Crimes of the future – Cos’è l’Arte, cos’è l’Uomo?

Correva l’anno 1970 quando fu pubblicato Crimes of the Future, scritto, diretto e anche prodotto da David Cronenberg. Un art-house film che, assieme al precedente Stereo, avviava la carriera del regista e gettava i semi di quelli che saranno i suoi stilemi e le sue tematiche. Cinquantadue anni dopo, dopo otto anni di assenza dalle sale, Cronenberg propone un film con lo stesso titolo che non rappresenta un remake della sua precedente opera, e anzi ha pochissimo in comune.

Rimane intatta la domanda che sorge dal titolo: quali sono i crimini del futuro? In un futuro dove il dolore e le infezioni non esistono più, l’artista Saul Tenser (Viggo Mortensen, a dir poco in stato di grazia) si fa operare dal vivo e da sveglio dalla sua partner Caprice (una straordinaria Léa Seydoux). Una Grecia indefinita in un futuro impalpabile che non punta ad essere futuribile, quanto descrittivo del presente.

L’abbandono del dolore porta infatti l’uomo ad alienarsi da se stesso, mutandolo a livello morale e percettivo. In questo modo esso si allontana dal suo bisogno più concreto, primordiale ed impulsivo – la sessualità – e da quello più astratto, filosofico e frutto dell’evoluzione: l’arte.

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Evoluzione, sessualità ed arte sono un intrecciato trittico di tematiche scandagliate da Cronenberg, nonché elementi costituenti e descrittivi dell’umanità stessa.

Come in una spirale, che idealmente parte proprio dal vecchio Crimes of the Future, il regista canadese torna a creare una pellicola che sfrutta le mutazioni della carne senza essere un horror classico. In questo risulta quindi una perfetta fusione tra il Cronenberg del body horror e il Cronenberg degli ultimi dieci anni (prima del lungo hiatus), che predilige la realtà e l’analisi dell’animo umano. In questa sintesi della poetica del regista vive questo thriller atipico, non vivente neppure in questo genere, sfruttandolo come un MacGuffin per veicolare temi e messaggi.

Il fascino di Crimes of the Future risiede proprio nel come i temi portanti sono intrecciati e stratificati, oltre che interconnessi tramite un linguaggio visivo comune. Le operazioni cui Tenser si sottopone, le macchine mostruose e biologiche, le riflessioni portate avanti dai dialoghi vertono sull’evoluzione umana e su come questa modifichi l’arte, il sesso e la morale.

Facendosi crescere degli organi nuovi e con funzioni sconosciute, poi rimossi davanti ad un pubblico, il progresso tecnologico che permette tale chirurgia e il corpo stesso divengono Arte. Ma l’atto chirurgico è anche il “nuovo sesso”, espletato sempre attraverso il corpo e si fa Arte esso stesso. La desensibilizzazione verso la violenza di questa performance è però desensibilizzazione verso l’arte stessa; l’allontanamento dal dolore e dalle paure che ne conseguono è anche un allontanamento dalla capacità di percepire i significati che l’arte veicola. L’organo nuovo, inteso come oggetto alieno e sbagliato all’interno del corpo, diventa veicolo di sesso ed arte ma anche un simbolo di decadenza e di evoluzione forzata, accelerata da una mano ossessionata dal “progresso” e dalla tecnologia.

Dov’è quindi il confine? E cos’è quindi questo progresso? Il film discute anche di questo, ma lontano dalla semantica, con una focalizzazione sui cambiamenti che l’umanità sta subendo. La carne che si modifica ritorna ad essere la potentissima allegoria che Cronenberg per primo ha creato, la società di Crimes of the Future un’allegoria della nostra società.
Nell’evoluzione dell’essere umano – o dall’allontanamento da tale ipotetica umanità che forse è proprio il “crimine del futuro” – vive il rapporto tra i personaggi e l’ambiente circostante. Un ambiente buio, soffocante, umido e sporco, che le inquadrature strette contribuiscono a rendere claustrofobico. Allo stesso modo è soffocato l’animo dei personaggi in cerca di se stessi o di qualcosa che li possa rendere vivi, in maniera quasi ossessiva. Un organo, una performance, un’autopsia, un’operazione chirurgica, il nutrimento per l’animo è sempre insufficiente e il corpo ne è distaccato.

Questa marcescenza dell’animo aliena quindi l’umanità, ma Cronenberg non si abbandona al nichilismo. Esiste una luce, un ambiente aperto, una speranza. La prima scena è tanto eloquente quanto visivamente contrastante con il resto dell’atmosfera, ma interconnessa alla perfezione con l’ultima, anch’essa chiusa con un cambiamento a livello visivo. Proprio l’evoluzione, l’elemento più ripudiato della pellicola, è la speranza dell’umanità: il divenire corpi diversi, il rendere possibile il nutrirsi dei rifiuti, della plastica, degli scarti industriali è la speranza dell’umanità di Crimes of the Future.

Ma, girata la chiave di lettura dell’allegoria, forse è anche la nostra speranza, come lo è allo stesso modo l’avvicinarsi al dolore e non il respingerlo. Quello stesso dolore che ci rende vivi e ci consente di riprodurci serve ad andare avanti, a spingere l’evoluzione verso nuovi confini. Gli stessi confini che l’arte non conosce, come forma e come sostanza, la stessa arte che evolve con l’uomo e ne è parte costituente ed inscindibile.

Un film sì metacinematografico ma capace di scandagliare e scavare nell’animo umano, aprirne il corpo ed esibirne le viscere per mostrare cosa siamo dentro; una perfetta chiusura del cerchio per Cronenberg, che ritornando alle sue origini si dà in realtà uno slancio in avanti, quindi evolve. Forse siamo di fronte ad un testamento artistico, ma sicuramente assistiamo ad un’opera d’arte ancora da comprendere appieno, che rende il linguaggio del cinema ancora degno di esistere.

La locandina di Crimes of the future di David Cronenberg, con Viggo Mortensen
La locandina di Crimes of the future di David Cronenberg, con Viggo Mortensen

Titolo Originale Crimes of the future
Regia David Cronenberg
Nazione Stati Uniti
Anno 2022

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Video e foto da Lucky Red.

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