24 Aprile 2015
Archeologi e i decision maker nelle questioni umanitarie dovrebbero parlarsi di più (testo Inglese cortesemente fornito da Springer, e qui tradotto)
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I cooperanti che forniscono rifugio a seguito di disastri naturali come uragani o terremoti, dovrebbero considerare le informazioni archeologiche a lungo termine sulle modalità di costruzione delle case nel passato, da parte degli abitanti locali; e cosa questi facevano quando riparavano e costruivano. Gli archeologi e le organizzazioni umanitarie internazionali sono entrambi impegnati nelle operazioni di recupero, con i primi che lo fanno per il passato, e gli ultimi per il presente. Così dice Alice Samson dell’Università di Cambridge nel Regno Unito, leader di una visione d’insieme archeologica sulle pratiche di costruzione utilizzate nei Caraibi da 1400 a 450 anni fa. È pubblicata sul giornale di Springer Human Ecology.
Human Ecology

La ricerca, condotta mentre Samson era all’Università di Leiden nei Paesi Bassi, ha utilizzato dati raccolti da 150 strutture scavate presso 16 siti nelle Grandi Antille, Turks e Caicos, Isole Vergini e le Piccole Antille settentrionali. Hanno anche analizzato schizzi del sedicesimo secolo e ricordi di strutture abitative dei conquistador spagnoli ad Haiti e nella Repubblcia Dominicana, nelle Bahamas, e a Cuba.
Secondo Samson la cosiddetta “modalità architettonica caraibica” emerse 1400 anni fa circa. Gli abitanti riprodussero le caratteristiche basilari fino alla colonizzazione europea, 500 anni fa circa. In una regione di notevole diversità degli insediamenti locali, la modalità era un modo efficace e preferibile di far incontrare comunità e bisogni culturali, trattando con pericoli ambientali ciclici, e cambiamenti storici a lungo termine.
Non c’era un modello naturale per tutte le stagioni. Strutture piccole, attentamente progettate e uniformemente ancorate con tetti spioventi e facciate rinforzate erano generalmente costruiti presso la costa, in insediamenti di dimensioni variabili. Uno scavo nell’insediamento di El Cabo nella Repubblica Dominicana, ad esempio, mostrava che le case erano circolari, tra i 6,5 e i dieci metri di diametro. Constavano di un muro perimetrale esterno composto da pali snelli piazzati con intervalli stretti, e otto pali più larghi che sostenevano il tetto, allineati su un’entrata affacciata sul retroterra. Le persone lavoravano in aree riparate, al di fuori dalle facciate delle case, onoravano i loro morti lì, e seppellivano i loro possedimenti personali all’interno quando si muovevano. Le strutture erano ben adattate ad affrontare venti, piogge e il calore dei Caraibi. L’esposizione ai venti era ridotta ubicando le case secondo un pattern irregolare e utilizzando frangivento e partizioni. Le case duravano per secoli perché erano deliberatamente ricostruite e riparate.
Le isole dell’Arcipelago Caraibico condividono un clima marittimo con variazioni marcate per quanto riguarda vento e temperatura. Il soccorso umanitario è spesso necessario a seguito di drammatici eventi climatici e sismici come uragani, tempeste tropicali, tsunami, terremoti e relativi ai vulcani. Lo studio di Samson getta nuova luce su come le comunità che sono state colpite da tali disastri possono essere meglio supportate dagli sforzi umanitari per ricostruire le abitazioni. Lei crede che questo possa essere fatto incoraggiando un dialogo tra differenti discipline che trattano di abitazioni, per sviluppare un maggiore apprezzamento dei processi di riparo storico. Anche se in molti luoghi, e specialmente in ambienti recentemente urbanizzati, non c’è diretta connessione tra abitazioni archeologiche ed attuali, nondimeno ovunque c’è un precedente processo abitativo, che sia antico o più recente.
La co-autrice Kate Crawford, ingegnere e precedentemente Consigliere nel campo dei rifugi per CARE International, asserisce con fermezza che, “la presa di decisioni in campo umanitario avviene in un contesto di scarse prove e dati schiaccianti. Questa è stata una delle sfide affrontate nella rispsota al terremoto di Haiti nel 2010. Quello di cui abbiamo bisogno è un migliore apprezzamento delle questioni strategiche, ricerca su alternative come ritrovo, e supporto per risposte locali, non solo soluzioni tecniche.”
“Speriamo che questa analisi regionale e a lungo termine delle caratteristiche abitative possa contribuire a un maggior coinvolgimento tra archeologi e coloro che sono responsabili nella costruzione, o nella ricostruzione del presente,” dice Samson.
Lo studio “Resilience in Pre-Columbian Caribbean House-Building: Dialogue Between Archaeology and Humanitarian Shelter”, di A. V. M. Samson, C. A. Crawford, M. L. P. Hoogland, C. L. Hofman, è stato pubblicato su Human Ecology
Link: Human Ecology; Springer
Vista aerea al 17 Gennaio 2010 del centro di Port-au-Prince, Haiti. Rifugi sono eretti a seguito della devastazione dovuta al terremoto di magnitudine 7.0 del 12 Gennaio 2010. Foto del Master Sgt. Jeremy Lock (This Image was released by the United States Air Force with the ID 100117-F-1644L-108 (next).), da WikipediaPubblico Dominio, caricata da Slick-o-bot.
 

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