1 Febbraio 2016
I frutteti piantati alla maniera tradizionale dalle comunità indigene della foresta pluviale malese svolgerebbero un ruolo positivo per la conservazione dell’ecosistema locale e contribuirebbero al mantenimento della diversità degli animali nell’area.
Le foreste pluviali del Sud Est asiatico, difatti, presentano relativamente pochi frutti carnosi che non fruttificano neppure tutti gli anni. Si tratta insomma di una risorsa poco affidabile per gli animali che se ne nutrono, che sono perciò maggiormente vulnerabili. Le attività umane qui, però, possono incrementare la quantità e la varietà di frutta disponibili.
I Chewong sono un gruppo indigeno di 400 persone che vive nella foresta pluviale della penisola centrale della Malesia. Alcuni vivono uno stile di vita tradizionale, che si esplica nella coltivazione, nella caccia e nella pesca, oltre che nella raccolta di frutti ed erbe (anche medicinali). Le loro pratiche agricole comportano il diradamento di angoli della foresta pluviale, mantenendo alberi naturalmente presenti e piantando specie native di alberi da frutto, come il durian, il mango, il rambutan.
Questi frutteti comportano un impatto minimo e attraggono però animali di taglia maggiore, tra quelli più vulnerabili. Lo stile di vita Chewong evita i conflitti con elefanti e tigri, e i frutti abbondanti possono essere condivisi con gli animali dell’area. Pratiche simili, insomma, producono effetti al netto positivi, da valutarsi in un’ottica di politiche di conservazione.
Lo studio “Fruit gardens enhance mammal diversity and biomass in a Southeast Asian rainforest”, di Jonathan Harry Moore, Saifon Sittimongkol, Ahimsa Campos-Arceiz, Tok Sumpah, Markus Peter Eichhorn, è stato pubblicato su Biological Conservation.
Link: Biological Conservation; EurekAlert! via University of Nottingham
Elefante asiatico (Elephas maximus), foto di , da Wikipedia, CC BY-SA 2.0.