Maleuforia, di Deborah D’Addetta: l’identità, il corpo, il sacro e il profano

Romanzo di formazione, che strappa sorrisi e lacrime in uguali quantità, Maleuforia di Deborah D’Addetta, uscito per Giulio Perrone Editore lo scorso maggio, è un esordio che si lascia divorare con una voracità non dissimile da quella che la sua protagonista scopre di avere nel corso della storia. 

la copertina del romanzo Maleuforia, di Deborah D’Addetta, edito da Giulio Perrone Editore (2024). Foto di Francesca Barracca

Raffaele non vuole essere Raffaele. Vuole soltanto essere. Per capirlo una volta per tutte bisogna che trovi il suo “veronome, nascosto tra gli altari di madonne e sante sparsi per i vicoli di Napoli, tra le tende del bordello di Donna Sofia, tra i limoni che regala Donbosé. Nella sua iniziazione alla “vita”, come la chiamano Maria e le altre prostitute che incontra al bordello, Raffaele scova così Lèmon, sepolta dentro di lui da sempre. La convivenza, però, non è mai facile:

La punta del naso sollevata, le labbra morse ripetutamente per lasciar combaciare la mia bocca con la sua, non riuscivo a stare del tutto immobile e allora quel mezzo centimetro di scarto, la sbavatura di contorni tra me e ciò che si nascondeva dentro di me, rivelava un calco impreciso”.1

Lèmon, infatti, riflette spesso sul “doppio” che c’è in lei, come quando osserva:

Eppure, per quanto quel ricalco fosse artefatto, lei s’era lasciata guardare, aveva sollevato la cortina di vetro per sovrapporsi alla mia figura, i limoni si erano addolciti, i fianchi arrotondati, le mani affusolate e la bocca inturgidita, i capelli diventati una chioma di onde e trecce, e io avevo pianto perché quell’inganno non era durato che un istante, un istante che.”2

Lo sdoppiamento segue Lèmon fino al tragico epilogo annunciato nell’incipit. Proprio come due superfici destinate a non combaciare mai, se non le rare volte in cui Lèmon viene amata per quella che è, così tutto il romanzo è pervaso da un’atmosfera di incompiutezza, per la quale Deborah D’Addetta ha appositamente coniato il termine “Maleuforia” che dà titolo al suo esordio in narrativa.

È la protagonista a fornire una definizione e al contempo farne il suo leitmotiv:

Maleuforia che, maleuforia di, maleuforia per. […] Stava bene con il mio corpo di mezzo, con la anima vocata a”.3

E ancora, 

Maleuforia […] è tutte quelle cose che sembrano trascinare il male e la tristezza e la nostalgia, ma che nel fondo fangoso della loro natura lasciano intravedere la grazia, l’incanto, la perfezione delle cose incompiute”.4

Una certa nostalgia compiaciuta, che giustifica e quasi gode della propria sofferenza, facendone un modo di vivere, di pensare, di essere. La stessa Lèmon pensa per incompiuto e lo testimoniano, ad esempio, le numerose frasi che nel testo vengono appositamente lasciate a metà.

Anche in ciò si rivela la sapiente costruzione di un mondo narrativo più reale che mai, di una Napoli degli anni ’80 in cui per i femminielli come Raffaele c’è spazio solo dove nessuno vede, ma tutti sanno e fanno. Una Napoli multiforme, che qui resta sullo sfondo per evitare che emerga in tutto il suo egocentrismo di città protagonista, come invece accade in molta della narrativa contemporanea. Deborah D’Addetta sceglie di proposito luoghi chiusi (il bordello di Donna Sofia, la casa del Cavaliere, il vascio di Maria e poi di Linda e Cleo), per ambientare gran parte della vicenda, mentre i pochi scorci della Napoli “di fuori” sono per lo più vicoli popolati da altari, santi e madonne.

la copertina del romanzo Maleuforia, di Deborah D’Addetta, edito da Giulio Perrone Editore (2024). Foto di Francesca Barracca
la copertina del romanzo Maleuforia, di Deborah D’Addetta, edito da Giulio Perrone Editore (2024). Foto di Francesca Barracca

Sacro e profano si mischiano, così, tanto nei luoghi, quanto in una lingua che si macchia via via di forme dialettali ed esplicite per restituire il ritratto più fedele di una società stratificata come quella napoletana, che accosta persone “terra terra” come Lèmon, Linda e Cleo a borghesi come Il Cavaliere, personaggio complesso che domina la seconda parte del romanzo e con il quale Lèmon costruisce il rapporto “maleuforico” per eccellenza:

[…] La sua era una maleuforia — certo, che altro sennò? —pericolosamente affine alla mia- Entrambi avevamo perso qualcuno che amavamo. Entrambi eravamo soli.”5

Insomma, il desiderio, la carne, l’identità e l’accettazione di sé, insieme a personaggi memorabili e una scrittura indimenticabile, fanno di Maleuforia una lettura dal page-turning assicurato.

la copertina del romanzo Maleuforia, di Deborah D’Addetta, edito da Giulio Perrone Editore (2024)
la copertina del romanzo Maleuforia, di Deborah D’Addetta, edito da Giulio Perrone Editore (2024)

Note: 

1 D. D’Addetta, Maleuforia, Giulio Perrone Editore, 2023, p. 15

2 Ivi, p. 23

3 Ivi, p. 52

4 Ivi, p. 345

5 Ivi, p. 225.

Write A Comment

Pin It