Il mistero delle ossa di Waterloo
Nell’immaginario collettivo della storiografia moderna la battaglia di Waterloo rappresenta un evento significativo non solo per le conseguenze politiche dell’Europa -che presto avrebbe visto una restaurazione massiccia in tutto il vecchio continente- quanto anche per la dimensione specifica che questa ha avuto nell’impatto culturale europeo.
La portata dell’evento ci è stata trasmessa nel corso dei secoli attraverso i diversi profili dell’identità europea dell’epoca: quella iconografica, con i bellissimi dipinti di Sir William Allan, Ligny, Pieneman; quella letteraria, da Manzoni a Stendhal; e non ultima quella sociale, giacché la battaglia e la fine dell’Imperatore restituirono una comunità di reduci i cui sentimenti nostalgici non vennero mai perdonati dalla caduta di Napoleone in poi.
L’impatto sociale della caduta di Napoleone aiuta infatti a capire meglio il trattamento cui sono stati sottoposti i vinti anche anni dopo la battaglia, e con esso tutte le dinamiche sociali sottese alla recentissima scoperta del team guidato da Tony Pollard sulle vicende successive alla disfatta di Waterloo, oggetto di prossima pubblicazione: da tempo, infatti, la comunità scientifica si interrogava sulla singolare assenza dei resti umani della battaglia di Waterloo sul campo di battaglia, e se da un lato si intuivano le motivazioni che giustificassero l’assenza di monumenti ai vinti (pur essendo una prassi diffusa quella di lasciare testimonianze di culto agli sconfitti), non vi era finora una logica che spiegasse l’assenza di reperti legati alle vicende del 18 giugno 1815, né delle sepolture, né di reperti di alcun tipo.
Solo pochi mesi fa la notizia del ritrovamento di uno scheletro1 sul posto destò scalpore e riaccese le attenzioni sull’arcano dei resti umani di Waterloo. Da anni la memoria sui fatti si è ammantata di un velo di mistero e varie teorie hanno iniziato a circolare: si parlava della possibilità di un utilizzo in blocco dei resti umani che ne giustificasse la totale assenza, e anche in tempi recenti si era fatta strada l’ipotesi di un loro utilizzo come fertilizzante o concime per la terra2.
Nel tempo le teorie si sono intrecciate con i racconti, alla luce delle scarse fonti di cronaca che ne raccoglievano le testimonianze coeve: James Ker, mercante scozzese che aveva visitato i luoghi della battaglia, nella sua corrispondenza raccontava di fosse comuni contenenti circa 13 mila corpi, aggiungendo di aver assistito egli stesso all’agonia di alcuni soldati moribondi sul campo. Ma è proprio da una rilettura delle testimonianze storiche che il team del Center for Battlefield Archaeology dell’Università di Glasgow, con l’importante aiuto degli storici Bernard Wilkin e Robin Schäfer, è giunto ad una conclusione: le ossa sono state sistematicamente utilizzate non come concime, bensì impiegate nel processo di raffinazione dello zucchero che stava prendendo piede nel Belgio di quegli anni.
Vi è poi un altro dato da tenere in conto nella ricostruzione degli eventi successivi alla battaglia: al termine della stessa sul campo caddero più di ventimila soldati, e col numero di feriti impossibilitati alla fuga il numero di unità che insanguinavano i campi di Waterloo arrivava circa a trentamila. E questo, in un modo o nell’altro, comportò anche delle riflessioni in ordine alla necessità di bonifica di quei luoghi.
Ma come mai i resti mortali di migliaia di soldati furono umiliati in questo modo?
Secondo lo studio del team scozzese, il motivo può esserci suggerito dalla fiorente attività saccarifera che negli anni successivi si sviluppò in Belgio: nel 1833 sui luoghi della battaglia fu avviata la coltivazione della barbabietola da zucchero, cui seguì presto l’impianto di due poli manifatturieri dediti proprio alla produzione e alla raffinazione dello zucchero. Inoltre è dell’anno successivo un provvedimento delle autorità belga che liberalizzava il commercio delle ossa animali: queste, infatti, macinate e carbonizzate si rendevano utili al processo di raffinazione e di sbiancamento del prodotto grezzo.
Partendo da questi dati, il team di studiosi ha dedotto che la tentazione di utilizzare non solo le ossa animali, ma anche quelle umane, fu un’occasione che gli industriali del tempo non si lasciarono scappare. Fu così che tra il 1834 ed il 1860 avvenne la sistematica dissacrazione delle fosse comuni.
Recentemente anche un articolo del Corriere3 si è interessato agli studi del team scozzese, riportando alcune testimonianze dei giornali dell’epoca da cui è possibile trarre un giudizio che descrive il trattamento sociale cui fu sottoposta l’eredità culturale dei combattenti: il giornale Independent nel 1835 raccontava come
“Gli industriali hanno ottenuto il permesso di togliere i morti dalla terra dell’onore, per mutare in carbone le ossa degli eroi. Basta questo a caratterizzare un’epoca”;
o ancora la vena ironica di un viaggiatore tedesco che portando la propria testimonianza al Prager Tagesblatt onde evitare un uso sacrilego dei resti dei caduti di Waterloo sosteneva che
“Usare il miele come dolcificante vi eviterà il rischio di sciogliere i resti di vostro bisnonno nel caffè”.
Tornando però agli studi condotti dal team di storici ed archeologici, questi hanno anticipato al tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung4 e all’inglese Daily Mail5 anche altre fonti dell’epoca, tra cui quella dell’archeologo Karl von Leonhard che nel 1840 testimoniò di aver assistito a fosse comuni aperte, colme di scheletri animali ed umani venire svuotate. Tra gli scritti dell’illustre archeologo tedesco del XIX secolo, è stata rinvenuta anche la tetra testimonianza di un operaio addetto all’esumazione dei resti che dissacrando la memoria dei caduti sostenne che la valuta in denaro delle ossa dei granatieri pesasse “quanto quelle dei cavalli”.
La pratica macabra affondava le radici in un fosco sentimento diffuso: le ossa dei vinti rappresentavano materiale di scarto e non una testimonianza da rispettare indipendentemente da quale causa si fosse servita: è il superamento della logica cavalleresca delle battaglie che aveva caratterizzato l’antichità fino all’epoca moderna, culminata con l’identificazione di un nemico comune attorno cui costruire parte della narrazione europea che “marchiava” chiunque avesse combattuto per le ragioni di Napoleone, una visione secondo cui le ossa dei soldati dell’Imperatore non meritavano rispetto, e nemmeno risposo.
Quanto al campo di battaglia, questo sin da subito fu caratterizzato dalla rivendicazione dei vincitori e dal racconto delle potenze vincitrici, in primis dai Belgi che celebrarono la battaglia come una vittoria di tutti gli alleati. Ancora oggi sul campo vi si può scorgere la famosa collina del Leone, un tumulo artificiale che celebra il posto in cui il principe Guglielmo (che aveva combattuto anche due giorni prima a Quatre-Bras contro il maresciallo Ney) fu disarcionato da cavallo da un colpo di moschetto: la collina, citata anche da Victor Hugo ne I Miserabili, fu fatta edificare dal padre del principe, il Re Guglielmo I dei Paesi Bassi, e rievoca volutamente i tumuli dei Belgi, in richiamo alle antiche tribù galliche riguardo le quali lo stesso Cesare scrisse:
“Horum omnium fortissimi sunt Belgae”.
A nulla, dunque, valsero i provvedimenti con cui le istituzioni locali cercarono di dissuadere questa pratica, più per una questione di morale che per una funzione di pubblica utilità: anche dalla lettura di questi provvedimenti il team di studiosi è riuscito ricostruire il triste cammino delle spoglie dei soldati periti in battaglia. È del 1834 infatti un decreto emanato dal sindaco di uno dei comuni dei luoghi della battaglia, la cittadina di Braine-l’Alleud, che sanzionava con un anno di carcere e 200 franchi chiunque fosse colto nell’atto di esumazione delle ossa. Ma le cronache del tempo e la lucida analisi condotta da Pollard e soci dimostrano che il provvedimento fu ampiamente ignorato.
Ciò che si evince dalla lettura incrociata delle testimonianze storiche e degli studi più o meno recenti è che l’alone della damnatio memoriae (che la storia ha sconfessato, a dire il vero) che colpì Napoleone dopo la sua seconda e definitiva sconfitta ha relegato per tanti anni la discussione ad un perimetro esclusivamente di cronaca, sottraendo al comune sentire delle vicende napoleoniche anche l’attenuante della morale.
Gli stessi luoghi sono tutt’oggi divisivi nella memoria delle nazioni che ne hanno raccolto l’eredità: nel 2015 il Belgio decise di sostituire l’immagine che campeggia sulla moneta di 2 euro con una che rappresentasse la collina del Leone – o come viene storicamente chiamata, Leo Belgicus – , ma le rimostranze francesi che vi ravvisavano un messaggio divisivo dei loro cugini belgi fecero desistere il governo da questo progetto. Tuttavia, successivamente il governo del Belgio coniò una moneta riservata al mercato dei collezionisti dal valore di 2,50 euro, sul cui verso si può scorgere la collina e i due schieramenti.
Solo il tempo potrà dire se la teoria di Pollard e del suo team metterà fine alla discussione sui resti di Waterloo. Ad oggi, infatti, non può dirsi tramontata l’ipotesi dell’utilizzo dei resti come fertilizzante come sostenuto finora, e la cui formulazione è servita senza dubbio da pietra angolare nell’elaborazione della tesi “saccarifera” portata avanti dal team di Glasgow, anche perché cerca la soluzione proprio nel solco di un utilizzo in massa, che ne spiegasse la scomparsa per mezzo di un uso in blocco e in un certo modo “biologico”, così da spiegarne l’assenza.
Con questa nuova teoria, comunque, sembra essersi trovata un’ulteriore chiave di lettura ad un mistero che nei tempi recenti ha incuriosito storici ed appassionati di storia: l’ipotesi accreditata dal team di Pollard è che a Waterloo potrebbero non esserci né ossa né resti perché questi potrebbero essere stati utilizzati in massa proprio come prodotto per raffinare e sbiancare lo zucchero.
Ed in questa direzione, il dato forse ancor più singolare è reso dal fatto che l’industria saccarifera in quella parte del Belgio si arrestò nel 1860, in prossimità della fine dell’utilizzo dei materiali biologici per la raffinazione: lo studio suggerisce che l’attività di raffineria di zucchero in Belgio potrebbe essersi fermata proprio con la fine dei resti umani di Waterloo.
Come ironizzato da Valentino sul Corriere, una delle massime più famose di Orazio ha trovato un’applicazione fin troppo letterale e sicuramente eccessivamente sardonica: Dulce et decorum est pro patria mori, è dolce e decoroso morire per la patria, ma in questa circostanza forse la citazione è stata presa troppo alla lettera.
Note:
1 https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2022/07/15/ossa-umane-rinvenute-a-waterloo-due-secoli-dopo-la-battaglia_866a1ad1-1922-41d6-9e8c-fdf3a9b3a50b.html
2 https://www.agi.it/scienza/news/2022-06-20/studio-ossa-caduti-waterloo-vendute-come-concime-17160199/
3 https://www.corriere.it/esteri/22_agosto_19/waterloo-ossa-battaglia-usate-raffinare-zucchero-98701e4c-1ffb-11ed-b2f1-72942e0bd969.shtml?refresh_ce
4 https://www.faz.net/aktuell/gesellschaft/schlacht-von-waterloo-raetsel-um-20-000-gefallene-offenbar-geloest-18250827.html
5 https://www.dailymail.co.uk/news/article-11119607/Battle-Waterloo-dead-used-make-white-sugar.html
Sitografia:
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https://waterloouncovered.com
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https://www.classicult.it/en/human-bones-horses-waterloo-battlefield/
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https://www.dailymail.co.uk/news/article-11119607/Battle-Waterloo-dead-used-make-white-sugar.html
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https://www.faz.net/aktuell/gesellschaft/schlacht-von-waterloo-raetsel-um-20-000-gefallene-offenbar-geloest-18250827.html
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https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2022/07/15/ossa-umane-rinvenute-a-waterloo-due-secoli-dopo-la-battaglia_866a1ad1-1922-41d6-9e8c-fdf3a9b3a50b.html
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https://www.agi.it/scienza/news/2022-06-20/studio-ossa-caduti-waterloo-vendute-come-concime-17160199/
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https://www.corriere.it/esteri/22_agosto_19/waterloo-ossa-battaglia-usate-raffinare-zucchero-98701e4c-1ffb-11ed-b2f1-72942e0bd969.shtml?refresh_ce