Rubens, un libero genio alla corte dei Gonzaga – la mostra all’Archivio di Stato di Mantova

Il soggiorno mantovano di Rubens è, in realtà, costellato di viaggi in altre città italiane ed europee in veste sì d’artista, ma anche di diplomatico per il ducato dei Gonzaga; lo testimonia il nucleo di documenti autografi in mostra all’Archivio di Stato di Mantova in un percorso dal titolo Rubens, un libero genio alla corte dei Gonzaga

La mostra – curata dalla direttrice dell’Archivio Luisa Onesta Tamassia e dallo storico dell’arte e professore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Paolo Bertelli – si colloca a latere del progetto RUBENS! La nascita di una pittura europea che vede a Mantova una mostra a Palazzo Te ed è un ottimo approfondimento della figura del fiammingo tramite le sue stesse parole. 

Rubens a Palazzo Te: risonanze in dialogo dall’antico all’Europa

Il percorso è ordinato cronologicamente, partendo da un nucleo di epistole autografe di Pieter Paul Rubens indirizzate al segretario ducale, Annibale Chieppio, a cui l’artista affida molte considerazioni personali a testimonianza del periodo che trascorre al servizio del duca Vincenzo I, dei suoi spostamenti per missioni diplomatiche e della ricerca di opere da annettere alla già grande – per quantità e qualità – collezione della Celeste Galleria, fino ad arrivare ai documenti tardo settecenteschi che chiariscono le vicende intorno alla dispersione del trittico della Santissima Trinità.

All’agosto 1601 risale la prima lettera, scritta dal cardinale Montaldo, che documenta il servizio di Rubens – al momento a Roma per studio – per la corte mantovana. 

Una lettera, firmata da Jean Richardot (diplomatico dell’Arciduca Alberto, governatore delle Fiandre), che richiede al duca Vincenzo I un prolungamento del soggiorno dell’artista per completare la pala per la cappella di Sant’Elena nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme (Roma) conferma la presenza di Rubens nella capitale per qualche mese, alla fine del 1602. Qui, nella parte finale, si allude alla committenza del trittico per l’abside della chiesa della SS. Trinità a Mantova.

Rubens, un libero genio alla corte dei Gonzaga – la mostra all’Archivio di Stato di Mantova. Gallery con foto di Alice Ferrari

 

L’attività da diplomatico in Spagna ed il “fumo delle corti”

La principale attività diplomatica portata avanti dal fiammingo avviene in Spagna alla corte dei sovrani cattolici, come dimostrano le lettere indirizzate a Chieppio in cui l’artista – ricevuto dal Granduca di Toscana al momento dell’imbarco dal porto di Pisa nel marzo 1603 – si dice “imbalordito” (stupito) dalla quantità di dettagli della missione e sulla sua stessa attività artistica conosciuti dal Granduca. 

Da questo ambiente di corte – in cui le indiscrezioni corrono – Rubens prende le distanze in una missiva risalente alla fine del 1603 quando, di ritorno dalla missione in Spagna, risponde al duca mantovano (che gli aveva precedentemente richiesto di passare per la Francia per realizzare dei ritratti ai sovrani), affermando che preferirebbe essere impiegato per opere più congeniali ai suoi interessi ed alla sua preparazione.

 

La commissione per la pala della chiesa di S. Maria in Vallicella a Roma

Nel dicembre 1606 il fiammingo si rivolge al segretario Chieppio spiegando di aver accettato l’incarico per la realizzazione di una pala per la chiesa di S. Maria in Vallicella per necessità ( non riesce infatti a mantenersi con i 140 scudi forniti dai Gonzaga) e chiedendo di poter intercedere col duca affinché gli conceda un prolungamento del soggiorno romano o che gli permetta di tornare nella capitale l’anno dopo.  

Due anni dopo (1608) Rubens è ancora a Roma, dove ha completato la Pala della Vallicella e confessa in una lettera a Chieppio di essere molto scontento dell’illuminazione della chiesa (per altri riferimenti alla storia qui). Ha quindi deciso di creare una copia della pala in ardesia da destinare alla chiesa e propone al duca l’acquisto dell’originale, un olio su tela, per la Celeste Galeria.

Oggi sappiamo che la pala non verrà acquistata dai Gonzaga, Rubens la riporterà ad Anversa e la farà deporre sulla tomba della madre. 

 

Trattative per l’acquisto del dipinto Morte della Vergine di Caravaggio

Tornando al 1606, Rubens sollecita il duca – in una lettera sempre indirizzata a Chieppio – al pagamento del suo salario da pittore di corte per la continuazione dei suoi studi (ancora a Roma), minacciandolo di interrompere il suo servizio e ritirarsi definitivamente nella città capitolina dove le offerte di lavoro non mancano. Il mancato pagamento dell’artista è un fatto che avviene spesso, come testimoniato da altre lettere di sollecito conservate nell’Archivio Gonzaga.

In quegli anni l’artista di Siegen lavora per i Gonzaga principalmente come intermediario per l’acquisizione di nuove opere per la quadreria ducale; in particolare è suo l’interesse per l’acquisto della Morte della Vergine di Caravaggio che, avendo suscitato grande scalpore, era stata rifiutata dai committenti, l’ordine dei Carmelitani Scalzi. 

In seguito alle trattative portate avanti da Rubens, l’olio su tela giungerà effettivamente a Mantova in cambio di 280 scudi, dove rimarrà fino a quando la collezione Gonzaga verrà alienata al re d’Inghilterra, Carlo I Stuart, a causa del decadimento finanziario della famiglia a partire dal 1625. 

 

L’incarico per l’acquisto di un quadro del Pomarancio

Le opere del Pomarancio, al secolo Cristoforo Roncalli (artista dalla formazione fiorentina che lavorò soprattutto a Roma),  sono molto apprezzate e richieste dalle principali corti italiane ed i Gonzaga non sono da meno. Abituati alle trattative mantovane, richiedono infatti a Rubens di negoziare per l’acquisto di un quadro, ma l’artista non si smuove dai 500 scudi richiesti inizialmente e l’acquisto da parte dei duchi sfuma. 

Una lettera firmata da Giovanni Magni – corrispondente dei Gonzaga a Roma – e destinata alla duchessa Eleonora de’ Medici, moglie di Vincenzo I, è un’importante testimonianza delle trattative avvenute per il quadro ed in particolare relaziona circa la stima fatta da Rubens per l’opera del Pomarancio che, secondo questa missiva, avrebbe dovuto adornare la cappella privata della duchessa. 

In una lettera successiva alle trattative sfumate, Rubens si appella ai duchi mantovani, chiedendo di essere lasciato libero nel suo lavoro di contrattazione, in modo da non ripetere una situazione simile a quella accaduta col Pomarancio e creargli disagi per suoi futuri lavori a Roma. 

 

Il commiato dall’Italia

In una lettera dell’ottobre 1608 apprendiamo che il fiammingo – tornato a Roma dopo un breve soggiorno mantovano – ha completato la Pala della Vallicella e si appresta a partire a cavallo in tutta fretta e raggiungere il duca Vincenzo ad Anversa (che era già nelle Fiandre per motivi politici), per potersi recare al capezzale della madre morente. Si scusa quindi con la duchessa Eleonora per non passare per Mantova e congedarsi di persona. 

Nonostante la veloce fuga dall’Italia, l’artista rimarrà in buoni rapporti con il ducato mantovano: realizzerà infatti nel 1611 una Resurrezione di Lazzaro, oggi perduta, ma testimoniata da una missiva del duca Vincenzo al Monsignor Recordati del dicembre di quell’anno. 

 

Il nucleo di documenti che ripercorrono la storia del Trittico della SS. Trinità

In un registro dell’ordine dei Gesuiti (proprietari del complesso architettonico comprendente la chiesa della SS. Trinità, il palazzo – ex collegio e convento dell’Ordine – ora sede dell’Archivio di Stato, la torre dei Gambulini e il Palazzo degli Studi, ora sede del Liceo Ginnasio Virgilio con la Specola) si dà atto che la duchessa Eleonora d’Austria, moglie del duca Guglielmo Gonzaga, dona all’Ordine un terreno nella zona di Sant’Antonio. 

Nel testamento della sopra citata Eleonora viene manifestata la volontà della duchessa di  essere sepolta nella chiesa della SS. Trinità, chiesa realizzata per accogliere l’Ordine gesuita a Mantova sotto il forte sostegno dei Gonzaga e la cui principale sostenitrice fu la duchessa stessa. Eleonora muore nel 1594 e le sue spoglie vengono deposte sotto l’altare maggiore secondo la sua volontà. 

Nel 1602 il figlio, ormai duca, Vincenzo I commissiona a Rubens un grande trittico da destinare all’abside della chiesa in onore della madre. Rubens rappresenta nel trittico tre scene di grande formato orizzontale: il Battesimo di Cristo, la Trinità adorata dalla Famiglia Gonzaga e la Trasfigurazione. Le opere vennero concluse in due anni, tra il 1604 ed il 1605,  e deposte nell’abside durante la festa della Trinità; la chiesa venne invece inaugurata e consacrata nel 1611, come attestano i documenti conservati nell’Archivio Gonzaga che la descrivono come l’architettura più spettacolare in città.

Il ciclo rubensiano rimane nella sua sede originale fino all’occupazione napoleonica, quando la chiesa viene sconsacrata e adibita a magazzino del fieno (per la vicina caserma militare) che raggiunge l’altezza del tetto coprendo i quadri. Il Battesimo di Cristo e la Trasfigurazione vengono recuperati e inviati oltralpe, dove sono tuttora conservati rispettivamente ad Anversa e Nancy.

La Trinità adorata dai Gonzaga rimane invece nella chiesa, coperta di fieno che ne deteriora lo stato di conservazione, come riporta Felice Campi, pittore molto attivo in ambito mantovano, nella sua relazione; nella stessa riporta anche l’impossibilità di spostare l’opera a causa della mancata collaborazione coi soldati della caserma e del fieno. Solo Paolo Pozzo, architetto di origini veronesi, riuscirà a recuperare la Pala della Santissima Trinità due anni dopo la relazione di Campi, nel 1799.

Dopo il recupero la Pala rimane in città, ma passa di mano in mano, entrando infine in possesso di un nobile mantovano che ha intenzione di restaurare l’opera e donarla ad un amico; Campi la recupera prima che venga mandata fuori città e ne fa una perizia. Dalla perizia risulta che lo stato di conservazione della tela è pessimo, alcune parti sono marcite a causa dell’umidità e del contatto prolungato con il fieno e sono praticamente irrecuperabili. Giustifica quindi la sua decisione di restaurare l’opera e successivamente operare dei tagli per salvare alcuni ritratti e dettagli meglio conservati. Questi tagli sono poi stati dispersi per l’Europa nelle collezioni delle principali corti europee o nelle collezioni private di nobili collezionisti. 

Il centro della scena con la famiglia in adorazione viene invece conservato a Palazzo Ducale, dov’è tuttora esposto con alcuni di questi ritratti che, nel corso del secolo scorso, sono stati individuati ed acquisiti dallo Stato. Tra quelli conservati a Palazzo Ducale compaiono una figura d’alabardiere, il cagnolino di Eleonora Gonzaga ed il ritratto di Francesco IV bambino

Sono poi stati individuati anche il ritratto di Vincenzo II bambino (Kunsthistorisches Museum), il ritratto di Ferdinando bambino (Fondazione Magnani Rocca) ed il ritratto di Margherita Gonzaga (collezione privata).

 

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