Vivo film e Rai Cinema presentano Chiara, un film scritto e diretto da Susanna Nicchiarelli

Chiara di Susanna Nicchiarellicon Margherita Mazzucco, Andrea Carpenzano

Carlotta Natoli, Paola Tiziana Cruciani, Flaminia Mancin,

Valentino Campitelli, Paolo Briguglia

e con la partecipazione di Luigi Lo Cascio

una produzione

Vivo film con Rai Cinema e Tarantula

distribuzione 01Distribution

vendite internazionali The Match Factory

La locandina del film Chiara, di Susanna Nicchiarelli
La locandina del film Chiara, di Susanna Nicchiarelli

Sinossi

Assisi, 1211.

Chiara ha diciotto anni, e una notte scappa dalla casa paterna per raggiungere il suo amico Francesco. Da quel momento la sua vita cambia per sempre. Non si piegherà alla violenza dei famigliari, e si opporrà persino al Papa: lotterà con tutto il suo carisma per sé e per le donne che si uniranno a lei, per vedere realizzato il suo sogno di libertà.

La storia di una santa. La storia di una ragazza e della sua rivoluzione.

Chiara di Susanna Nicchiarelli

Chiara d’Assisi fu la prima donna a scrivere una regola originale per le donne, rifiutandosi di declinare al femminile una preesistente regola maschile: una regola stupefacente, piena di dolcezza, tesa a comprendere più che a giudicare e punire. Di lei scrissero soprattutto uomini: il biografo, il papa e le gerarchie ecclesiastiche, scrissero tutti per farla dimenticare. Chiara consumò la vita dietro le mura del monastero di San Damiano. Contrariamente a quanto avrebbe desiderato, fu costretta alla clausura, ma la sua solitudine fu abitata da molti affetti e da una fortissima tensione spirituale. Chiara Frugoni

Interpreti e personaggi
Margherita Mazzucco Chiara
Andrea Carpenzano Francesco
Carlotta Natoli Cristiana
Paola Tiziana Cruciani Balvina
Flaminia Mancin Pacifica
Valentino Campitelli Elia
Paolo Briguglia Leone
Giulia Testi Cecilia
Luigi Vestuto Pacifico
e con la partecipazione di Luigi Lo Cascio Cardinale Ugolino / Papa Gregorio IX

Scheda tecnica
Paese Italia / Belgio
Anno 2022
Durata 106’

Chiara di Susanna Nicchiarelli

Crediti
scritto e diretto da Susanna Nicchiarelli
collaborazione alla sceneggiatura Chiara Frugoni
fotografia Crystel Fournier
montaggio Stefano Cravero
scenografia Ludovica Ferrario
costumi Massimo Cantini Parrini
acconciature Desirée Corridoni
trucco Valentina Tomljanovic
suono in presa diretta Adriano Di Lorenzo
musiche Anonima Frottolisti
produttrice delegata Italia Serena Alfieri
organizzatore generale Maurizio Milo
aiuto regia Nicola Scorza
casting Francesca Borromeo
adattamento dialoghi e consulenza linguistica Nadia Cannata
montaggio presa diretta Daniela Bassani, Marzia Cordò
montaggio suono Marc Bastien
mixage Franco Piscopo
prodotto da Marta Donzelli e Gregorio Paonessa
coprodotto da Joseph Rouschop e Valérie Bournonville
produttore associato Alessio Lazzareschi
una produzione Vivo film con Rai Cinema
e Tarantula
con il sostegno di Eurimages
MIC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo
Regione Lazio
con la partecipazione di Wallimage
con il supporto di Tax Shelter du Gouvernement Fédéral Belge – Casa Kafka Pictures Belfius
distribuzione italiana 01 Distribution
vendite internazionali The Match Factory

Chiara di Susanna Nicchiarelli

Note dell’autrice

Radicalità e modernità

La forza della storia di Chiara sta per me nella sua radicalità: una radicalità che è sempre attuale, e che ci interroga in qualsiasi epoca. È la storia di una diciottenne che, per quanto in un contesto davvero distante dal nostro, abbandona la casa paterna, la ricchezza, la sicurezza, per combattere per un sogno di libertà: la mia speranza è che il film trasmetta a tutti l’energia di questa battaglia, che racconti con forza quel sogno di rinnovamento, quella rivoluzione voluta e desiderata con l’entusiasmo contagioso della gioventù.

L’idea

L’incontro con Chiara è arrivato per caso ma è andato a toccare delle corde importanti della mia vita e del mio pensiero di donna e di regista, in un momento così particolare della nostra storia.
Il sette marzo del 2020, alla vigilia del primo lockdown, avevo portato i miei bambini ad Assisi per far vedere loro gli affreschi di Giotto (io sono di origine umbra, e la casa della mia nonna paterna non è distante da Perugia). Come tutti, sono sempre stata affascinata dalla figura di San Francesco: di Chiara invece sapevo poco. Perciò in quella occasione, nella libreria della basilica, ho comprato due libri su Chiara d’Assisi: libri che poi ho letto nei giorni successivi del marzo 2020 a Roma, nell’atmosfera assurda e spaventosa che si era creata, durante la quale il Medioevo, con le sue paure, non sembrava poi così lontano.
Il primo libro era una biografia molto tradizionale, nella quale Chiara era raccontata come votata fin da bambina alla clausura e alla preghiera. Il secondo invece mi ha appassionato: era un testo di Chiara Frugoni, la grande medievalista italiana che allo studio di Chiara e Francesco ha dedicato tutta la vita e che sarebbe diventata un’insostituibile consulente per la sceneggiatura del film. Di Chiara Frugoni lessi prima “Chiara e Francesco” e poi il bellissimo “Una solitudine abitata”, che decostruiscono l’immagine ufficiale, più docile e ubbidiente di Chiara, che avevo invece trovato nel primo libro. Ho scoperto così che della vera Chiara si sa poco perché la storiografia ufficiale e religiosa non l’ha mai raccontata: Chiara era una giovane ribelle e coraggiosa, piena di energia, che voleva predicare, viaggiare, fondare una comunità povera di donne francescane che portassero l’exemplum della vita evangelica nel mondo. Il suo sogno però sfidava pericolosamente il potere costituito, perché nel Medioevo le religiose erano obbligate a fare una vita di clausura: non era permesso loro nessun tipo di apostolato attivo né la possibilità di scegliere una vita di elemosina e povertà. La donna, se voleva dedicarsi alla religione, doveva scomparire dietro le mura di un convento, sotto la protezione della Chiesa e dei suoi beni portati in dote, se ricca, o se povera come serva delle monache più ricche. Leggendo i libri della Frugoni ho scoperto che Chiara ha dovuto sfidare cardinali e papi per mantenere in vita il suo gruppo di sorelle povere, tutte uguali e libere: ha dovuto anche cedere, scendere a compromessi, addirittura entrare in contrasto con lo stesso Francesco per portare avanti il suo progetto.
In quei mesi del 2020, dopo il mio incontro con Chiara, e poi nei due anni successivi di isolamento a tratti forzato, questo sogno rivoluzionario di uguaglianza e giustizia, assieme al sogno di una vita in comunità e in condivisione, mi hanno accompagnato e mi hanno dato forza. Più il tempo passava e più mentre scrivevo questo film mi convincevo che questa era la storia giusta da raccontare.

Miracoli e spiritualità

Ho avuto un’educazione cattolica ma non sono più credente, oramai da tempo. Credo però che il mistero della vita, della morte, e il salto che rappresenta la fede in una trascendenza non può non interrogarci e riguardarci tutti, sempre. L’elemento spirituale della storia di Chiara è forse quello che dà più forza al film, dando solidità ai personaggi di Chiara e Francesco e spiegando l’ostinazione delle loro scelte, assieme a quelle degli uomini e delle donne che li circondano. La volontà di restare nella Chiesa, nonostante tutto, e di costruire un progetto per le generazioni future diventano incomprensibili se non inseriti anche in quella cornice religiosa.
La storia di Chiara per me, per quanto riletta alla luce dei dati storici, resta infatti quella della sua “leggenda”, con tanto di miracoli e fenomeni inspiegabili: non avrebbe avuto senso omettere gli eventi sovrannaturali che si dice abbiano scandito il suo percorso, eventi il cui racconto è così forte nella credenza e nelle rappresentazioni popolari, e così vivo nelle testimonianze delle sorelle di Chiara documentate durante il processo di canonizzazione, che non può essere trascurato. Perciò ho provato a immaginare questi episodi così come gli stessi protagonisti li hanno raccontati, inserendoli nella loro quotidianità; e ho provato anche a immaginare l’effetto che dovevano avere questi eventi miracolosi su quelli che, come Chiara e Francesco, si trovavano a fare i conti con la propria “santità”.
Quando inizia la sua avventura Chiara infatti non solo scopre di avere un carisma inaspettato, che la porterà a guidare un gruppo sempre più numeroso di donne: si trova anche a fare i conti con una serie di miracoli che non sempre comprende né controlla. Miracoli che non possono non creare una distanza tra lei e le sue sorelle, tra lei e la gente: sono perlopiù miracoli quotidiani, persino alimentari, che semplicemente accadono, e per rappresentarli, senza cercare spiegazioni razionali né trascendenti, ho scelto la strada della semplicità.
Affrontando questo aspetto della vita di Chiara ho voluto interrogarmi su come la santità, e il culto popolare che ne conseguiva, non poteva che spaventare o entrare in contrasto con il bisogno di semplicità e di umiltà di Chiara e di Francesco. Entrambi santi, forse entrambi avrebbero preferito essere come tutti gli altri. Come dice Francesco a Chiara nel film: “Non lo sai che quando muoio mi fanno a pezzi e mi vendono alle chiese?” La morte, la malattia, il culto della gente possono essere una benedizione ma anche un flagello. La sofferenza del santo, per quanto benedetta, è reale e altrettanto spaventosa: la fede non addolcisce l’orrore ma forse lo rende ancora più atroce.

Le scelte visive

Per raccontare la storia di Chiara ho scelto il formato 2:35. Al contrario di quando feci Nico, 1988 per il quale ho usato l’1:33, il formato quadrato, che isolava Nico e rendeva anche visivamente l’immagine da vhs a 4/3 della fine degli anni Ottanta, qui ho usato il formato più metafisico, quello che più di tutti racconta l’enormità della natura e la piccolezza dell’uomo. Si tratta di un formato che non permette mai di fare dei primi piani: perciò Chiara non è mai sola nell’inquadratura, è sempre con la sua comunità, e se ha il vuoto attorno quel vuoto racconta ancora di più della presenza di altri. Con Crystel Fournier, la direttrice della fotografia con la quale ho lavorato anche a Nico, 1988 e Miss Marx, questa volta abbiamo scelto una luce povera e semplice che illuminasse con semplicità le scenografie di Ludovica Ferrario, raccontandone anche la maestosità.
A questa semplicità ho voluto fare da contrappunto nel film con le visioni di Chiara che, grazie alle invenzioni di Massimo Cantini Parrini, sono dei viaggi nella fantasia di una ragazza che si immagina, di volta in volta, nei panni di Santa Scolastica o della Madonna col Bambino, o che immagina Francesco dal sultano: visto che la fantasia è per sua natura scatenata e visionaria, sono i momenti in cui il film si prende le sue libertà rispetto alla filologia, tra aureole che sembrano uscite dal gotico internazionale, abiti da pale d’altare spagnoleggianti, gioielli e drappi in un Oriente immaginato e non reale. Questi sono forse gli unici momenti in cui Chiara si permette davvero di fantasticare.

Storia di ragazze e ragazzi

Dopo tanti film che li hanno mostrati più maturi di quanto non fossero nella realtà, mi sembrava importante raccontare Chiara e Francesco per ciò che erano: due ragazzi (lei aveva 18 anni e lui 30 all’inizio della storia: Francesco poi muore giovanissimo, a quarantacinque anni) con le loro “intemperanze” e le loro fragilità, così simili a quelle degli attori che li interpretano: a cominciare da Margherita Mazzucco, che è cresciuta in fretta sul set dell’Amica geniale eppure ha ancora l’aspetto di una bambina, al tempo stesso fragile e carismatica. In lei ho rivisto Chiara, con le sue impuntature, le sue sfuriate, o la sua tenera e infantile gelosia, come quando sente parlare di Jacopa de Settesoli.
Allo stesso modo ho pensato che Andrea Carpenzano, con la sua recitazione così istintiva che mi aveva commosso nel Campione, potesse dare a Francesco una modernità e una naturalezza non scontate.

La lingua

La lingua del film è il volgare umbro dell’epoca, lo stesso delle poesie di Francesco, misto al latino quando i discorsi si fanno colti o quando si leggono le Scritture.
La scelta si lega prima di tutto al messaggio francescano: il volgare è componente irrinunciabile della predicazione di Francesco e Chiara, anche per questo considerata scandalosa, perché – rivolgendosi alle persone semplici – portava il messaggio della Chiesa fuori dalle cattedrali, per le strade, nella lingua che la gente usava tutti i giorni. Girare in italiano moderno, quindi, e non raccontare questa straordinaria novità linguistica, avrebbe fatto perdere un elemento decisivo della storia.
Per il lavoro sul volgare ho potuto contare sulla consulenza di Nadia Cannata, ordinaria di Storia della Lingua ltaliana alla Sapienza di Roma: grazie al suo aiuto ho cercato di restituire a Francesco e Chiara le loro parole, traducendo i dialoghi che avevo scritto in italiano in una lingua antica eppure riconoscibile, modellata su quella del Cantico delle Creature di Francesco che ascoltiamo anche nel film: una sorta di italiano delle origini, ancora “fragile” e per questo per me in qualche modo tenero, quasi infantile, capace di dire in un dialetto talvolta molto buffo cose profondissime.

La musica

Il musical nella mia formazione cinematografica è stato decisivo, e determinante è stato rivedere Hair mentre scrivevo questo film, perché i punti in comune con la storia di Chiara erano molti. La scelta di una vita libera da parte di questi uomini e di queste donne, la loro rinuncia al denaro, alle ricchezze, alle costrizioni sociali si accompagnava nella predicazione francescana ad un ruolo centrale dato al canto e alla danza: perché l’amore per il creato si celebrava anche attraverso la voce e il movimento, altro segno – se mai ce ne fosse bisogno – di una religiosità gioiosa, che non mortificava il corpo. Perciò ho sentito subito che il musical, o l’opera rock, si avvicinava a quello che avevo in mente: film come Hair e Jesus Christ Superstar sono stati per me riferimenti fondamentali e utili per capire il percorso da intraprendere, e li ho condivisi in preparazione con gli attori e con tutti i reparti.

Come per la lingua, anche per la musica ho cercato una strada mimetica. Non è un caso che i primi manoscritti di canzoni siano francescani, e non a caso – al di là della musica sacra – Francesco era un appassionato delle chanson de geste, amava la poesia e la musica “laiche”, l’amore cortese, citava il ciclo della tavola rotonda; così ho deciso di cercare una musica gioiosa, usando strumenti e sonorità d’epoca, e ho trovato nell’Anonima Frottolisti degli alleati preziosissimi. Il loro progetto musicale prevede infatti la riscoperta del repertorio antico attraverso uno studio attento delle partiture originali, nella consapevolezza del valore della scrittura, dell’arte compositiva e della teoria musicale dell’epoca. L’ensemble si occupa della ricerca e della codificazione del materiale originale e inedito dei manoscritti dell’epoca, e assieme a loro abbiamo scelto due manoscritti in particolare da cui abbiamo tratto i brani che sono stati cantati e ballati dai personaggi del film. Uno di questi manoscritti era proprio di musica laica con testi ispirati all’amor cortese in francese medioevale, quello che parlava Francesco, motivo per cui ha avuto questo soprannome che poi è diventato il suo nome. E così grazie ai frottolisti ho trovato una chiave musicale che mi ha avvicinato alle persone di cui raccontavo la storia, e che mi ha anche aiutato a comprenderne la profonda modernità rispettandone la distanza.
In parallelo ho lavorato con la coreografa Letizia Dradi sul movimento dei personaggi, mettendo in scena le danze medievali come ce le hanno tramandate le miniature dei codici e le pagine di Dante e Boccaccio. Come per il lavoro sulle musiche, la danza medioevale era per noi distante e al tempo stesso è stata un veicolo per comprendere i personaggi e la loro gioia: inoltre è stato divertente e utile il lavoro fatto sulle danze e sui canti prima di cominciare a girare, ha contribuito a unire il gruppo di attori e a creare quella comunità, parallela alla comunità antica che raccontavamo, che poi è stata una fonte continua di idee ed energia anche durante le riprese.

Una trilogia involontaria

Nonostante i precedenti di Nico, 1988 e Miss Marx, non ho mai pensato a una “trilogia femminile”: semplicemente, ho scoperto – o riscoperto – alcune figure che mi hanno spinta a raccontare le loro storie. A posteriori mi rendo conto che Chiara sembra chiudere il discorso cominciato con Nico: delle tre, è la più giovane, la più risolta, e l’unica che riesce a realizzare il proprio sogno, nonostante anche lei sia a modo suo una “sconfitta”. Grazie a lei, questo è diventato il mio film più positivo e insieme il più politico, il più doloroso e quello più aperto alla speranza: se Nico rispondeva alla domanda ultima dell’esistenza attraverso la musica, ed Eleanor Marx con la politica, Chiara lo fa con la fede, e la sua è la risposta forse più radicale: se le altre due sono donne destinate a rimanere sole, lei cerca – e trova – la propria identità nella vita con gli altri, nella comunità.

Susanna Nicchiarelli

Susanna Nicchiarelli

Nata a Roma, laureata in Filosofia con un dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel 2004 si diploma in Regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Dopo aver diretto alcuni corti e documentari, nel 2009 esordisce nel lungometraggio con Cosmonauta, Premio Controcampo alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nominato al David di Donatello come miglior film d’esordio. Seguono La scoperta dell’alba (2013) e – ancora a Venezia – Nico, 1988, miglior film nella sezione Orizzonti nel 2017, vincitore di 4 David di Donatello (tra cui quello per la migliore sceneggiatura originale) e Miss Marx, in concorso nel 2020, vincitore di tre David di Donatello e del Nastro d’Argento dell’anno.

Chiara è il suo quinto film, in concorso alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Testo, video e foto da 01Distribution

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