È trascorso un anno dal terribile incendio che ha colpito la villa di Faragola, nella notte tra il 6 ed il 7 Settembre 2017. Il sito sorge a circa tre chilometri a sud-ovest di Ascoli Satriano, nella valle del fiume Carapelle, in provincia di Foggia. Segnalata già agli inizi degli Anni ’90, durante delle ricognizioni condotte dall’Università di Bologna, l’area è stata indagata, a partire dal 2003, da campagne di scavo annuali sotto la Direzione scientifica del prof. Giuliano Volpe dell’Università di Foggia, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e la Città di Ascoli Satriano. Grazie al lavoro e all’impegno degli studenti del Corso di Laurea in Beni Culturali dell’Università di Foggia, guidati dagli (allora) dott.ri Giuliano De Felice e Maria Turchiano, è emerso un sito di notevole interesse.

La coenatio della villa tardoantica (V secolo) con la copertura realizzata per la musealizzazione (distrutta dall’incendio). Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

Già di per sé in posizione strategica, a metà strada tra i centri di Ausculum e Herdonia, sorge un’importante villa di età romana e tardoantica, emblematica e di maggior rilievo rispetto agli altri edifici attestati nel resto dell’Italia Meridionale per il lusso che la contraddistingue e la rende quasi un unicum. Attualmente, la fase maggiormente nota è quella tardoantica, ossia IV-VI secolo d.C., caratterizzata da un ambiente di grande dimensioni, identificabile secondo gli studiosi con una coenatio estiva. Importante, inoltre, è presenza di una fontana-ninfeo decorata con un rilievo datato alla prima età imperiale (I secolo d.C.), che vede la rappresentazione di un personaggio femminile danzante e di un serpente, oltre ad un pavimento con lastre in marmo e tappeti in opus sectile.

Uno dei pannelli in opus sectile posti nella pavimentazione della cenatio. Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

Le lastre sono materiale di reimpiego, ma la singolarità dell’edificio, nonché del pregiato tappeto musivo realizzato con frammenti di marmi colorati e pasta vitrea, risulta evidente anche ad un occhio poco esperto, ma amante della bellezza.

Mosaici della grande sala delle terme (cosiddetta palestra). Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

Altri mosaici geometrici policromi decoravano i pavimenti di ulteriori ambienti residenziali, attigui alla sala da pranzo estiva, come ad esempio quello con i c.d. nodi di Salomone, ma emblematica è la presenza di un settore artigianale all’interno della villa, documentato da una fornace per la cottura di laterizi. Anche da questo si evince l’eccezionalità di questa villa, che si differenzia dalle altre villae tardoantiche attestate in Puglia, non solo per il lusso dei materiali utilizzati per la decorazione degli ambienti, ma anche perché documenta la notevole vitalità dell’economia agraria in questa fase.

Appartenuta con molta probabilità ad un personaggio di alto rango, la villa di Faragola offre molti spunti di riflessione, giacchè i materiali di reimpiego inducono a pensare ad una precedente occupazione del sito, o ad altri edifici simili ad essa, dai quali provengono le lastre in marmo, il rilievo figurato, nonché un’iscrizione funeraria nel pavimento della cenatio, sempre di I secolo d.C.

Secondo quanto emerso durante le campagne di scavo, la villa si inserisce in un complesso molto vasto, di circa tre ettari, caratterizzato da diverse facies archeologiche:

  • Villaggio daunio (VI/V – IV/III a.C. circa)

  • Fattoria romana (I a.C. – II d.C. circa)

  • Villa tardoantica 1 (III – metà IV d.C. circa)

  • Villa tardoantica 2 (fine IV – fine VI d.C. circa)

  • Villaggio altomedievale (VII – IX d.C. circa)

  • Uso agricolo (IX – XXI d.C.)

Lo stibadium visto dall’alto, con al centro la vasca per l’acqua. Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

La fase di massimo splendore però, come già detto, è quella di V secolo d.C., quando gli ambienti della villa e le terme furono interessati da interventi di ristrutturazione, e viene realizzata la cenatio, con il suo singolare stibadium in muratura e fontana-ninfeo. Si tratta di un particolare tipo di divano utilizzato durante i banchetti, qui posto in posizione centrale, avente una forma semicircolare e con lo spazio centrale occupato da una vaschetta. Da quest’ultima fuoriusciva l’acqua “a cascata”, che andando verso la sala da pranzo ed incontrando il pavimento in opus sectile, creava un particolarissimo effetto scenografico, grazie alla policromia delle tessere.

Fronte dello stibadium con un oscillum del I d.C. reimpiegato. Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

Tutto questo splendore, questa meraviglia, frutto di anni di lavoro e di sacrificio, a cavallo tra passato e presente, giacchè nel passato la villa ha visto la luce per la prima volta, e nel nostro presente è stata rimessa in luce, sono letteralmente andati in fumo. L’incendio doloso, che ha colpito la villa di Faragola un anno fa, ha cancellato molte delle tracce materiali lasciate sul territorio, messe in evidenza dal gruppo di archeologi che durante le campagne di scavo hanno lavorato senza sosta e con passione. I Carabinieri, già durante le prime indagini, considerarono il tragico episodio un fatto doloso, in primis perché è stata accertata l’assenza dell’oscillum decorato nello stibadium, con la figura femminile danzante.

Il rogo. Foto di FAM1885, CC BY-SA 4.0.

L’archeologo e (allora) presidente del Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici del MiBACT, Giuliano Volpe, inoltre, scrisse su Facebook di avere le lacrime agli occhi per il dolore, la rabbia, la delusione e lo sconforto. Parole forti, con le quali non possiamo che trovarci in totale accordo, ma che hanno rappresentato il primo input per far rinascere il sito di Faragola dalle proprie ceneri.

Primo e forte tentativo, che ha come obiettivo una raccolta fondi volta a far risorgere letteralmente il sito archeologico, è l’iniziativa che sarà in corso sul web fino al 30 Settembre 2018, #savefaragola. Dal 16 Agosto al 30 Settembre, difatti, ben 20 appuntamenti cui prender parte in tutta Italia, basati sul principio del turismo solidale. Visite guidate da professionisti della cultura, e particolarissimi eventi sono stati organizzati dall’associazione The Monuments People e dalla piattaforma di tour sharing I love Guido. Professionisti della cultura, quindi Archeologi, Storici dell’Arte, Guide Turistiche abilitate, Bibliotecari, Archivisti, Musicologi e Demoetnoantropologi, a servizio della cultura e degli amanti del patrimonio culturale, che metteranno in campo le loro competenze e devolveranno parte del ricavato alla rinascita di un sito privato della sua luce.

Ad accompagnare e rendere ancora più d’effetto #savefaragola è il format Illuminati ad arte, secondo il quale gli eventi si svolgono tutti al tramonto o al crepuscolo, condizione che rende necessario l’ausilio di fiaccole, candele e lanterne, per illuminare i monumenti oggetti dell’evento. Come si legge nel sito dell’associazione The Monuments People: Le fiaccole e le lanterne simboleggiano la luce della conoscenza che ci rende Liberi.

Per partecipare e dare il proprio contributo a #savefaragola è sufficiente scegliere un evento dal portale www.iloveguido.it, e la quota di partecipazione aiuterà la Fondazione Apulia Felix nelle attività di valorizzazione del sito di Faragola.

Quale miglior modo, in un’Italia che dalla prima edizione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio nel 2004 sente sue le parole “promozione”, “valorizzazione” e “fruizione” del patrimonio culturale, per mantenere i riflettori accesi sul tragico evento di Faragola?

Riflettori e luci letteralmente accese quindi, su un passato che è stato quasi indelebilmente cancellato, ma la cui voce grida ancora forte, insieme a quella degli archeologi che con passione e dedizione vi hanno lavorato per anni, e del nutrito numero di cittadini che si sono impegnati in questo ultimo anno, per sensibilizzare il pubblico, non solo di professionisti ed “addetti ai lavori”, ma su tutto il panorama italiano.

Con la speranza che, il non restare fermi davanti all’evidenza, sia da monito per il futuro, e che tragedie come quella di Faragola non si ripetano più, concludiamo con le parole di Giuliano Volpe affidate ad un post di Facebook: «Peggio dell’Isis. Quattordici anni di scavi, di ricerche, di studi, di lavoro, per uno dei parchi archeologici considerati più importanti di Puglia e d’Italia: persi, distrutti», e ancora: «Quando un sito è lasciato senza controlli, diventa “terra di nessuno”».

Un anno dopo questa terra, abbandonata a se stessa poiché non se ne comprendeva il valore, è stata oggetto di questa splendida iniziativa volta al recupero, materiale e non, di quelle pagine di storia che sono state bruscamente strappate da un libro iniziato a scrivere nel lontano VI secolo a.C., e la sua voce, ancora forte, ci ricorda quanta vita e quanta cultura abbiano da raccontare le nostre terre: bisogna solo saper ascoltare.

Bibliografia Web:

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