Una ricerca condotta da un team internazionale ha decifrato l’elamico lineare, una scrittura usata in Iran più di quattromila anni fa. Utilizzata nell’antico regno dell’Elam tra il 2300 a.C. e il 1900 a.C., questa scrittura rappresenta il più antico esempio di scrittura completamente fonetica.
Gli Elamiti, secondo la tradizione biblica discendenti da Elam, uno dei nipoti di Noè, erano stanziati nel sud dell’Iran tra il 2300 e il 1900 a.C. A decifrare questo enigmatico sistema di scrittura è stato un gruppo internazionale di cinque studiosi di cui fa parte anche un docente dell’Università di Bologna, Gianni Marchesi, professore di Assiriologia al Dipartimento di Storia Culture Civiltà.
“Per la prima volta, a distanza di quattromila anni, gli antichi Elamiti ci parlano direttamente attraverso la loro scrittura”, commenta Marchesi.
I primi documenti in elamico sono venuti alla luce nel 1903 durante degli scavi francesi nella città di Susa, nell’Iran sud-occidentale. Questa enigmatica scrittura è stata denominata elamico lineare dagli studiosi. per distinguerla da un’altra in uso in antico in quella regione, il cuneiforme di origine mesopotamica. Da quella storica scoperta, diversi sono stati gli studi e molti i tentativi di decifrazione tra cui ricordiamo quello del linguista e linceo Piero Meriggi.
Questa scrittura fu utilizzata per scrivere diversi testi fino a poco dopo il 1900 a.C., quando poi fu soppiantata dal cuneiforme mesopotamico. E proprio questo doppio uso di due differenti sistemi di scrittura (l’elamico lineare e il cuneiforme) ha reso possibile la decifrazione dell’elamico.
Il punto di partenza per il nuovo studio è nuovamente Susa, dove gli studiosi hanno analizzato iscrizioni incise su monumenti datati al XXII secolo a.C.
La particolarità risiede nell’uso di due scritture sui monumenti: l’elamico lineare e il cuneiforme. Due invece le lingue, forse una forma arcaica di elamico, ancora da decifrare (una delle tre lingue utilizzate dai re persiani achemenidi sui loro monumenti) e l’accadico, anche noto come assiro-babilonese e noto agli studiosi già dalla decifrazione del cuneiforme nella seconda metà del XIX secolo.
Secondo gli studiosi non si tratterebbe di testi bilingui in senso stretto, ma si può presumere che le iscrizioni in elamico lineare contenessero nomi di personaggi o divinità noti dai testi coevi in cuneiforme, ipotesi avvalorata in quanto talvolta le due scritture compaiono l’una a fianco dell’altra sullo stesso monumento.
“C’era un re di nome Puzur-Sushinak e un dio chiamato Insushinak”, spiega Marchesi. “Le parti finali di questi due nomi coincidono; questo fatto ha reso relativamente facile l’identificazione delle sequenze dei simboli grafici corrispondenti a questi due nomi in elamico lineare: dovevamo solo trovare due sequenze che finissero nello stesso modo. Così, da questi due soli nomi, abbiamo ottenuto i valori fonetici di nove segni dell’elamico lineare, che poi abbiamo utilizzato per identificare altri nomi e ottenere ulteriori valori fonetici. La decifrazione ha anche confermato che la lingua scritta fosse appunto l’elamico, o meglio, una forma molto arcaica di tale lingua che chiamiamo antico elamico”.
Per decifrare i testi, gli studiosi hanno inoltre incrociato altre fonti utilizzando una serie di coppe d’argento iscritte.
Anche in questo caso, le iscrizioni in elamico lineare sono state confrontate con iscrizioni in cuneiforme e in lingua accadica o elamica, presenti in un secondo gruppo di coppe d’argento. Questo lavoro di analisi sulle coppe si è rivelato decisivo. Gli studiosi, infatti, sono riusciti a scoprire come vanno letti 72 simboli grafici del repertorio dell’elamico lineare che ricorrono per oltre il 95% nel corpus.
La speranza è che nuovi scavi in Iran possano portare alla luce altri testi così da completare lo studio.
“I testi nelle due forme di scrittura non sono identici tra loro, ma sappiamo che questo tipo di iscrizioni è generalmente molto standardizzato”, dice Marchesi. “Partendo da quello che già conoscevamo, abbiamo iniziato a confrontare i diversi testi e siamo riusciti a identificare non solo singole parole, ma anche intere frasi scritte in elamico lineare e in lingua elamica”.
Una volta decifrato l’elamico lineare, questo si è rivelato un sistema di scrittura piuttosto diverso da quelli coevi come il cuneiforme mesopotamico o il geroglifico egiziano; non si tratta infatti di un sistema logo-sillabico dove ai simboli grafici corrispondono sia sillabe sia intere parole.
“L’elamico lineare è un tipo di scrittura completamente fonetico: i suoi simboli rappresentano infatti vocali, consonanti, o sillabe formate dall’unione di una consonante con una vocale come ad esempio ba, be, bi, eccetera”, conferma Marchesi. “Si tratta dell’esempio più antico di scrittura di tal genere. In un certo senso possiamo dire che gli Elamiti, come gli antichi Egizi, inventarono l’alfabeto già nel III millennio a.C., anche se la loro scrittura non divenne mai una scrittura puramente alfabetica”.
Ad oggi l’elamico lineare rappresenta una delle lingue più antiche al mondo ma rimane un idioma isolato a cui non si può associare nessuna parentela linguistica con altra lingua nota e in più rimane per molti aspetti ancora inedito. Con queste basi preliminari, gli studiosi si aspettano di riuscire a decifrare anche la scrittura sua antenata, il proto-elamico, usato in Iran negli ultimi secoli del IV millennio a.C., contemporaneamente al proto-cuneiforme in Mesopotamia e ai primi geroglifici in Egitto.
Lo studio con la decifrazione dell’elamico lineare, che ha già ricevuto riscontri positivi da parte dei maggiori studiosi internazionali, è stato pubblicato sulla rivista Zeitschrift für Assyriologie und Vorderasitische Archäologie con il titolo “The Decipherment of Linear Elamite Writing”.
Per l’Università di Bologna ha partecipato Gianni Marchesi, professore di Assiriologia presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà. Il gruppo internazionale di ricerca che ha lavorato alla decifrazione dell’elamico lineare comprende anche Gian Pietro Basello (Università di Napoli “L’Orientale”), François Desset (Università di Teheran e CNRS team Archéorient [UMR 5133], Maison de l’Orient et de la Méditerranée, Lione), Matthieu Kervran (ricercatore indipendente che vive in Francia) e Kambiz Tabibzadeh (Eastern Kentucky University).
Immagini dall’Ufficio Stampa Università di Bologna.