Le storie come rimedio allo scorrere del Tempo: La melanargia di Annapaola Digiuseppe
Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo
Ci sono alcuni autori la cui abilità non risiede nell’utilizzo di artifici letterari e tecniche futuribili ma, al contrario, nell’estrema semplicità e asciuttezza della loro scrittura; sono, questi autori, in grado di evocare interi universi o epoche trascorse, nei quali il lettore non trova alcuna difficoltà nell’immergersi e, se lo desidera, perdersi.
Annapaola Digiuseppe appartiene di sicuro a questa genìa di autori: già nel suo folgorante esordio Il lino delle fate (Edizioni di Pagina, 2019) aveva convinto i palati più fini con un Meridione sospeso tra il finire del turbolento XVIII secolo e gli inizi del XIX, ancora più complesso; in esso, l’autrice era stata in grado di tratteggiare personaggi indimenticabili e di trasporre su carta l’amore della gente di Martina Franca (cittadina in provincia di Taranto da cui l’autrice proviene) per la propria terra; in questo romanzo corale emergeva una splendida protagonista, la giovane Virgilia, efficace incarnazione dei valori del periodo trattato, ma anche archetipo di una femminilità forte e delicata, universalmente riconoscibile.
Una variazione sul tema (pardon, sui temi) era stata offerta da Annapaola nel suo successivo lavoro, Dai discordi bellissima armonia (2022), delicato romanzo sospeso tra passato e presente come i suoi protagonisti Stefano e Marina. Poco meno di due anni dopo, l’autrice si cimenta col suo primo sequel: La melanargia, il suo ultimo lavoro, è infatti un seguito diretto del Lino delle Fate. Il legame tra i due libri è evidente già dal titolo, a patto di avere qualche nozione di botanica ed entomologia: la Melanargia arge è infatti una farfalla che, per deporre le sue uova, sceglie quasi sempre una pianta del genere poacae comunemente nota come lino delle fate. La stessa che dava il titolo al primo libro.
Torna Virgilia, che di nuovo si fa testimone di vicende comprese in un lungo lasso di tempo (1808-1864) tra le quali si leggono i sogni, i desideri, le speranze di molti altri personaggi, in bilico tra la realtà agricola delle masserie e quella della città, ciascuna con le proprie regole, i propri riti, i propri lati oscuri. E se nel lino delle fate questi ultimi erano rappresentati dalle contraddizioni dei venti pre e post-rivoluzionari, nella melanargia incontriamo gli spettri del brigantaggio e dei rivolgimenti sociali dovuti al continuo avvicendarsi di poteri nel territorio che fa da sfondo alla trama. Anzi, alle trame.
Sì, perché La melanargia è un affresco complesso (ma coerente e di facile lettura) nel quale si incontrano la macrostoria (quella del Decennio Francese, della Restaurazione Borbonica e del Risorgimento), la storia locale (quella dei potentati familiari territoriali) e la microstoria (quella della gente comune, cittadini, agricoltori, bottegai). La penna di Annapaola Digiuseppe è in grado di dare la giusta dignità e il giusto peso a ciascuna di queste componenti, quasi l’autrice volesse prendere per mano il lettore e accompagnarlo in un viaggio emozionante attraverso il quale scoprire nuove cose, o una prospettiva diversa per quelle che già sa.
Ma l’universo della melanargia è ben lungi dall’essere mero teatro di vicende piccole e grandi. A ogni pagina è evidente quanto l’autrice sia stata meticolosa nel ricostruire ogni tassello di questo mosaico: tra i polpastrelli del lettore rivive la saggezza popolare, quella di chi sa a menadito i nomi di tutte le piante e degli animali che popolano le campagne, e che pertanto è in grado di avvertire anzitempo gli squilibri del rapporto tra uomo e natura; rivivono le tradizioni popolari, ricette, usi, costumi, proverbi, leggende, riti e feste religiose; rivivono le attività agricole, minuziosamente descritte, e con loro i mestieri di una volta.
Scorrendo le pagine del libro, poco più di trecento, il lettore si imbatterà in capère, serpari, naglieri e altri professionisti dai nomi oggi indecifrabili, ma che nell’800 erano parti fondamentali del tessuto sociale ed economico del Meridione. Le loro attività sono talvolta piuttosto singolari, e non sempre trovano un corrispettivo in epoca contemporanea: Annapaola le recupera, le traduce in azione e le dona al lettore, perché almeno il loro ricordo non vada perduto nella guerra illustre contro il tempo paventata dal Manzoni.
È forse questo, a ben vedere, l’intento non dichiarato di Annapaola Digiuseppe: salvare le storie dallo scorrere del tempo che trasforma, trascina, distrugge e ricostruisce come gli otto venti che spazzano la collina ove sorge Martina Franca, i quali per inciso danno il titolo a ciascuna delle parti che compongono il romanzo; quale sia il rimedio, se esiste, alla naturale entropia cui sono soggette cose e persone, lo scoprirà il lettore che vorrà leggere La melanargia.