Sulla stampa e sui social network, in tanti hanno già provato a stabilire un parallelismo tra la non facile situazione odierna e alcuni passi dell’opera manzoniana. Data la limitata possibilità di muoversi fisicamente, speriamo che il presente girovagare, seppur in maniera esegetica, rappresenti una possibilità di evasione, per quanto breve. Mai come in questo periodo, infatti, c’è bisogno di spostarsi per recuperare se stessi: una peregrinatio tra le pagine della monumentale opera di uno dei codificatori della lingua italiana, la stessa peregrinazione alla quale furono costretti i giovani protagonisti della storia, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, per recuperare la quotidianità perduta, potrà forse aiutare anche noi stessi oggi a riconquistare la nostra. Il ripetersi dell’aggettivo “stesso” in queste righe introduttive potrebbe già suggerire la serie di assonanze che ho rintracciato nella breve analisi che sto per esporre: una ripetitività che suggella un legame atavico tra il presente e un presente “vecchio” di duecento anni.

Prenderemo quindi in esame una serie di capitoli, quelli successivi al nucleo-cerniera relativo al personaggio della Monaca di Monza, ovvero i capitoli XI, XII, XIII, e XIV, dove Manzoni cinematograficamente sposta l’inquadratura su Renzo. Narra così le incredibili vicissitudini di un umile filatore di seta di provincia, che giunge in una metropoli in preda ai tumulti: Milano. Una ricetta vincente che non può non ricondurre il lettore ai fatti attuali, destando un’intrigante curiosità.

I rivoltosi nell’illustrazione di Francesco Gonin, dall’edizione del 1840: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII di Alessandro Manzoni. Tip. Guglielmini e Radaelli. Immagine Internet Archive in pubblico dominio

L’11 novembre 1628, data in cui l’autore colloca la scena presa in esame, il capoluogo lombardo è afflitto dal tumulto di San Martino, una sommossa popolare denominata anche “rivolta del pane”. Questi disordini sociali erano frutto di un evento di maggiore portata storica: la carestia. Chiunque conosca i Promessi Sposi sa che queste pagine sono topiche, emblematiche, e per la prima volta l’autore, attraverso le sue consuete e dettagliate digressioni storiche, rivolge un’inedita attenzione esplicita alla carestia e, allestendo un’intelaiatura saggistica, rischiara al lettore le reali cause dell’evento, fino a quel punto soltanto accennate tinteggiando qua e là scene-simulacro. Lo scarso raccolto del 1628 e lo spreco delle risorse agricole causato dalla guerra del Monferrato generarono una situazione tremenda e il rincaro dei prezzi fu solo la goccia che fece traboccare rabbia e disperazione. E prende forma un personaggio multiforme, allo stesso tempo prevedibile e complesso: la massa. Lo studio del comportamento della folla inferocita che assalta i fornai, induce chiunque a riflettere con sorpresa e impegno: la paura genera irrazionalità, la stessa che ha travolto e trascinato noi tutti a compiere gesti insensati nelle scorse settimane. E anche ai nostri giorni la gente si è riversata nei supermercati per fare incetta di beni di prima necessità; l’egoismo e l’inclinazione alla sopravvivenza sono tratti che accomunano l’uomo di ogni luogo e di ogni epoca, e questo Manzoni lo aveva capito bene, con una maturata rassegnazione.

Renzo, spettatore ignaro, subisce il corso della storia e viene risucchiato dal flusso caotico delle peripezie, suscitando nel lettore istanti di tenerezza: Milano non è il paese della cuccagna, dell’opulenza e dello spreco, ma è la città delle contestazioni e dei malumori, scaturiti da un’errata e superficiale gestione politica. La visione liberista dello scrittore milanese bolla negativamente la disposizione del calmiere da parte del demagogo Ferrer, confermando le carenze di una classe dirigente inadeguata. Ma il gran cancelliere spagnolo, tra i personaggi d’autorità descritti da Manzoni, rivela una personalità più complessa e articolata, caratterizzata dal bilinguismo e dalla dissimulazione, le armi adoperate per sedare gli animi aizzati di rivoltosi e affamati. Infatti, con autorevolezza, astuzia e una sapiente dose di teatralità, atteggiandosi a istrione, si eleva sul pulpito e comincia a recitare, e con la sua performance salva il pusillanime vicario di Provvisione da un ingiusto linciaggio, riuscendo addirittura ad apparire come un eroe salvatore. Il consenso plenario, che si configura come il giubilo della menzogna, conferma che la massa popolare, irriflessiva e veemente, è dominata dalla capziosità del potere.

Renzo e il sedicente Ambrogio Fusella (di professione spadaio, in realtà un “bargello travestito”) arrivano all’osteria, la locanda della Luna piena, nell’illustrazione di Francesco Gonin, dall’edizione del 1840: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII di Alessandro Manzoni. Tip. Guglielmini e Radaelli. Immagine Internet Archive in pubblico dominio

L’inizio della quarantena, la “quiete” dopo la tempesta, il passaggio dall’aperto al chiuso, dalle strade all’osteria, dalla voce civile e pubblica al sospiro introspettivo. Il giovane e baldanzoso protagonista, dopo aver arringato i facinorosi con la sua prima orazione pubblica a sostegno della mobilitazione di massa, un “debol parere” che avrà invece vigorose ripercussioni sulle scene seguenti, logorato dall’andamento incalzante della giornata, va alla ricerca di un luogo dove rifocillarsi. L’ingresso nella locanda della Luna piena, frequentata dai “compagnoni”, dai delinquenti, dai loschi avventori, simboleggia lo spartiacque narrativo del capitolo e, di fatto, una sorta di rituale di iniziazione per Lorenzo Tramaglino.

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L’osteria, la locanda della Luna piena, nell’illustrazione di Francesco Gonin, dall’edizione del 1840: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII di Alessandro Manzoni. Tip. Guglielmini e Radaelli. Immagine Internet Archive in pubblico dominio

Il topos dell’osteria potrebbe richiamare le mura domestiche, il focolaio familiare che abbiamo riscoperto nell’ultimo periodo. È il luogo dei bisogni elementari, il luogo protetto dove si riverberano le voci del mondo esterno, dove si consuma la degradazione da animale sociale ad essere sensibile e istintivo. Ma il senso non è spregiativo, anzi, riflette una condizione umana che sancisce il recupero di vecchie consuetudini, a lungo trascurate. Renzo, proiettato nello spazio di una dimensione di autocoscienza e riflessione, ripercorre la memoria e rimugina sul passato, lasciandosi andare al traviamento.

Renzo continua a parlare nell’osteria della Luna Piena, nell’illustrazione di Francesco Gonin, dall’edizione del 1840: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII di Alessandro Manzoni. Tip. Guglielmini e Radaelli. Immagine Internet Archive in pubblico dominio

Il giovane è circondato da «compagnoni», da figure losche, da ignoti sgherri, che evocano i prepotenti e i birboni che lo hanno tormentato nel recente passato; la recrudescenza dell’umanità è visibile in ogni oscuro meandro dell’angusta locanda, e chi passa da quell’«usciaccio» è consapevole che si ritroverà davanti i propri demoni, pronto a un rituale di iniziazione. L’osteria è un locus multōrum, deputato alla collettività, al ludico e faceto assembramento; ma è anche lo spatium del personale annichilimento, delle aporie, della privata consapevolezza. La carestia, come il morbo, penetra ovunque, nella carne e nelle menti, sovvertendo gli equilibri e riallineandoli, rovesciando le gerarchie fittizie di pensiero e gli schemi di comportamento.

Renzo Tramaglino oramai ubriaco nell’osteria, la locanda della Luna piena, nell’illustrazione di Francesco Gonin, dall’edizione del 1840: I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII di Alessandro Manzoni. Tip. Guglielmini e Radaelli. Immagine Internet Archive in pubblico dominio

L’attualità dell’opera manzoniana permette di fare speculazioni in tempo di isolamento, di ragionare sulla realtà e la storia; leggere queste pagine apre nuove porte e delinea nuovi orizzonti dell’ego. Il viaggio del giovane protagonista si configura come un iter di formazione, e rivela l’intento pedagogico e moralistico di Manzoni, a distanza di secoli ancora capace di trasmetterci insegnamenti.

Bibliografia

Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, con commento di Romano Luperini e Daniela Brogi, Milano, 2013.

Enzo Noè Girardi, Il tumulto di San Martino, in Manzoni “reazionario”, pp. 19 ss., Bologna 1972;

Cesare Angelini, L’osteria della Luna piena, in Capitoli sul Manzoni vecchi e nuovi, pp. 236-239, Milano 1966.

Sandro Modeo, Dalla peste al Coronavirus: la «seconda volta» della Lombardi, Corriere della Sera, 21 marzo 2020.

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