Spoleto: è con la sofferenza per Misery che prosegue la stagione di prosa
Con il teatro di William Goldman prosegue la stagione di prosa organizzata dal TSU – Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con il Comune di Spoleto. Il terzo appuntamento, infatti, ha portato in scena Misery ieri sera, giovedì 30 novembre, presso il principale teatro spoletino “Gian Carlo Menotti”. Tra abbonati e avventori, sia dalla platea sia dai palchi (nonostante il teatro non fosse al completo), l’attenzione e il gradimento, pur nei pareri discordanti, si sono fin da subito fatti sentire e la compagnia della Fondazione Teatro Due di Parma (con Arianna Scommegna, Aldo Ottobrino e Carlo Orlando) ha ricevuto infine negli applausi quanto meritato.
“Uno dei capolavori dello scrittore più famoso al mondo. Una storia che è orrore, claustrofobia e follia – ha commentato il regista Filippo Dini – Misery è un testo senza tempo in cui vengono indagati i meandri della mente umana che cerca le storie, le vuole, le brama, e che di fronte alla fonte di quelle storie non può far altro che innamorarsi e nutrirsi, anche a costo di distruggere per sempre chi alimenta i suoi sogni”.

Teatro luogo di storie e di magia, dunque, a partire da Annie Wilkes, la co-protagonista emblema e incarnazione dell’arte e della follia che costruisce la narrazione insieme a Paul Sheldon. Tutto ruota intorno a loro e soprattutto alla scrittura di un romanzo, di quell’unico romanzo che avrà il potere di trasformare anche i limiti più estremi, di plasmare la realtà a partire da quel filo sottile che rappresenta la psiche umana. Filippo Dini dirige l’incubo di uno scrittore (Sheldon) prigioniero di un’ammiratrice psicopatica (Wilkes), pronta a ucciderlo pur di riportare in vita il suo personaggio preferito (Misery).

Tratto dal thriller psicologico di Stephen King, pubblicato nel 1987, in Italia con la Pickwick (Sperling & Kupfer e Piemme), è stato portato al cinema qualche anno più tardi grazie alla sceneggiatura di Goldman e alla regia di Rob Reiner.
L’adattamento qui proposto ha ricalcato certamente quello cinematografico, con addirittura la trasposizione del finale con un proscenio concluso, alle spalle di Sheldon e di un presentatore che, con lui sopravvissuto, dialogano su questo ultimo romanzo e sulle vicende che lo hanno preceduto.

Lei, con quel peso che nella mente le altera il carattere, è espressione di una grande sofferenza: l’ossessione che la porta a regredire verso la fanciullezza è ambivalente tanto quanto la rabbia e l’impulsività che la portano a compiere gesti efferati. La violenza ingiusta che affonda verso Paul Sheldon è così rapida da farla sentire subito in colpa, prima che consapevole, come in ricordo di qualcosa che le è stato portato via troppo presto. È per questo che in oltre due ore di spettacolo, volendo tornare al di qua del palcoscenico, Annie non farà altro che cercare il lieto fine e chiederà infatti più volte, quasi in preghiera: “Voglio sapere solo come va a finire!”
Magari… invece, la parola fine si tinge ben presto di rosso, non è una sopresa, e si va avanti, malgrado tutto, prima che le luci si riaccendano.

Foto di Andrea Morgillo e dichiarazioni di Filippo Dini dal Teatro Stabile dell’Umbria – TSU