I Film-maker sanno proprio come aiutarti a interpretare le emozioni sullo schermo 

Le espressioni facciali sono più difficili da interpretare con l’aumentare della distanza e del disordine 

Heidelberg | Londra, 7 Gennaio 2016 (testo inglese cortesemente fornito da Springer, e qui tradotto)
Orphans_of_the_Storm_(1921)_-_Dorothy_&_Lillian_Gish
I cineasti implicitamente sanno quanto sia importante essere in grado di interpretare l’espressione del volto di qualcuno, e che quella distanza influenza la facilità con la quale lo si fa. Questo spiega perché i primi piani di un attore appaiano sullo schermo per periodi più brevi delle inquadrature nelle quali la faccia della persona è più piccola e circondata da oggetti che possono distrarre. Questo, secondo uno studio di James Cutting e Kacie Armstrong della Cornell University (U.S.A.), pubblicato sul periodico Attention, Perception, & Psychophysics2 di Springer. Gli autori sostengono che l’arte di creare film popolari si basa su principi psicologici riguardanti quanto gli umani possono assorbire e comprendere.
Gli psicologi spesso studiano la percezione delle espressioni facciali e degli oggetti a distanza, ma non necessariamente come interagiscono la percezione e la distanza. Gli autori intendono esaminare questa interazione all’interno del contesto dei film famosi. Hanno condotto quattro studi separati. In due di questi, hanno investigato empiricamente la struttura di 24 film d’azione, drammatici, o commedie, girati tra il 1940 e il 20103. Guardano alla durata delle inquadrature in diverse scene, così come la dimensione relativa del personaggio centrale all’interno di questi frame: sarebbe a dire la scala dell’inquadratura. Sei dei film più moderni sono stati analizzati per vedere come i film contemporanei conciliano scala e confusione della scena. Due altri esperimenti hanno esplorato il tempo che ci è voluto a 21 partecipanti per categorizzare diverse espressioni facciali in un set di 330 immagini statiche di film di diverse dimensioni visive. I partecipanti hanno dovuto effettuare decisioni rapide sulla possibilità che i personaggi ritratti stessero vivendo emozioni positive (come la gioia) o negative (come la rabbia).
I ricercatori hanno scoperto che, non sorprendentemente, i volti che appaiono più piccoli su schermo richiedono più tempo per essere categorizzati di quelli più ampi su schermo o in un’immagine, perché le espressioni facciali sono più difficili da leggere all’aumentare della distanza. Questo pattern va mano nella mano con il livello di disordine di sfondo. Più disordine crea affollamento e rende più difficile all’osservatore interpretare le espressioni su volti più distanti. Cutting e Armstrong suggeriscono che i film maker conoscano almeno tacitamente questi principi e che li impieghino. I primi piani nei film contemporanei possono essere fino a tre secondi più brevi di quelle in cui un volto più piccolo appare sulla distanza. Inoltre, la lunghezza di un’inquadratura dipende da quanto è disordinata una scena. Nelle inquadrature ravvicinate più brevi, ad esempio, la messa a fuoco è sul volto di qualcun altro. Questo lascia lo sfondo sfocato e quindi meno disordinato, lasciando più spazio per la lettura di un’espressione del volto.
“Anche se la conoscenza dei film maker sulla loro arte spesso è tacita piuttosto che esplicita, comprendono che il disordine visivo impedisce il riconoscimento, e che inquadrature disordinate su una scala più lunga spesso devono avere durate persino più lunghe di quelle che avrebbero altrimenti avuto,” ha affermato Cutting.
“L’arte della produzione cinematografica popolare si basa su principi psicologici conquistati a fatica, forgiati dalla pratica, che si sono evoluti per un lungo periodo, adattando le storie e la loro presentazione alle nostre capacità cognitive e di percezione,” ha aggiunto Armstrong, che suggerisce che psicologi professionali possano imparare molto dallo studio della struttura dei prodotti dei filmmakers.

  1. Riferimenti: Cutting, J.E. & Armstrong, K.L. (2015). Facial expression, size, and clutter: Inferences from movie structure to emotion judgments and back, Attention, Perception, & Psychophysics, DOI 10.3758/s13414-015-1003-5
  2. Il periodico è il periodico ufficiale dellaPsychonomic Society.
  3. Filmografia:

Harlin, R., director. (1990). Die Hard 2. USA: Twentieth Century Fox
Higgins, C., director. (1980). Nine to Five. USA: Twentieth Century Fox
Kershner, I., director. (1980). Star Wars: Episode V – The Empire Strikes Back. USA: Lucasfilm
Kramer, S., director. (1960). Inherit the Wind. USA: United Artists
Kubrick, S., director. (1960). Spartacus. USA: Universal Pictures
Marshall, G., director. (2010). Valentine’s Day. USA: New Line Cinema
Milestone, L., director. (1960). Ocean’s 11. USA: Warner Brothers
Soderbergh, S., director. (2000). Erin Brockovich. USA: Universal Pictures
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Springer non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.
Dorothy e Lillian Gish in un’inquadratura ravvicinata da Orphans of the Storm (1921), diretto da D. W. Griffith; foto di Frank Diem (photographer)Photoplay (Jul – Dec 1921) (1921); da WikipediaPubblico Dominio, caricata da Deanlaw.
 

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