Rubens a Palazzo Te: risonanze dall’antico all’Europa

Articolo a cura di Alice Ferrari e Giuseppe Fraccalvieri

A Mantova la mostra Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, un’esposizione ricchissima, con oltre cinquanta prestiti, ma soprattutto carica di suggestioni, di opere in dialogo tra loro e con gli ambienti della dimora gonzaghesca, di risonanze (per usare le parole del direttore Stefano Baia Curioni) dall’antico al contemporaneo, dall’Italia all’Europa, che segue insomma ancora oggi il percorso di Rubens a partire da Giulio Romano, per diffondersi nel resto del continente. L’esposizione è curata da Raffaella Morselli con la collaborazione di Cecilia Paolini.

Per lo stesso periodo di durata della mostra (7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024), a Palazzo Ducale di Mantova, col focus espositivo Rubens. La Pala della Santissima Trinità sarà possibile visitare un nuovo allestimento dell’Appartamento di Vincenzo I Gonzaga, che vede centrale la succitata opera del maestro fiammingo.

Articolata in dodici sezioni che seguono lo sviluppo del linguaggio pittorico di Rubens e dialogano con le decorazioni di Giulio Romano – una sorta di daimon per il fiammingo – la mostra di Palazzo Te pone l’accento sullo studio e le rielaborazioni di Rubens delle metamorfosi giuliesche e l’acquisizione di un nuovo tipo di linguaggio.

La sua trasformazione e libertà – riferimento dal titolo della mostra – prende vita proprio qui a Mantova nel palazzo progettato e decorato dal Pippi (cognome di Giulio, detto Romano) per Federico II Gonzaga; da fiammingo, Rubens si trasforma assorbendo un linguaggio italiano e diventando europeo, poiché saprà dialogare con tutte le principali corti d’Europa.

L’allestimento della mostra è in funzione della risonanza tra Rubens e Giulio Romano, cerca quindi di assecondare lo sguardo attento del fiammingo al suo daimon italiano.
Questo era il focus da cui partire per l’allestimento – dice Paolo Bertoncini Sabatini, architetto curatore del progetto – tenendo comunque in considerazione le caratteristiche vincolanti del contenitore architettonico che è Palazzo Te e le dimensioni delle opere esposte.

I solidi autoportanti – progettati ad hoc per essere svincolati dall’involucro architettonico – permettono di ammirare le opere di Rubens fungendo da medium tra il vocabolario rielaborato dal fiammingo e l’architettura e le decorazioni di Giulio Romano; questi volumi definiti – posti in sequenza – accompagnano il visitatore attraverso l’esperienza della mostra in un gioco scenografico reso possibile anche dalle scelte illuminotecniche – curate da Egidio Ferrara, architetto e lighting designer – che assecondano alcuni tratti barocchi di cui Rubens era precursore, creando grandi chiaroscuri ed una sorta di intimità tra il visitatore e le opere.

 

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La mostra si apre con un assenza. Assenza dovuta agli attuali vincoli conservativi  dell’opera, ma principalmente dal rifiuto di Vincenzo I Gonzaga di accettare la tela dopo il primo rifiuto dei committenti.

I Santi Gregorio, Domitilla, Mauro, Papia, Nereo e Achilleo in adorazione della Madonna della Valicella: questo il vero nome della pala, commissionata dalla Congregazione di San Filippo Neri di Roma e – dopo la prima approvazione dei bozzetti – rifiutata al momento della presentazione perché giudicata sconveniente. Rubens prontamente la propose al duca che non diede seguito all’offerta e la pala non arrivò mai in città. 

In occasione della mostra la si può vedere riprodotta digitalmente da Factum Arte nella Camera del Sole e della Luna.

Pieter Paul Rubens, Santi Gregorio, Domitilla, Mauro, Papia, Nereo e Achilleo in adorazione della Madonna della Valicella. Riproduzione Factum Arte. Foto di Giuseppe Fraccalvieri
Pieter Paul Rubens, Santi Gregorio, Domitilla, Mauro, Papia, Nereo e Achilleo in adorazione della Madonna della Valicella. Riproduzione Factum Arte. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Nella Sala dei Cavalli si sviluppa una riflessione sul Giulio Romano disegnatore e inventore; in particolare il focus è incentrato sulle influenze che ebbe in tutta Europa grazie alle riproduzioni incisorie dei suoi disegni che circolavano già nel XVI secolo.

Riproduzioni incisorie sviluppate, in primis, dal gruppo di incisori mantovani composto da Giorgio Ghisi ed i membri della famiglia Scultori: Giovanni Battista ed i figli Adamo e Diana. Un esempio sono l’Ercole che strangola il leone di Nemea (Adamo Scultori) su modello della scena giuliesca della sala ed Il Simposio degli Dei e il Bagno di Venere e Marte (Diana Scultori) dalla successiva Camera di Amore e Psiche; bulini e matrici prestati per l’occasione dall’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

Gallery delle opere: foto dagli Uffici Stampa Fondazione Palazzo Te e Lara Facco

Il percorso procede nella Camera di Amore e Psiche, ispirata alla celebre storia  di Apuleio. Qui l’accento è posto sul metodo creativo del maestro italiano utilizzato anche da Rubens: tradurre le grandi sculture greco-romane in suggestive raffigurazioni pittoriche di storie e personaggi, aventi preciso valore etico.

Seguendo quindi il modello statuario della Afrodite Velata (II sec. a.C.), conservata al Palazzo Ducale di Mantova: il fiammingo ritrae la protagonista femminile – moglie di Ercole – nella Deianira tentata della Furia. Dallo stesso modello scultoreo Giulio Romano aveva già dipinto una Deianira nella Venere Marina nella precedente Sala dei Cavalli e Psiche nel Banchetto Rustico di questa stessa camera, iconografia citata da Rubens nella fanciulla di spalle de Le Tre Grazie. Queste suggestioni e citazioni dall’antico e le esperienze pittoriche del Pippi fanno parte di un patrimonio figurativo condiviso nella cerchia di colleghi e allievi del fiammingo, osservabili nei due dipinti qui esposti: ne Le nozze di Peleo e Teti (Jan Brueghel il Vecchio) la tavola imbandita richiama alla composizione centrale del Banchetto degli Dei nella parete sud della Camera, mentre nel Satiro suona il flauto (Jacob Jordaens) si ha un diretto riferimento al Polifemo della parete est.

 

Le scene ideate per la Camera dei Venti – estratte da un trattato di astrologia tardo imperiale (Matheseos Libri VIII di Firmico Materno) – rappresentano divinità, segni zodiacali, rituali antichi, battute di caccia e lotte contro feroci bestie e stanno ad indicare le influenze degli astri sulla vita umana.

La decorazione, ricca di citazioni e rimandi ad altri importanti artisti italiani, venne approfonditamente studiata da Rubens già prima del suo viaggio in Italia; uno dei migliori esempi, presente in questa camera, per comprendere l’interesse umanistico del colto pittore capace di accogliere suggestioni artistiche e letterarie è Romolo e Remo allattati dalla Lupa.

Il dipinto Caccia alla tigre, leone e leopardo – richiamante le scene di caccia e lotta della camera – trae spunto da fonti nordiche ed italiane e la rappresentazione della dinamicità animale è testimonianza dello studio diretto di specie simili avvenuto nel serraglio gonzaghesco.

Il dipinto Pan e Siringa (Jacob Jordaens) riprende invece un episodio delle Metamorfosi di Ovidio che vede la ninfa Siringa, vittima della lussuria del satiro Pan,  figlio di Ermes, giungere nei pressi di una palude fino alle sponde del fiume Ladone dove, invocando le Naiadi – ninfe che presiedono le acque dolci – viene mutata in canne palustri. Pan si trova così davanti ad un fascio di canne che mosso dal vento produce un suono; decide quindi di utilizzarle per costruire una strumento musicale, da qui denominato siringa. Di questa rappresentazione esiste anche una versione di Rubens, conservata alla Museumslandschaft Hessen Kassel, con una variante iconografica: la figura di Siringa è rappresentata con entrambe le braccia abbassate, una per coprire con un velo le proprie nudità e l’altra per scacciare il satiro.

 

Il fil rouge della mostra, risonanze tra antico e moderno, continua nella Camera delle Aquile dove assistiamo a due scene accomunate da una volontà di sfida di potere. Sul soffitto la Caduta di Fetonte, prodotto dell’artista italiano di natura mitologica, è fonte d’ispirazione per il San Michele espelle Lucifero e gli angeli ribelli, di natura religiosa, del fiammingo. La superbia e l’orgoglio di queste figure, che si ribellano ai propri dèi per venire poi precipitate da una serie di fulmini (un richiamo iconologico alla divinità), rimandano direttamente ad un altro mito di Ovidio, il Ratto d’Europa – realizzato dal Maestro di Siegen per Filippo IV a Madrid – dipinto con grande fedeltà al testo e dirette citazioni alla Deianira, dipinta assieme a Nesso da Giulio, in una lunetta della camera mantovana. 

La Camera degli Stucchi, ammirata e lodata nella letteratura artistica già nel corso del Cinquecento da Vasari, è così chiamata per la presenza di un doppio fregio in stucco raffigurante una teoria di fanti e cavalieri il cui rimando certo è la Colonna Traiana. La bellezza di questi fregi “modernamente antichi e anticamente moderni” fece sì che una serie di stampe e copie iniziassero a circolare per tutta Europa giungendo all’attenzione di Rubens. Il pittore riuscì ad acquisire una serie di disegni di grande formato (ventuno fogli) che ritoccò nel disegno e modificò con un pigmento color crema. In questa camera, oltre a tre di questi ventuno fogli di Rubens, è possibile ammirare Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante di Jacob Jordaens. L’artista fiammingo non riuscì mai a compiere un viaggio di formazione in Italia, ma nei suoi quadri sono evidenti le invenzioni giuliesche riportate da Rubens nelle Fiandre, col quale Jordaens collaborò strettamente. Il richiamo evidente qui è alle figure femminili realizzate dal Pippi e spesso ricalcate da Rubens in fogli di studio e dipinti.

 

Sulla volta della Camera degli Imperatori sono affrescate le effigi e le gesta di alcuni grandi imperatori dell’antichità tra cui Augusto che Romano raffigura con un ramo d’ulivo in mano, simbolo della pace. Rubens rappresenta l’abbondanza, frutto della pace, nell’Incoronazione dell’Abbondanza in cui la protagonista è seduta, con la cornucopia in mano, al centro attorniata da due figure femminili ed un gruppo di putti festanti. Questo rapporto di pace ed abbondanza è ripreso anche nell’Allegoria del ritorno della pace – di Theodor Van Thulden – in cui la Giustizia, con la spada a sinistra, abbraccia l’Abbondanza, con il caduceo e la cornucopia a destra. Nell’Alessandro ed Efestione con la famiglia di Dario di Ykens viene messo in risalto il raggiungimento della pace dopo la guerra grazie alle virtù morali e civili e alla bontà del vincitore: Alessandro Magno, dopo aver sconfitto il re di Persia Dario nella battaglia di Isso, confermò lo stato di principessa reale a Statira, moglie di Dario.

 

Nel successivo Camerino delle Grottesche, progettato dal Pippi – ispirato dalla grottesche delle Logge Vaticane di Raffaello, suo maestro – ed affrescato da Luca Faenza nel 1533, sono esposti alcuni fogli di un album di disegni appartenuti alla bottega di Giulio Romano, che Rubens acquista e riporta ad Anversa per studio. 

Uno dei fogli più importanti della raccolta è lla trasportato dalle Ninfe (Collezione Frits Lugt, Parigi) che viene rielaborato nella zona centrale direttamente dal fiammingo. Un altro foglio particolarmente importante della Collezione è un disegno interamente realizzato da Rubens: Cinque Ninfe, tratto da un’omonima invenzione di Giulio Romano. 

 

Nella Camera dei Candelabri gli stucchi e le scene pittoriche che scandiscono il fregio furono realizzati nel 1527 su disegno di Giulio Romano; lungo il fregio sono rappresentati episodi della storia biblica e greco-romana, modelli a cui Rubens guarda prima dei suoi numerosi viaggi a Roma in cui studierà la scultura dell’Ercole Farnese (III sec. d.C., Museo Archeologico Nazionale di Napoli), ispirazione per l’Ercole nel giardino delle Esperidi in cui il protagonista tiene in mano le mele d’oro del giardino con il drago Ladone, loro custode, ai suoi piedi.

Ai vari esempi morali del fregio è legata l’opera Eraclito e Democrito, rivelatrice della passione di Rubens per la filosofia stoica e del suo interesse per Seneca; fu proprio il filosofo stoico eclettico ad inaugurare il topos letterario del pinato dell’Eraclito e del riso di Democrito. 

 

Il ricordo dell’architettura rinascimentale italiana venne trasferita da Rubens alle generazioni più giovani di pittori fiamminghi: il giardino della casa dell’artista ad Anversa è ispirato, ad esempio, al loggiato interno di Palazzo Te, molto simile agli archi sullo sfondo dell’Alessandro ed Efestione con la famiglia di Dario di Ykens. Al contempo nel Giardino italiano con galleria e figure di Sebastian Vraencx il modello architettonico è ispirato al parco retrostante la dimora di Rubens.

L’artista a Mantova studiò attentamente vari ritratti: da quelli di Tiziano e Giulio Romano a quelli di Pourbus. La Dama delle Licnidi ed il Ritratto di Bartolomeo Cesi sono identificati come due personalità che segnarono la vita e l’identità pittorica di Rubens.

 

Nella Camera dei Capitani – la stanza di maggior impatto di tutta la mostra – è stato allestito il soffitto, composto da nove tele dipinte con scene della storia di Amore e Psiche apertamente ispirate all’apparato iconografico di Giulio Romano e le invenzioni di Rubens, della sala di ricevimento della casa di Anversa di Jacob Jordaens in un grande lavoro di collaborazione tra la Phoebus Foundation di Anversa e Palazzo Te.

La decorazione del soffitto risale al 1652; sono da osservare come particolarmente degni di nota l’uso impressionante della prospettiva sottinsù per le tele del soffitto e le porte trompe-l’œil che dovevano sorprendere gli ospiti al loro arrivo.

Sempre nella Camera dei Capitani, sono presenti due oli su tela ed un arazzo. Alle pareti vediamo contrapposte le tele con la stessa scena Achille scoperto da Ulisse tra le figlie di Licomede: una di mano di Rubens che rappresenta l’eroe libero di mostrare i sentimenti e le debolezze dell’animo umano; nell’altra di Erasmus Quellinus il Giovane il mito classico è attualizzato al presente seicentesco (1640), particolare visibile negli abiti indossati dai personaggi. 

L’arazzo, sempre con la scena della vita di Achille, è databile al XVII secolo e ripete fedelmente la composizione di Rubens del ciclo di otto bozzetti con Storie di Achille che l’artista aveva realizzato proprio per tradurli poi in arazzi, probabilmente finanziati dal suocero Daniel Fourment il quale ereditò anche i modelli pittorici ed i cartoni per i tessitori.

 

Nella Camera delle Vittorie osserviamo come le passioni e le emozioni umane debbano essere sempre temperate da un carattere etico e morale. Nell’Achille educato da Chirone l’eroe greco è un personaggio dai valori aristocratici seicenteschi più che un guerriero e come tale riceve un’educazione raffinata dalla più nobile delle creature metà uomo e metà cavallo, Chirone che insegna ad Achille le arti della pace: la caccia, la musica e la medicina. Rubens attualizza così il mito, come Quellinus aveva fatto con l’altra scena della vita di Achille.

L’arazzo dei Musei Reali di Torino, con lo stesso soggetto, è firmato dall’arazziere François Raes su cartoni di Jordaens ed è databile tra il 1665 ed il 1669. L’opera testimonia un’evoluzione del gusto evidenziata dall’abbandono delle elaborate cornici rubensiane e la sostituzione con cornucopie di fiori e frutta, amorini ed uccelli.

In contrasto alle rappresentazioni dell’educazione dell’eroe e della temperanza delle emozioni, l’Ira di Achille davanti ad Agamennone è, ancora una volta, l’occasione per Rubens di esibire i sentimenti umani di Achille: la forza, la straordinaria sensibilità, ma anche la violenza della collera.

 

L’esposizione gode di ben cinquanta opere prestate da ventidue prestigiose istituzioni internazionali, come il Museo del Louvre, il Museo del Prado, il Museo Boijmans di Rotterdam, la Galleria Nazionale di Danimarca, i Musei Capitolini di Roma e i Musei Reali di Torino. Con tutte queste opere di notevole rilievo, l’altissimo profilo e il respiro internazionale della mostra si respirano ad ogni passo nelle sale.

Palazzo Ducale – il focus espositivo “La pala della Santissima Trinità” 

A Palazzo Ducale di Mantova è conservata la grande pala d’altare La famiglia Gonzaga in adorazione della SS. Trinità, opera centrale del trittico realizzato dall’artista fiammingo per adornare l’abside della Chiesa della SS. Trinità (sconsacrata ed occupata in epoca napoleonica, oggi sede dell’Archivio di Stato) su commissione del duca mantovano Vincenzo I Gonzaga. 

Palazzo Ducale prende parte al progetto RUBENS! la nascita di una pittura europea con un riallestimento di un’ampia parte del suo percorso di visita, l’appartamento del duca Vincenzo I: l’ala di Corte Vecchia radicalmente rinnovata dal duca agli inizi del Seicento con la direzione del prefetto delle fabbriche Antonio Maria Viani.

È parte del riallestimento la messa a punto di una nuova illuminotecnica per dare risalto al fregio pittorico e ai soffitti lignei decorati delle Stanze del Crogiolo, del Labirinto e di Giuditta.

Il punto focale del rinnovato percorso è la Sala degli Arcieri dov’è esposta la Pala della SS. Trinità di Rubens che si vede qui ricongiunta alle altre opere che ne facevano parte: l’alabardiere, il ritratto di Francesco IV bambino ed il cagnolino di Eleonora Gonzaga.

La pala era infatti stata tagliata in seguito all’occupazione napoleonica e le sue parti disperse per le corti europee (per altri riferimenti alla storia qui), come anche le altre due grandi pale del trittico: il Battesimo di Cristo e la Trasfigurazione.

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Presentata oggi 6 ottobre 2023, nella corte interna di Palazzo Te la mostra Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, con interventi di Enrico Voceri e Stefano Baia Curioni, rispettivamente Presidente e Direttore della Fondazione Palazzo Te; Stefano L’Occaso, Direttore Museo di Palazzo Ducale di Mantova; Raffaella Morselli, curatrice dell’esposizione; Mattia Palazzi, Sindaco di Mantova e infine – a sorpresa – Vittorio Sgarbi, sottosegretario al Ministero della Cultura.

Nel grande spirito di amicizia che regnava, il Direttore della Fondazione Palazzo Te, Stefano Baia Curioni, ha subito sottolineato la collaborazione di lungo periodo tra istituzioni, innanzitutto Palazzo Ducale e Galleria Borghese. Presso quest’ultima, dal 14 novembre 2023 partirà un’altra esposizione, Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, che si concluderà il 18 febbraio 2024.
L’esposizione ha una dimensione istituzionale e politica importante, e parla di risonanze, di un rapporto speciale tra Rubens e Giulio Romano, tra protestanti e cattolici: lo stesso pittore fiammingo vedeva la sua vita privata ferita da questo conflitto, avendo padre protestante e madre cattolica.
In questo conflitto, Rubens sceglie l’Impero, perché l’Impero è la pace possibile in un’Europa dilaniata dai conflitti, che già erano con Giulio Romano ed esplodono al tempo del fiammingo. Rubens è il pittore della pace, con l’arte che ci trasforma e ci aiuta a rendere il mondo un posto migliore.
Rubens si innamora di Giulio Romano e da lui e dall’antico trae linfa per un lavoro nuovo: il passato trasformato in opera creativa, che poi è anche quello che Palazzo Te vuole essere per i visitatori.
Un messaggio di grande attualità, un riferimento importante oggi che l’Europa non è amata ma vista come realtà burocratica e di interessi, e non con senso di cittadinanza e di affetto. Quello che è sembrato importante nella realizzazione della mostra è questa Europa che custodisce oggi una pratica della libertà, quella stessa pratica che Giulio Romano porta a Palazzo Te e a cui guarda Rubens, dando anche allora impulso a una cittadinanza europea.

L’intervento di Stefano L’Occaso, direttore di Palazzo Ducale, si è concentrato innanzitutto sul Trittico dalla Chiesa della Santissima Trinità, disperso e smembrato tra Settecento e Ottocento poi con le requisizioni napoleoniche, ricostruito a Palazzo Ducale. A fianco della Pala – tela centrale oggi conservata a Palazzo Ducale – , l’unico disegno finora emerso con uno schizzo dell’opera, prima che fosse tagliata a pezzi per essere venduta all’estero. La Trinità adorata dalla famiglia Gonzaga fu poi salvata e riunita, per quanto possibile, nella seconda metà del Novecento. L’allestimento insomma risulta una stratificazione storica e museografica di due secoli.
Il Direttore ha lodato l’ottimo esito di tutte queste occasioni di collaborazione, che hanno permesso una riflessione sulle attività di Rubens a Mantova, in particolare con una revisione dell’allestimento dell’appartamento ducale di Vincenzo I Gonzaga, maggiore committente del fiammingo nella città.
Le mostre si prestano al miglioramento e al mantenimento del percorso museale; in questo caso, si è realizzato un nuovo impianto illuminotecnico di tutte le sale dell’appartamento ducale, fino alla Sala degli Arcieri: un progetto realizzato da Francesco Murano che consente di valorizzare il patrimonio stabile del Palazzo.
Il Direttore ha sottolineato che – come si sta facendo da tempo – ogni mostra, ogni intervento effimero serve a realizzare risultati duraturi.

La curatrice Raffaella Morselli ha sottolineato come – nella mostra ideata per Palazzo Te – il dialogo tra Rubens e Giulio Romano renda tridimensionale nelle opere del primo ciò che era bidimensionale nel secondo. Il pittore nato a Siegen dà ancor più vivacità a quel vocabolario di citazioni – anche dall’antico – che diventerà quindi presentissimo anche nella cultura figurativa fiamminga.
La curatrice ci accompagna con l’immaginazione a seguirlo mentre varca il ponte d’accesso all’isola del Te e magari si immaginava un Palazzo più grande e più ampio, ma si ritrova in una orte finto rustica, sviluppata su un piano, che nella bruma di agosto dovette sembrargli sogno.
Rubens si tuffò nelle sale del palazzo con grande gioia, e tutto ciò che aveva visto in precedenza di Giulio Romano in bianco e nero ora prendeva forma e colore.
Le curatrici si sono infatti chieste quali lastre di Giulio Romano avesse visto il pittore fiammingo, ed è stata fatta una campagna di ricerca ad hoc nell’Istituto Nazionale per la Grafica, ritrovando parecchie lastre su rame e altre rese più forti da una morsura zincata.
Ogni stanza ha un rimando, ad esempio, la caduta di Fetonte sul soffitto della stanza si trasforma nell’opera esposta in S. Michele e Lucifero. Le opere di Rubens mostrano una citazione puntuale di dettagli, evidentemente l’artista aveva un taccuino perduto pieno zeppo di disegni di Giulio Romano, ed è altresì riuscito a trasmetterli ai suoi allievi, come Jacob Jordaens.
La Sala dei Capitani, che rischia di essere la più “instagrammabile”, gode dei prestiti dalla casa di Jordaens ad Anversa (The Phoebus Foundation) che ora ne ornano il soffitto. La città è stata molto generosa con Palazzo Te: si è creata una rispondenza perfetta, e in quell’ottica di collaborazioni durature, due città adesso si guardano l’un l’altra, legate da Rubens.
Ritorna quindi il tema di questa Europa e di questa pace che Rubens cerca attivamente, insieme al suo amico fraterno e pupillo Giusto Lipsio: questa fermezza morale anche nell’immaginario dei suoi quadri diventa un rapporto anche di ricerca morale ed etica.
Nella mostra, ci sono tre Rubens spettacolari, evoluzione e rivoluzione del corpo epico. Nella stanza con Cristo ed Ercole noi guardiamo alla stessa figura, come Giusto Lipsio ci indica, della medesima fermezza e la forza morale. Achille, il semidio e perciò al contempo umano e divino, perfetto e imperfetto, compare in tre opere del fiammingo, e due sono prestiti da Rotterdam.
La mostra finisce con un presupposto, quello di un’Europa di pace. Il linguaggio che Rubens inventa non è italiano né fiammingo, ma quello di un uomo di  cultura in un’Europa nella quale fa la sua parte come ambasciatore delle Fiandre, col suo contributo per la pace.

Il Sindaco di Mantova, Mattia Palazzi, ha esordito con la necessità di ringraziare perché un’operazione così, con una tale complessità non è banale, ma il risultato è straordinariamente importante perché ci regala due mostre e ulteriori particolari del Palazzo. Ci racconta la crescita in termini diplomatici di Rubens nei dieci anni in cui è stato a Mantova, la sua ricerca della pace attraverso la diplomazia.
Il Sindaco ha sottolineato come la presenza di prestiti così importanti da tali musei sia possibile perché si è creata credibilità, c’è fiducia e questo è fondamentale. Una politica delle alleanze che l’anno prossimo vede un appuntamento davvero importante: i 500 anni dalla costruzione di Palazzo Te.

È noto l’amore del sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, per la città di Mantova, dove torna spesso (come farebbe ogni italiano, dice). Una città che si dimostra capitale della cultura, non italiana, ma europea.
Non è mancato il suo commento a Parco Te, opera recentemente inaugurata, che ha infiammato il dibattito estivo della politica cittadina. A suo parere è stato costruito secondo ragionevolezza, e inutili sono le polemiche sull’assetto del parco stesso.
Sgarbi ha quindi elogiato Palazzo Te, un edificio contemporaneo, che ha assunto la funzione di Kunsthalle: uno spazio del presente che non teme confronti con altre simili istituzioni di primo piano nel nostro Paese.
Il sottosegretario si è poi espresso sui due temi di politica che rendono Rubens e questa mostra particolarmente attuali per noi. La pace e la giustizia, innanzitutto perché la guerra è sempre ingiustizia ma un Paese invaso è un atto di violenza; tutto ciò ci riguarda da vicino, perché anche noi oggi siamo tornati in questo stato di conflitto.
E quindi l’Europa, che come sottolinea Sgarbi, “siamo noi”, e non possiamo chiedere qualcosa come se non ne facessimo parte o fossimo ospiti, mentre siamo costituenti. Per cui non si potrebbe fare a meno dei Paesi che la costituiscono e della loro cultura, perché è un’Europa di valori e di pensieri.
E che l’Europa ci sia è pure dimostrato da questa mostra, politicamente rilevante.
Sgarbi ha anche lodato la collaborazione tra istituzioni, il lavorare come se non si fosse un ente separato. E separata non è la città d’arte, che prevede – oltre a Palazzo Ducale e a Palazzo Te, anche l’arte contemporanea.
Il collegamento tra Rubens e Giulio Romano, infine, è riuscito, ma già nella Sala dei Giganti, una stanza-paese illuminata perfettamente, c’è Rubens: le raffigurazioni sono del Pippi e già prefigurano il vocabolario rubensiano. In Rubens si vedono anche i linguaggi veneti di Tiziano, Tintoretto e Veronese che il pittore di Siegen ha studiato durante i suoi viaggi italiani, amalgamandoli al proprio vocabolario. Tutto questo lo si percepisce nella mostra.
Tra le opere in esposizione, le più travolgenti per il critico sono quelle che raffigurano Ercole e Deianira, oltre a Eraclito e a Democrito e ai mostri. Una quantità di sorprese per una mostra che per il sottosegretario è una bella emozione, e dai risultati persino superiori alle aspettative.

 

Gli eventi espositivi a Palazzo Te e Palazzo Ducale rientrano nel progetto Rubens! La nascita di una pittura europea che include la mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024 alla Galleria Borghese di Roma.

 

Info

Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà

a cura di Raffaella Morselli in collaborazione con Cecilia Paolini

7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024

Palazzo Te, Mantova

e

Rubens. La Pala della Santissima Trinità

Palazzo Ducale, Mantova

7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024

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