti Quinquatria romani. Puoi spiegarci che cos’erano e il significato che assumono all’interno della raccolta e della vicenda delle fanciulle?

Sembra che agli albori, nella società romana, l’isolamento in un bosco sacro al di fuori del perimetro della città ritualizzasse la comparsa del menarca per le giovani, il momento del passaggio di stato in cui le bambine diventavano nubende. Il quinto giorno sarebbe stato quello in cui Minerva assodava la fine del ciclo e quindi la loro trasformazione in donne. La festa del Quinquatrus ha poi irrigidito questo rito di passaggio inserendolo nel calendario e istituendo una data fissa (il quinto giorno dopo il plenilunio) e pubblica per la sua celebrazione. In tal senso, la lunarità era carattere fondante dei cinque giorni che intercorrevano tra il 15 di marzo, giorno della prima luna piena dell’anno arcaico, e il 19 marzo.

Ne La Perla di Minerva, dopo una serie indeterminata di giorni passati a vagare in questa non altrimenti connotata “pianura di fumo” e a dormire in un “pozzo vuoto”, Belladonna, protagonista del viaggio iniziatico, entra in contatto con Minerva-Luna che, guidandola sotto la sua tutela, le intima di iniziare un periodo di isolamento di cinque giorni, al termine del quale la bambina sarà diventata donna. Ma, in realtà, Belladonna non è una bambina, e nemmeno più un’adolescente. Le vere bambine sono quelle citate nella prima sezione del libro, le ragazze vicine al menarca – mentre lei è solo una bambina troppo cresciuta, bloccata da troppo tempo nel limbo sbagliato. La condizione dell’adolescenza – qui non intesa altrimenti che come preambolo che ritarda l’età adulta – si protrae senza felicità in un’attesa sterile. Almeno fino a quado Belladonna non rompe la legge ed esce dal pozzo: è allora che iniziano i suoi cinque giorni. L’aspirazione di Belladonna a diventare nupta, dunque, è solo una metafora che servendosi del paradigma antico guarda più lontano. L’anello a cui lei aspira, ciò che per lei significa diventare adulta, trascende l’anello nuziale.

La silloge si apre con una citazione tratta da una poesia di Emily Dickinson: “only the keeper of this ring conquer the mortality”. Alla luce delle riflessioni sul rapporto con il divino finora svolte, si è trattato di una scelta ragionata e finalizzata a veicolare un messaggio di fondo?

Solo chi si aggiudicherà questo anello può sconfiggere la mortalità” dice la poesia. L’anello è un simbolo e come tale contiene più significati all’interno del suo cerchio. Il testo da cui sono tratti i versi di Dickinson è una poesia religiosa, una delle sue poesie più cattoliche, meno dickinsoniane. L’anello della sua poesia è simbolo di fede religiosa – ed è l’unico anello, segnala polemicamente l’only di inizio verso – che dia accesso a una qualche eternità, al contrario dell’anello nuziale, che se aspira alla continuità del legame tra due, non ha armi contro la morte. Anzi, nelle parole della liturgia nuziale, com’è noto, è proprio la morte il limite del patto sugellato dagli amanti. Solo il legame con il divino sconfigge la morte. Ed è a questo legame che aspira Belladonna nel suo cammino iniziatico, questo l’oggetto della sua ricerca.

In tutto il libro c’è un gioco di ambiguità lessicale tra la fede come anello nuziale e la fede come credenza religiosa. “Per le giovani romane/ c’era un solo modo di diventare donne/ convolare a nozze” – dice Belladonna mentre leva la sua preghiera a Minerva. Le giovani romane avevano ancora accesso ai riti di passaggio, riti che però le portavano a cristallizzarsi nell’unico ruolo che la società prevedeva per loro: quello di mogli, meglio se univirae. Ma intanto avevano il rito, che noi abbiamo perso. Belladonna vuole riappropriarsi del rito, ma insieme schivare quel paradigma tanto rigido. “Con o senza nozze”, quello che Belladonna chiede a Minerva è “il coraggio della notte”. Che cosa significhi “diventare grande” per lei è scritto, in codice, nelle ultime pagine del libro, e l’epigrafe di Dickinson ne è la chiave. Quindi qui mi taccio: non voglio rovinare al lettore il compito di aprire questa porta con la sua propria mano.

l’opera poetica di Sofia Fiorini, La perla di Minerva, pubblicato da La Noce d’Oro (2023) nella collana i Talismani. Foto di Francesca Barracca

Note:

1 S. Fiorini, La perla di Minerva, La Noce D’oro, 2023, p.16

2 Ivi, p. 100.

3 Minerva et Diana, quas ais pariter colendas ovvero, la connotazione lunare di Minerva, Tiziano Cinaglia, in “Dialogues d’histoire ancienne 2019/2 (45/2)”, pp. 197-236: https://www.cairn.info/revue-dialogues-d-histoire-ancienne-2019-2-page-197.htm?ref=doi#re1no1

Lì si legge: “Diana e Luna traggono i loro teonimi entrambe da radici indo-europee che significano la luminosità e la brillantezza dell’astro notturno […] Minerva al contrario non è dea lunare perché la sua essenza divina promana dalla luce dell’astro notturno, bensì lo è in quanto dea ‘che computa per mezzo della luna’”.

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