La Bottega Cadorin
Una dinastia di artisti veneziani
Mostra a cura di Jean Clair

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Museo di Palazzo Fortuny
San Marco- San Beneto
Venezia
26.XI.2016
27.III.2017

L’epopea di una famiglia sotto l’egida dell’arte, nella Venezia tra Otto e Novecento.
                                                     
“Il talento pare che faccia vento…”
Vite indissolubilmente intrecciate, nonni, figli, cognati, nipoti, spose e mariti; vite dedicate all’arte in una città che con la sua bellezza ha saputo travolgerli, trasmettendo loro il senso della meraviglia. Architetti, scultori ed ebanisti, pittori, fotografi, restauratori, animatori dei più vivaci salotti artistici e culturali.
I Cadorin, provenienti da Pieve di Cadore (come Tiziano!) ma già nel XVI secolo trasferiti a Venezia, per tre secoli erano stati una presenza costante nelle vicende d’arte della città lagunare; un protagonismo che pareva essersi interrotto nel 1848 quando venne chiusa l’ultima delle sette botteghe della Serenissima. Fu solo una parentesi: a riprendere la conduzione dell’atelier di famiglia, qualche decennio più tardi e fino al 1925, fu Vincenzo, grande scultore e intagliatore formatosi all’Accademia di Belle Arti e presto
a capo di un’impresa che contava oltre 40 maestranze, chiamata a lavorare per i Savoia e per D’Annunzio, per chiese, case e palazzi e partecipe alle esposizioni della Biennale sin dalla sua fondazione.
Con Vincenzo e sua moglie Matilde, dalla casa-bottega di fondamenta Briati, ricomincia una storia posta sotto l’egida dell’arte che attraversa altre tre generazioni e tante diverse personalità – i figli Ettore e Guido Cadorin scultore e pittore, l’architetto
Brenno del Giudice, il fotografo Augusto Tivoli e la figlia pittrice Livia, i liutai Fiorini – fino a Ida Cadorin in arte Barbarigo e a Zoran Music, uniti
dalla vita e dalla passione per la pittura.
Una storia intima e pubblica al tempo stesso, fatta di sentimenti, opere d’arte, avvenimenti storici e vicende culturali nella Venezia tra Otto e Novecento, che viene riannodata negli ambienti unici di Palazzo Fortuny a Venezia, dal 26 novembre 2016 al 27 marzo 2017, seguendo il filo dei ricordi dell’ultima testimone e grande erede di
quest
a dinastia e grazie alle emozioni trasmesse dai suoi racconti.
Ida Barbarigo ha raccolto, circondandosene negli anni, opere e testimonianze storiche della famiglia che sono in realtà uno straordinario patrimonio d’arte e conoscenza. Oltre 200 di questi lavori sono esposti in quest’occasione nella casa-museo di Mariano Fortuny, vero crocevia di arti, lungamente frequentata in gioventù da Ettore e Guido Cadorin, a rievocare un lessico familiare di cui veniamo eccezionalmente resi partecipi, quasi come amici.
Ecco l’odore dei trucioli del Cirmolo; quella frase ripetuta in famiglia “il talento pare che faccia vento”; i versi della “Mille e una notte” letti in francese dalla mamma Livia Tivoli o il giornale satirico che sbeffeggia la passione per le belle donne dello zio Ettore, sempre in giro per il mondo – “Il nostro corrispondente a Parigi sulle arti non possiamo trovarlo perché passa giorno e notte a osservare le gambe di Isadora Duncan, l’incomparabile danzatrice’” Eccoli gli amici di papà Guido che sapeva fare di tutto. Le arti decorative, i mobili, i vetri, i tessuti, i mosaici ma soprattutto la pittura”: da Malipiero a Pirandello,
dai pittori veneziani Nono, Ciardi, Favretto e altri fino a Kokoschka
. Ecco il nonno di Ida per parte materna, Augusto Tivoli grande fotografo – ma “i Tivoli non combinano niente” – e la nonna Irene appartenente ai Fiorini, grande famiglia di liutai bolognese tanto che fu il prozio Giuseppe Fiorini a donare, nel 1930, gli strumenti e gli archivi di Stradivarius al museo di Cremona. Eccolo infine il viaggio a Parigi con Zoran, la sognata Parigi.
Su questo nuova trama si sono intrecciate altre memorie, prima fra tutte quella di Jean Clair, Accademico di Francia – chiamato a curare questa mostra nata da un’idea di Daniela Ferretti – che ha personalmente conosciuto Guido, Livia e Paolo e ancora
Ida e Zoran di cui è stato grande amico,
frequentandone le case e gli studi per più di quarant’anni. Sotto la sua magistrale supervisione le opere sono state puntualmente selezionate per documentare una straordinaria epopea artistica.
Arrivano così in mostra dalla casa di Ida, a Palazzo Balbi Valier, dove erano appese alle pareti del grande salone o dello studio o sistemate nelle tante stanze della dimora, le opere del padre Guido Cadorin, disegni e dipinti: da quelli dei primi decenni del Novecento L’idolo (1911), il Ritratto del padre (1910), il trittico Carne, carne, sempre
carne (1
914) oppure Nudo e paesaggio fiorito del 1920 e Il canale del ‘21, ai lavori degli anni Cinquanta e Sessanta come Punta della Dogana del 1956, Piazzale Roma del ’58, Acque del 1963 o il bellissimo Donde un giorno nacque il miracolo di Venezia del 1969, fino
alle tele datate 1973. Arrivano le sculture di legno del nonno Vincenzo – una grande stele, la fioriera liberty del 1903, le sculture delle Tabacchine – ma anche i suoi gessi e le terracotte; ci saranno gli avori che mostrano la perizia tecnica di Ettore; le foto straordinarie di Augusto che ci svelano i volti di questa dinastia, le scene familiari,
testimoniando anche le mondanità veneziane, gli interni di Palazzo Papadopoli, l’arrivo di Guglielmo II Imperatore o il crollo del campanile di San Marco del 1903.
E poi Ida e Zoran.

Lei con con i suoi sogni – Caffè (1956), Jeu ouvert (1961) – e le sue angosce: da L’uomo di pietra (1967) a Le persécuteur (1979), da Demone o Saturno (1997) a I terrestri (2002).
Zoran con i drammatici disegni a inchiostro, che fissano per sempre la visione terribile dei corpi straziati a Dachau, e con i dipinti: da quelli degli anni Cinquanta, – Estate in Istria (1957), Terre dalmate (1958) – alle immagini di Venezia degli anni Ottanta come il Canale della Giudecca (1980) o Il Mulino stucky, ai Ritratto di Ida dell’83
e dell’86, per arrivare alle opere dell’ultimo periodo quando ormai la vista se ne stava andando: Figura grigia seduta e La poltrona grigia entrambe del 1998.

“Il papà ci diceva sempre: soprattutto, non fate gli artisti, è una cosa spaventosa!”
La mostra è accompagnata
da un prezioso catalogo, curato da Daniela Ferretti (ed. Antiga), a tante voci: Laura Bossi Régnier che ha raccolto i ricordi di Ida Barbarigo, Ester Brunet, Silvia Carminati, Jean Clair, Daniela Ferretti, Valerio Terraroli, Marco Vallora, Monique Veillon Cadorin.


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Testo e immagine da Ufficio Stampa Villaggio Globale International

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