Alessandro Barbero, Le ateniesi – recensione

Quando si parla di Atene e del suo imperium si resta quasi basiti dinanzi alla grandezza ed efficienza del suo governo democratico, soprattutto se si esamina l’età classica, ovvero il periodo più ricco e prolifico, sia dal punto di vista socio-politico che letterario. Ma anche Atene, alla pari delle altre città-stato, non era esente da storture e da una politica non in linea con i dettami democratici.

Nel romanzo Le ateniesi di Alessandro Barbero (Mondadori 2015) si ha la possibilità di esaminare proprio quelle storture che rendono Atene una città-stato comune e non idealizzata.

Alessandro Barbero al Festival della Comunicazione di Camogli (2015). Foto di Alessio Jacona, Festival della Comunicazione. CC BY-SA 2.0

Lo storico medievista mette in scena tre storie differenti che, ambientate in un periodo cruciale della storia ateniese del V a.C., il 411 a.C., tracciano uno spaccato della realtà dell’Atene di epoca classica.

Il 411 a.C. è, si potrebbe dire, un anno ‘spartiacque’ che vede Atene lacerata dal conflitto peloponnesiaco e distrutta dall’infelice spedizione siciliana e, ancor prima, dalla sciagurata sconfitta a Mantinea nel 418 a.C. Ma il 411 a.C. è anche l’anno del tentativo di colpo di stato, organizzato da un esiguo numero di ricchi oligarchi, teso ad abbattere il governo democratico, ormai obsoleto, in favore di una nuova forza politica potenzialmente garante di una maggiore stabilità imperiale: l’oligarchia.

Proprio il golpe oligarchico è alla base di una delle tre storie raccontate nel romanzo. Nei primi capitoli, Barbero, dopo aver presentato i personaggi principali del racconto, mette in scena un lussuoso banchetto, a casa di Eubulo, un ricco ateniese, cui prendono parte i più ragguardevoli tra gli antidemocratici del tempo, tra questi Crizia, personaggio emblematico e zio di Platone. Durante la lussuosa cena, i diversi convitati discutono sulla fattibilità del colpo di stato oligarchico e su come convincere il popolo ateniese dell’impraticabilità della democrazia. Con l’aiuto di Crizia, Eubulo, personaggio sul quale aleggia una luce fortemente negativa, e i diversi convitati decidono di abbattere la democrazia con il regime del ‘terrore’: commettere diversi omicidi e imputare alla democrazia stessa una scarsa sorveglianza del popolo di Atene. Il progetto oligarchico riceve consenso tra i convitati che, dopo essersi inebriati col vino e aver goduto di schiave e giovanotti, abbandonano la casa di Eubulo sicuri che il loro piano riuscirà a procurargli il consenso popolare.

Accanto a questi personaggi e intrecciate al golpe oligarchico, Barbero racconta, nei capitoli centrali e finali del romanzo, due storie che viaggiano parallelamente tra di loro per farle incrociare, poi, nel finale del romanzo.

A fare da contraltare ad Eubulo e Crizia, Barbero presenta Polemone e Trasillo, due reduci di guerra, sopravvissuti alla disfatta di Mantinea e ormai dediti al lavoro dei campi. I due personaggi sono presentati con connotati positivi: instancabili lavoratori e onesti padri di famiglia.

Durante le feste in onore di Dioniso, Polemone e Trasillo decidono di recarsi in città per assistere alla rappresentazione di una commedia di Aristofane, la Lisistrata. Nei capitoli relativi alla rappresentazione scenica vien fuori l’estro geniale di Barbero che non solo riporta fedelmente alcuni spezzoni della commedia aristofanea, ma ne ripropone, in chiave moderna, una sorta di ‘parafrasi’. Lo storico medievista è ricercato nei dettagli e accurato nelle descrizioni degli attori sulla scena, ma non soltanto, Barbero riporta, anche, i giudizi del pubblico seduto in platea che non si sarebbe mai aspettato la messa in scena di una commedia così fortemente polemica: sia nel V a.C. che nel romanzo, la Lisistrata è accolta da pareri contrastanti; l’idea di Aristofane, seppur ricercata e ingegnosa, di permettere alle donne di ‘prendere il potere’ e porre fine alle ostilità tra Atene e Sparta con lo sciopero del sesso, era, nell’antichità, ed è, nel romanzo, una trovata comicamente fantasiosa.

Parallelamente al racconto della rappresentazione della commedia di Aristofane, Barbero espone la terza ed ultima storia che vede come protagoniste Charis, figlia di Polemone, e Glicera, figlia di Trasillo.

L’Atene classica era una società fortemente maschilistica, votata a rendere le donne degli oggetti mira delle passioni e dei desideri più sfrenati dei giovani ateniesi. Barbero non si sottrae nel raccontare, anche, una vera e propria tragedia che vede protagoniste, per l’appunto, le figlie di Polemone e Trasillo.

Charis e Glicera, stanche delle oppressioni paterne, decidono di contravvenire agli ordini dei propri padri, accettando l’invito a casa di un giovincello, Cimone, figlio dell’antidemocratico Eubulo, dove ha luogo un vero e proprio massacro. Cimone e i suoi compagni, Argiro e Cratippo, sui quali l’autore spende parole di vero e proprio sprezzo, inebriati dal vino, seviziano le due ragazze, riducendole quasi in fin di vita.

I capitoli relativi al dramma di Charis e Glicera sono raccontati da Barbero con una tale perizia di particolari tale da permettere al lettore di immaginarsi la scena dinanzi ai suoi occhi.

Il dramma che si consuma nella casa di Cimone sottolinea come in una società, quale che era Atene, le donne non avevano la benché minima possibilità di riscatto rispetto alla supremazia maschile che, nella sua più sprezzante e terribile forma, abbatteva ogni tentativo di libertà femminile.

Di seguito, alcune considerazioni circa le conclusioni del romanzo, con l’intreccio delle tre diverse storie, al fine di illustrare le soluzioni magistralmente congegnate dall’Autore.

Il colpo di genio di Barbero sta nel capovolgere la situazione con una trovata ‘teatrale’. Se a teatro, Lisistrata, una donna, stava decidendo le sorti della guerra con lo sciopero del sesso, anche per Charis e Glicera è una donna a liberarle dalla terribile morsa maschile. Quasi come un deus ex machina, non è una divinità a presentarsi in casa di Cimone, ma Andromaca, schiava di Eubulo, che libera le due ragazza, uccidendo il padrone di casa.

Andromaca può essere messa a confronto con Lisistrata, se quest’ultima è l’emblema della ‘rivoluzione’ femminile, intenta a porre rimedio ad una politica fallimentare, Andromaca è l’Eroina per eccellenza che dona, al mondo femminile, quel riscatto che le era precluso in una società nella quale le donne erano degli esseri viventi sine iudicio.

I capitoli finali del romanzo intrecciano le tre diverse storie presentate da Barbero. Il giorno successivo alla rappresentazione della commedia e al parallelo dramma di Charis e Glicera, la popolazione ateniese è raccolta in piazza per ascoltare le proposte dei neo-oligarchi tra cui, soprattutto, Crizia. Anche in questo caso, simile ad un deus ex machina, interviene Polemone, padre di Charis, ormai a conoscenza degli avvenimenti della sera precedente; Barbero fa tessere al reduce di guerra una vera e propria arringa contro Eubulo e i suoi compagni, accusandoli dei peggiori misfatti e imputando loro la volontà di abbattere quel governo democratico voluto dal popolo. Eubulo e Crizia si dileguano, il golpe si rivela fallimentare e la democrazia è salva.

In queste pagine finali si intravede la storia di Atene durante l’ultimo ventennio del V a.C.: il colpo di stato oligarchico del 411 a.C. si rivelò effimero tanto che la democrazia, fortemente incardinata ad Atene, tornò presto al potere per essere, nuovamente, minata soltanto nelle battute finali dello scontro peloponnesiaco, ma sempre per pochi mesi!

Le ateniesi Alessandro Barbero
Copertina del romanzo “Le ateniesi” di Alessandro Barbero

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