Se la figura dai contorni a volte leggendari di Catilina è giunta fino ai nostri giorni, buona parte del merito va riconosciuta anche a Sallustio e Cicerone, capaci con le loro opere di eternare la figura di un giovane dissoluto e senza scrupoli, caduto in disgrazia e giunto a un passo da un inarrivabile riscatto.

Lucio Catilina, di famiglia nobile, fu forte sia nell’animo che nel corpo, ma di indole malvagia e depravata. Fin dall’adolescenza fu avvezzo a disordini, massacri, rapine e discordia civile, che ebbe modo di sperimentare nel corso della sua giovinezza.
Il suo corpo resisteva al di là di ogni immaginazione alla fame, al freddo, alla veglia. L’animo era audace, subdolo, incostante, abile a simulare e dissimulare ogni cosa. Avido dei beni altrui, prodigo dei propri. Ardente nelle passioni, aveva eloquenza a sufficienza, ma poca saggezza. Il suo animo sfrenato desiderava sempre cose smisurate, incredibili, irraggiungibili.
Dopo la dittatura di Lucio Silla fu colto da un grandissimo desiderio di impadronirsi del potere e, pur di conquistarlo, non considerava di alcun peso i mezzi con i quali raggiungerlo. Giorno dopo giorno, l’animo era agitato sempre di più da una terribile mancanza di patrimonio familiare e dal peso dei delitti commessi, che aveva reso più gravi con quelle abitudini che prima ho ricordato. [nota 1]

Archiviato un ampio proemio incentrato sulla scelta di lasciare la politica per dedicarsi alla storiografia, nel quinto capitolo del De Catilinae coniuratione Sallustio entra finalmente nel vivo dell’argomento, offrendo al lettore il ritratto dell’antieroe della sua monografia, che viene bruscamente interrotto da un excursus di natura storica per poi essere ripreso nel quindicesimo capitolo.

Pur riconoscendo a Catilina diverse virtù, come la straordinaria prestanza fisica e un coraggio fuori dal comune, ciò che emerge da queste righe è una visione profondamente negativa del futuro cospiratore, che con tutta probabilità è la principale responsabile dell’immagine distorta di Catilina diffusasi nel corso dei secoli. Infatti, sebbene sia complicato assolverlo da tutte le accuse mosse da Sallustio, dall’analisi del suo ritratto sembra che Sallustio abbia, volontariamente o meno, alterato la realtà dei fatti in più di una circostanza.

Innanzitutto, alla luce dell’assoluzione dal processo per empietà che nel 73 a. C. l’aveva visto coinvolto insieme alla vestale Fabia, l’espressione multa nefaria stupra con cui Sallustio si riferisce alle disavventure amorose del giovane Catilina appare immotivata. Dall’analisi delle fonti, sappiamo infatti che Catilina non venne mai condannato per il reato in questione, anche se, stando a Cicerone, pare che non sia mai stato emesso un vero e proprio verdetto di assoluzione in suo favore.

Risulta decisamente difficile formulare anche solo delle ipotesi sull’ambiguo caso giudiziario, ma sebbene l’indole passionale del futuro congiurato non ci consenta di escludere del tutto una relazione con la vestale, crediamo che da un punto di vista puramente giuridico l’accusa di Sallustio non possa sussistere. Inoltre, una volta chiarita la posizione di Catilina nell’unico scandalo giovanile di cui abbiamo notizia, l’aggettivo multa usato da Sallustio sembra voler esclusivamente amplificare l’eco di un reato apparentemente infondato, dato che né lo storico stesso, né altre fonti ci danno notizia di altre nefandezze in grado di giustificare l’aggettivo in questione.

La descrizione dei costumi corrotti di Catilina procede poi con il riferimento al presunto assassinio del figlio, da lui commesso al solo scopo di convincere Aurelia Orestilla a sposarlo. Sebbene la notizia venga riportata anche da Cicerone, secondo il quale anche la morte della prima moglie sarebbe imputabile a Catilina, la stessa espressione pro certo creditur utilizzata da Sallustio fa pensare che si tratti essenzialmente di una diceria su un uomo dai costumi così dissoluti, almeno in apparenza, da poter potenzialmente commettere un delitto così efferato. L’ipotesi è confermata anche dal fatto che, nel bel mezzo di una violentissima invettiva contro Catilina, Cicerone si limiti ad un velato accenno al duplice omicidio, evitando di scendere in dettagli compromettenti che in altre circostanze non avrebbe mai risparmiato ad un avversario politico.

È quantomeno sorprendente notare come, poi, al di là di un generico accenno, Sallustio non faccia riferimento agli omicidi più noti del giovane Catilina, invischiato nelle sanguinose stragi sillane. Lo storico non spende infatti alcuna parola né sulle uccisioni di Quinto Cecilio e Marco Mario Gratidiano, cognati di Catilina, e di altri tre uomini, né sull’incesto da lui commesso sposando la figlia nata da una sua precedente relazione extraconiugale. Il fatto che entrambi i delitti, menzionati da Asconio e di conseguenza probabilmente citati originariamente da Cicerone all’interno dell’orazione In toga candida, non siano entrati a far parte del novero sallustiano delle nefandezze commesse da Catilina è davvero singolare.

Busto di Cicerone conservato ai Musei Vaticani. Foto di Glauco92, CC BY-SA 3.0

A questo punto, è bene ricordare che solo qualche mese prima della pubblicazione dell’opera sallustiana Cicerone aveva affidato le sue riflessioni sulle principali vicende politiche dei decenni precedenti ad uno scritto noto come De consiliis suis. Sulla base del contenuto, che doveva evidentemente rivelare verità scomode sul ruolo di Crasso e Cesare all’interno delle due congiure di Catilina, e alla luce delle diverse imprecisioni storiche volte a scagionare Cesare da ogni possibile accusa di connivenza con Catilina, è possibile instaurare una stretta correlazione tra l’opera di Cicerone e la monografia sallustiana: Sallustio, forse incaricato da Ottaviano in persona, avrebbe composto il De Catilinae coniuratione nel tentativo di difendere Cesare dalle accuse mosse da Cicerone nei suoi confronti. Sebbene la tesi in questione sia stata a lungo oggetto di discussione e rigettata da parte della comunità scientifica, l’immediata risposta dello storico cesariano al De consiliis suis di Cicerone giustificherebbe le varie imprecisioni presenti nel ritratto di Catilina, che sarebbe stato composto in pochissimo tempo e non poté dunque godere dell’attenzione che Sallustio in altre circostanze gli avrebbe riservato.

È opportuno, inoltre, fare un’ultima annotazione sul rapporto tra Catilina e Cicerone. Se da una prima analisi l’avversione di Cicerone nei confronti del rivale potrebbe essere imputata alla serrata campagna elettorale del 64 e alle note vicende del 63, restringendo il campo d’indagine ai legami familiari di Cicerone riusciamo a scoprire alcuni interessanti dettagli che ci portano a pensare che l’astio dell’oratore nei confronti di Catilina sia dovuto a motivi privati prima ancora che politici. Pare infatti che la vestale Fabia, accusata di empietà per via della sua presunta relazione con Catilina, fosse una sorellastra di Terenzia, moglie di Cicerone, la cui avversione nei confronti del rivale dunque avrebbe avuto origine molti anni prima rispetto alle vicende che li videro protagonisti; a questo proposito, è emblematica l’assenza di qualsiasi allusione allo scandalo nelle quattro Catilinarie e nel resto della produzione ciceroniana.

La visione profondamente negativa di Catilina che emerge dalle pagine di Sallustio e Cicerone non collima però con i dati storici di cui disponiamo. Da un’analisi della sua carriera politica si nota infatti come la storiografia abbia volutamente tenuto nell’ombra l’altra faccia di Catilina, quella che evidentemente dovette convincere parte della popolazione ad ignorare le sue vicissitudini giovanili e a dare fiducia all’aspirante console.

Fino al 66 a. C. infatti, pur non essendo stato in grado di separare il negotium dalla vita privata, la sua scalata verso il consolato non aveva conosciuto particolari intoppi: eletto questore nel 78, divenne poi edile nel 71 e pretore nel 68. A questo proposito, il venticinquesimo capitolo, dedicato al celebre ritratto di Sempronia, ci permette di ricavare informazioni utili alla definizione dell’elettorato catilinario.

È probabile che l’ascesa politica di Catilina fosse principalmente dovuta al suo carisma e alle sue spiccate doti persuasive, grazie ai quali fu in grado di fare breccia nei cuori dei più giovani e delle influenti matrone romane, condensate da Sallustio nella poco lusinghiera descrizione di Sempronia: furono loro, vittime del savoir-faire dell’aspirante console, a sopperire in prima persona alla mancanza del denaro necessario per accedere ai palazzi del potere. È evidente come il Catilina descritto da Sallustio e Cicerone mal si coniughi con il brillante politico che nel 66 fece ritorno a Roma dal suo governatorato in Africa con l’intenzione di candidarsi per il consolato dell’anno successivo.

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Cicerone denuncia Catilina di Cesare Maccari. Immagine caricata da Alonso de Mendoza, in pubblico dominio

Note

1: Sallustio, De Catilinae coniuratione, V capitolo. Traduzione in italiano dell’autore.

Lucius Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae, supra quam cuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator; alieni adpetens, sui profusus; ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae, neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque is artibus auxerat quas supra memoravi. 

Bibliografia

Asconio, Orationum Ciceronis quinque enarratio

Cicerone, In Catilinam

Plutarco, Vita di Crasso, 13, 4

Sallustio, De Catilinae coniuratione, edizione italiana a cura di Lidia Storoni Mazzolani, Milano, 1976, 2013.

G. Lewis, Catilina and the Vestal, in The Classical Quarterly, LI, 1, 2001

R. Syme, Sallust, Berkeley-Los Angeles, 1964

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