PER I SEICENTO ANNI DI FEDERICO DA MONTEFELTRO URBINO TORNA “CROCEVIA DELLE ARTI”
Il 23 giugno, alle ore 11, nella Galleria Nazionale delle Marche viene presentata ai media la grande mostra che celebra il sesto anniversario della nascita del Duca. Ben 80 opere provenienti anche da paesi europei e dagli Stati Uniti. Inoltre, nella prima sala dell’Appartamento degli Ospiti si vedrà una piccola mostra con la ricostruzione di sei abiti storici: due richiameranno gli abiti del Dittico di Urbino custodito agli Uffizi; gli altri quattro saranno rifacimenti di abiti dell’epoca.
A distanza di due mesi e mezzo dall’inaugurazione delle prime sei sale recuperate al secondo piano di Palazzo Ducale di Urbino, gli spazi della Galleria Nazionale delle Marche tornano protagonisti di una nuova, attesissima inaugurazione.
È prevista per giovedì 23 giugno, alle ore 11 la presentazione (e alle ore 17 l’inaugurazione) della mostra Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio: Urbino crocevia delle arti, curata da Alessandro Angelini, Gabriele Fattorini e Giovanni Russo, che propone ben 80 opere – tra pitture, sculture, disegni, medaglie, affreschi staccati e codici -, un terzo delle quali provenienti dall’estero.
Sarà un interessante viaggio attraverso un periodo cruciale sia per la storia di Urbino e della sua corte, sia per la storia dell’arte italiana, che a quegli anni deve molto.
«Il Duca Federico – dice Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche – seppe trasformare Urbino in una capitale del Rinascimento: alla sua corte si incontrarono artisti e letterati di estrazione e provenienza diversa le cui reciproche influenze generano un clima culturale che si ripercuoterà nei decenni a venire. Quell’ambiente, che vide incontrarsi pittori come Piero della Francesca, Giusto di Gand, Pedro Beruguete e Luca Signorelli, gli architetti Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini e Donato Bramante, fu l’humus dal quale fiorì la genialità di Raffaello e sul quale, Baldasar Castiglione, plasmò il Cortegiano».
La mostra sarà arricchita dal catalogo edito da Marsilio, che oltre alle foto e alle schede delle opere, recherà i testi dei tre curatori, del Direttore della Galleria Nazionale delle Marche Luigi Gallo e altri saggi.
Inoltre, per l’intero periodo della mostra sarà visibile la ricostruzione di sei abiti storici dell’epoca di Federico da Montefeltro.
La mostra – che resterà visibile fino al prossimo 9 ottobre 2022 – si svilupperà attraverso sette diverse sezioni.
La prima, dal titolo “Ritorno di Federico da Montefeltro a Urbino. Piero e gli antefatti prospettici (1462-1476)”, avvia intorno alla metà dell’ottavo decennio del Quattrocento, dall’epoca in cui Francesco di Giorgio viene incaricato del ruolo di ‘architettore’ del duca, assumendosi le funzioni anche di soprintendere ai lavori strutturali e decorativi per la fabbrica del palazzo, oltreché a quelli dei cantieri prevalentemente militari sparsi nel territorio feltresco. Sono gli anni durante i quali, anche per la presenza più costante di Federico da Montefeltro a palazzo, Urbino diviene sempre più un vero crocevia delle arti, con una vocazione di cosmopolitismo difficilmente rilevabile in altre corti italiane dell’epoca. Caratterizzano questa parte iniziale della mostra il busto di Francesco Laurana proveniente dal Museo Nazionale del Bargello di Firenze, accompagnato dalla Flagellazione appartenente al periodo in cui Piero operava per le corti adriatiche.
Nella seconda sezione, “Francesco di Giorgio da Siena a Urbino”, si entra nel cuore dell’argomento della mostra con la convocazione a Urbino del celebre artista e architetto senese Francesco di Giorgio, attestato con certezza presso la corte almeno dal 1477. La sezione contempla alcune opere, sia in ambito pittorico sia in quello scultoreo, che richiamano l’attività degli ultimi anni trascorsi a Siena, il gisant bronzeo per il monumento sepolcrale del grande umanista senese Mariano Sozzini, in origine nella chiesa di San Domenico a Siena e oggi conservato al Bargello. La presenza della Madonna col Bambino e un angelo della Pinacoteca Nazionale di Siena evoca l’attività nella bottega di Francesco di Giorgio di un suo fedele collaboratore, finora non identificato anagraficamente, il così detto ‘Fiduciario di Francesco’, che probabilmente seguì come un’ombra il maestro anche a Urbino.
La sezione dedicata a “Francesco di Giorgio bronzista e plasticatore” ha l’ambizione di raccogliere i bronzi realizzati da Francesco di Giorgio al tempo dell’attività feltresca, insieme con alcune significative opere di plasticatore, utili a palesare la grande dimestichezza del maestro senese con la scultura “per via di porre”. L’opera chiave è ovviamente la Deposizione della chiesa del Carmine di Venezia, proveniente dall’oratorio della Croce di Urbino e sullo sfondo della quale Francesco di Giorgio ritrasse Federico da Montefeltro con il giovanissimo figlio Guidubaldo, verso il 1475. Vi sono poi le due versioni in stucco della Discordia – un rilievo in cui Francesco di Giorgio rivela la sua assoluta competenza prospettica e il profondo debito con la cultura donatelliana – e si completa con un grande gruppo fittile tridimensionale e policromo raffigurante il Compianto – e il relativo bozzetto -, che segna ormai il rientro a Siena del maestro verso la metà degli anni ottanta.
La quarta sezione, dal titolo “Pittura di corte all’ombra di Piero della Francesca”, offre alcune tra le opere più significative degli anni in cui il grande maestro è attivo presso la corte: la Madonna di Senigallia, che nei loro sfondi architettonici, così misurati e razionali, paiono ispirarsi agli stessi interni del palazzo urbinate. Accanto vedranno la loro presenza dipinti di un allievo diretto del grande borghigiano, come il giovane cortonese Luca Signorelli al quale si deve anche una tavola con il Ritratto di Guidubaldo da Montefeltro bambino di cinque anni circa, conservata oggi nella Collezione Thyssen di Madrid. Proseguendo con esempi di ritrattistica di corte, ci si augura di poter accostare il celebre Ritratto di Federico da Montefeltro con Guidubaldo bambino di Pedro Berruguete all’altro Ritratto di Guidubaldo da Montefeltro di circa dieci anni, conservato nella Galleria Colonna di Roma e eseguito da Bartolomeo della Gatta.
La sezione dal titolo “Cultura prospettica e lume fiammingo” mette in evidenza che in pittura l’ambiente urbinate di quegli anni si caratterizzò per straordinarie sperimentazioni, quale centro d’avanguardia in Italia. Il suo mirabile cosmopolitismo, di cui è testimonianza letteraria di prima mano la Cronaca rimata di Giovanni Santi, vede la presenza di supremi artisti italiani, come Piero della Francesca, e di maestri di cultura fiamminga, come Giusto di Gand, o il castigliano Pedro Berruguete, che nei suoi ritratti mostra una mirabile sintesi di soluzioni prospettiche assai complesse e di valori epidermici da grande pittore ‘ponentino’; una cultura che risaliva agli illustri fondatori della pittura nordica.
Infine la sesta e la settima sezione della mostra sono dedicate a “Francesco di Giorgio “architetto prediletto” del duca” – col proposito di illustrare il gusto per un’architettura razionale e all’antica che emerge a corte alla presenza del maestro senese – e a “Il cantiere del palazzo e l’ornato all’antica”, un sorta di itinerario all’interno del palazzo, per andare alla scoperta del cantiere della “città in forma di palazzo”, segnata da uno stile architettonico e di ornato all’antica di stretto gusto albertiano. In realtà l’Alberti, attestato a Urbino nel 1464 solo di passaggio, può aver offerto solo idee e spunti per un impianto che fu elaborato invece da Luciano Laurana nel corso degli anni sessanta e settanta, e poi specificamente da Francesco di Giorgio, per quanto concerne la soluzione finale e l’assetto definitivo dell’architettura con le sue preziose decorazioni.
La “rinascita” di sei abiti storici
A Urbino si raddoppia. Da giovedì 23 giugno fino al prossimo 9 ottobre alla Galleria Nazionale delle Marche saranno due – e non una sola – le mostre che celebreranno i 600 anni dalla nascita del duca Federico di Montefeltro.
Alla prevista esposizione Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio: Urbino crocevia delle arti, nelle stesse date e sempre a Palazzo Ducale se ne aggiungerà un’altra dal titolo «Quando vedranno i richi vistimenti». Federico da Montefeltro e Battista Sforza. Vesti e Potere nel primo Rinascimento italiano, a cura dell’“Atelier di Battista” di Urbino di Carolina Sacchetti e organizzata dalla Galleria Nazionale delle Marche.
In pratica si tratterà di una piccola mostra con la ricostruzione di sei abiti storici del XV secolo: due richiameranno gli abbigliamenti del Dittico di Urbino di Piero della Francesca, il famoso doppio dipinto custodito nella Galleria degli Uffizi di Firenze; gli altri quattro (due femminili e due maschili) saranno rifacimenti fedeli di abiti dell’epoca, frutto di un approfondito studio delle fonti storiche, giacché degli originali abiti dell’epoca purtroppo a noi non è giunto niente.
La mostra sarà allestita nella prima sala dell’appartamento degli Ospiti di Palazzo Duca (per intenderci quella dove sono esposte normalmente due autentici capolavori come la Flagellazione e la Madonna di Senigallia).
Nasce il concetto di eleganza
Dal tardo Medioevo vesti ed ornamenti iniziarono ad assumere un’importanza sociale notevole: buona parte della produzione artigiana dell’epoca era destinata alla realizzazione di stoffe, gioielli, vesti e accessori indispensabili per sottolineare lo status sociale degli individui. Le liste dotali di fanciulle nobili erano quasi totalmente composte da vesti e gioielli, come anche gli inventari dei beni dei grandi signori, in cui sono costantemente presenti l’elencazione di abiti sfarzosi e gioielli per ogni occasione, preziosi che spesso venivano offerti in dono in occasione di matrimoni e fidanzamenti, visite importanti o semplicemente per ostentare il lusso sfrenato.
Fu proprio nelle raffinate corti italiane del XV secolo che iniziò a diffondersi tanto il moderno concetto di eleganza, cioè il distinguersi attraverso l’accostamento di diversi tessuti, colori e fogge, quanto lo sviluppo di atteggiamenti sociali che contrapponevano la classe aristocratica, che faceva dell’abito uno specchio autocelebrativo, alla ricca borghesia mercantile, che vedeva nelle vesti anche un bene patrimoniale.
Le corti italiane, centri di diffusione culturale al pari della corte di Borgogna, si fecero promotrici di raffinata eleganza. È proprio in questo contesto che va collocata la raffinatezza della corte urbinate, che sotto il governo di Federico e di Battista, influenzati dalla moda fiamminga, raggiunse uno dei momenti di maggior splendore. Le immagini dei duchi raccontano il potere soprattutto attraverso le fogge e i colori delle vesti.
In un tale scenario ricostruire alcuni dei preziosi apparati vestimentari dei Signori di Urbino si è resa un’esigenza, poiché nulla si è conservato degli “oggetti della moda” del loro tempo. Attraverso le ricostruzioni artigianali delle vesti, realizzate con un approfondito studio storico sulle fonti e sui reperti disponibili, si è voluta restituire l’idea di eleganza della corte feltresca.
———————————————————————————————————————————————————-
———————————————————————————————————————————————————-
INFO MOSTRA
Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio:
Urbino crocevia delle arti (1475-1490)
A cura di Alessandro Angelini, Gabriele Fattorini e Giovanni Russo
dal 23.06.2022 al 09.10.2022
Inaugurazione 23.06.2022 ore 17
Orari: da martedì a domenica: dalle 8:30 alle 19:15 (chiusura biglietteria ore 18:15);
Ingresso: € 8 intero; € 2 ridotto; € 1 prenotazione
Catalogo edito da Marsilio con i testi dei curatori, del Direttore Luigi Gallo e altri saggi
Galleria Nazionale delle Marche
Palazzo Ducale di Urbino
Piazza Rinascimento 13, 61029 Urbino (PU)
Telefono: 0722 2760
www.gallerianazionalemarche.it
———————————————————————————————————————————————————-
ALLA CORTE DI FEDERICO NASCE IL CONCETTO DI ELEGANZA UNA MOSTRA PER CELEBRARLO
Dal 23.06 al 09.10, in concomitanza con la mostra di Federico e Francesco di Giorgio, nella I sala dell’Appartamento degli Ospiti sarà allestita una piccola mostra con la ricostruzione di sei abiti storici: due richiameranno gli abiti del Dittico di Urbino custodito agli Uffizi; gli altri quattro saranno ricostruzioni di abiti dell’epoca.
A Urbino si raddoppia. Da giovedì 23 giugno fino al prossimo 9 ottobre alla Galleria Nazionale delle Marche saranno due – e non una sola – le mostre che celebreranno i 600 anni dalla nascita del duca Federico di Montefeltro.
Alla prevista esposizione Federico da Montefeltro e Francesco di Giorgio: Urbino crocevia delle arti – curata da Alessandro Angelini, Gabriele Fattorini e Giovanni Russo e che proporrà ben 80 opere tra pitture, sculture, disegni, medaglie, affreschi staccati e codici – nelle stesse date e sempre a Palazzo Ducale se ne aggiungerà un’altra dal titolo «Quando vedranno i richi vistimenti». Federico da Montefeltro e Battista Sforza. Vesti e Potere nel primo Rinascimento italiano, a cura dell’“Atelier di Battista” di Urbino di Carolina Sacchetti e organizzata dalla Galleria Nazionale delle Marche.
In pratica si tratterà di una piccola mostra con la ricostruzione di sei abiti storici del XV secolo: due richiameranno gli abbigliamenti del Dittico di Urbino di Piero della Francesca, il famoso doppio dipinto custodito nella Galleria degli Uffizi di Firenze; gli altri quattro (due femminili e due maschili) saranno rifacimenti fedeli di abiti dell’epoca, frutto di un approfondito studio delle fonti storiche, giacché degli originali abiti dell’epoca purtroppo a noi non è giunto niente.
La mostra sarà allestita nella prima sala dell’appartamento degli Ospiti di Palazzo Duca (per intenderci quella dove sono esposte normalmente due autentici capolavori come la Flagellazione e la Madonna di Senigallia).
Nasce il concetto di eleganza
Dal tardo Medioevo vesti ed ornamenti iniziarono ad assumere un’importanza sociale notevole: buona parte della produzione artigiana dell’epoca era destinata alla realizzazione di stoffe, gioielli, vesti e accessori indispensabili per sottolineare lo status sociale degli individui. Le liste dotali di fanciulle nobili erano quasi totalmente composte da vesti e gioielli, come anche gli inventari dei beni dei grandi signori, in cui sono costantemente presenti l’elencazione di abiti sfarzosi e gioielli per ogni occasione, preziosi che spesso venivano offerti in dono in occasione di matrimoni e fidanzamenti, visite importanti o semplicemente per ostentare il lusso sfrenato.
Fu proprio nelle raffinate corti italiane del XV secolo che iniziò a diffondersi tanto il moderno concetto di eleganza, cioè il distinguersi attraverso l’accostamento di diversi tessuti, colori e fogge, quanto lo sviluppo di atteggiamenti sociali che contrapponevano la classe aristocratica, che faceva dell’abito uno specchio autocelebrativo, alla ricca borghesia mercantile, che vedeva nelle vesti anche un bene patrimoniale.
Le corti italiane, centri di diffusione culturale al pari della corte di Borgogna, si fecero promotrici di raffinata eleganza. È proprio in questo contesto che va collocata la raffinatezza della corte urbinate, che sotto il governo di Federico e di Battista, influenzati dalla moda fiamminga, raggiunse uno dei momenti di maggior splendore. Le immagini dei duchi raccontano il potere soprattutto attraverso le fogge e i colori delle vesti.
In un tale scenario ricostruire alcuni dei preziosi apparati vestimentari dei Signori di Urbino si è resa un’esigenza, poiché nulla si è conservato degli “oggetti della moda” del loro tempo. Attraverso le ricostruzioni artigianali delle vesti, realizzate con un approfondito studio storico sulle fonti e sui reperti disponibili, si è voluta restituire l’idea di eleganza della corte feltresca.
Alcune note sugli abiti quattrocenteschi femminili
La sovrapposizione dei diversi capi di abbigliamento, utilizzati per proteggersi dalle intemperie, diviene progressivamente indice di benessere e manifestazione esplicita di ricchezza. Mai come nel XV secolo giustifica la suddivisione delle vesti femminili e maschili nelle due categorie fondamentali di “robe larghe per di sopra” e “vestiti strecti per di sotto”.
Nel guardaroba femminile di base troviamo camicia, gamurra o cotta, cioppa e giornea.
La camicia, indossata per prima, è visibile dalla veste all’altezza dello scollo, lungo l’apertura anteriore dello sparato, o attraverso gli spacchi delle maniche, da cui fuoriesce a sbuffi. È in tela di lino finissima e, come quella maschile, è molto presente nei documenti d’archivio.
Sopra della camicia si indossa la gamurra o la cotta, entrambe vesti “strette per di sotto”. Dal punto di vista sartoriale non presentano molte differenze essendo entrambe aperte sul davanti, dove sono presenti magliette che lasciano passare lacci decorati da puntali oppure ganci nascosti per la chiusura sul petto. Entrambe hanno maniche lunghe ai polsi, serrati anch’essi da magliette o bottoni, con scollo tondo sul davanti e leggermente a punta sul didietro, a vita leggermente alta secondo il gusto dell’epoca. Grazie alle fonti iconografiche e ai pochissimi reperti pervenutici sappiamo che avevano uno strascico più o meno ampio.
Le differenze sostanziali tra le due vesti, che corrispondono anche alle diverse occasioni d’uso, consistono nelle decorazioni e nel tessuto utilizzato per confezionarle. Le gamurre sono prevalentemente in panno di lana o in tessuti più sobri, le cotte invece in tessuti pregiati di seta operata, damaschi, broccati, velluti, e sono ornate con sfarzosi ricami e pietre preziose. Nei documenti urbinati quattrocenteschi figurano spesso ricche camorre (gamurre) realizzate con tessuti come raso alexandrino (azzurro) o pano d’oro.
Tra le sopravvesti più diffuse troviamo la cioppa e la giornea. La cioppa è sicuramente la veste che meglio risponde ai canoni dell’epoca, anche grazie all’imponenza della sua linea, e per questo è molto presente nel guardaroba di nobildonne e ricche borghesi. Si presenta molto aderente alla parte alta del busto, più larga nella parte terminale e sullo strascico, foderata di seta o spesso anche di pelliccia. Era quindi più diffusa nel periodo invernale, con maniche molto larghe, lunghe e spesso decorate. Sul busto poteva essere realizzata con la tecnica “dell’incannucciata”, una lavorazione tipica del Quattrocento, che permette la realizzazione di pieghe cilindriche a “canne d’organo”. Una sontuosa cioppa con ricami e perle ai polsi e allo scollo è indossata dalla dama in verde nella Presentazione della Vergine al Tempio di Fra Carnevale.
Altra sopravveste molto apprezzata è la giornea femminile che, al pari di quella maschile, era una sopravveste molto ampia e totalmente aperta sui fianchi, in modo da lasciar ammirare le vesti sottostanti. Anch’essa poteva essere foderata di pelliccia per il periodo invernale, oppure con tessuti più leggeri e preziosi come la seta. Nel celebre Doppio ritratto di Piero della Francesca, Battista Sforza indossa proprio una giornea sopra una sontuosa cotta o gamurra in panno d’oro con il famoso motivo “a griccia”. La signora d’Urbino nel dipinto veste questo tipo di abito realizzato con un prezioso velluto dal motivo a broccato, ormai quasi completamente inscurito. Il colore scelto è infatti un nero intenso, tinta tra le più pregiate e dalle importanti valenze simboliche, ma anche il colore preferito alla corte di Borgogna dalla quale si irradiavano i dettami di sontuosa eleganza verso tutte le corti europee. Questi giunsero sicuramente anche a Urbino attraverso i rapporti che Federico e Battista coltivarono durante gli anni della loro Signoria.
Alcune note sugli abiti quattrocenteschi maschili
L’abbigliamento maschile era uno dei principali mezzi attraverso cui veicolare il concetto di potere e l’appartenenza ad un determinato status sociale. Il guardaroba maschile di base era costituito dalla camicia, farsetto e calzebraghe.
La camicia, realizzata in tela di lino finissima, è spesso citata negli inventari dell’epoca sia come indumento finito, sia come braccia di tessuto che servivano per confezionarla.
A essa si sovrappone il farsetto, parte essenziale del vestiario maschile che corrisponde a una specie di giubbetto, e che nella seconda metà del secolo è corto e aderente al busto. Il farsetto poteva avere maniche larghe fino al gomito con dei polsini che proseguivano stretti sugli avambracci, chiusi da abbottonature. Da originario capo legato all’ambito militare (farsetto = da farcia, ovvero l’imbottitura sotto l’armatura) si passò a versioni sempre più eleganti, in seta e damaschi, oppure con panni lana di diversi colori, tra cui il cremisi, un rosso vivo molto pregiato. Il farsetto è spesso citato nei documenti d’archivio urbinati come giubone o zupone, gippone o zupparello.
Al farsetto erano legate le calzebraghe, cioè la copertura da gamba, che i documenti descrivono sempre realizzate in panno di lana, e che nel modello semplice erano tagliate in un solo pezzo con una lunga cucitura lungo il centro dietro della calza. Le calzebraghe potevano essere provviste di una suola, quindi solate, e venivano ancorate al farsetto con un sistema di allacciature con lacci rifiniti da puntali.
A questi indumenti basilari si aggiungevano diversi modelli di sopravvesti in base all’occasione e al ruolo, oltre che al gusto per le fogge più di moda. Tra le sopravvesti più diffuse troviamo la giornea. Di origine militare come sovracotta d’arme, si presenta come un’ampia veste, corta alla coscia, aperta sui fianchi e stretta in vita da una cintura. Sprovvista di maniche e con una scollatura a punta sul didietro, poteva essere realizzata con tessuti anche pregiati e con ricche decorazioni. Un esempio di giornea di Federico da Montefeltro di velluto cremisi, confezionata “all’incannucciata”, cioè con pieghe cilindriche a “canne d’organo” è miniato nel codice delle Disputationes Camaldulenses di Cristoforo Landino.
Altra sopravveste molto diffusa è la cioppa, un’ampia veste aperta sul davanti con ampie maniche, realizzata in tessuti pregiati e foderata in panno, pelliccia o seta. La lunghezza di questo tipo di indumento era solitamente riconducibile all’età o al ruolo sociale della persona che lo indossava.
La versione corta, chiamata cioppetta, era normalmente scelta da giovani uomini. Un esempio di cioppetta, anche se alla moda fiamminga, è la sopravveste dell’uomo inginocchiato nell’Allegoria della Musica di Pedro Berruguete che decorava lo studiolo del Palazzo Ducale di Gubbio.
La cioppa nella versione classica o lunga era solitamente indossata da uomini adulti, dottori o magistrati, ma soprattutto da coloro che rivestivano un ruolo superiore nella scala gerarchica come principi e signori. Una lunga cioppa foderata di pelliccia è quella indossata da un personaggio della Flagellazione di Piero della Francesca, abbigliato di un prezioso drappo blu e oro a “griccia”, uno dei motivi decorativi più apprezzati nel XV secolo e tra i prediletti dalla corte urbinate.
Una sontuosa cioppa di velluto di seta è indossata da Federico da Montefeltro nel celebre Dittico di Piero della Francesca. In questo caso si tratta di una sopravveste rosso cremisi, colore riservato a gentiluomini e che secondo il significato araldico dell’epoca è “colore di grande dignità” che indica “altezza d’animo, valore ed ardimento”.
A corredo delle sontuose vesti, particolare importanza era rivestita dagli accessori come copricapi, cinture o gioielli. È il caso del berretto alla capitanesca, copricapo in stile rinascimentale indossato da signori e condottieri proprio per sottolineare il ruolo di comando militare. La capitanesca ha forma cilindrica, a tesa alta, con la calotta superiore più larga. Nel ritratto di Federico di Piero della Francesca la calotta superiore è più pronunciata grazie a un rigonfiamento tondeggiante, e il copricapo è realizzato in panno lana color scarlatto.
———————————————————————————————————————————————————-
———————————————————————————————————————————————————-
Testi e foto dalla Galleria Nazionale delle Marche