L’ARTE COME IMITAZIONE. UNA LETTURA DELLA POETICA DI ARISTOTELE

Nota ad un pubblico esperto e non, la Poetica fa parte di quella sezione del corpus aristotelico che raggruppa tutti gli scritti e le lezioni del filosofo durante gli studi presso l’Accademia platonica prima e il Liceo poi.

Ma una considerazione iniziale va fatta. La Poetica è da considerarsi un vero e proprio libro? Certo e così sembra sia stata pensata. L’opera, o meglio l’“operetta” aristotelica, rappresenta un vero e proprio manuale di critica letteraria ante litteram, non a caso Oscar Wilde la definì una “perfetta opera di critica estetica”.

Aristotele Lisippo Palazzo Altemps
Aristotele, copia romana del busto di Lisippo (mantello di età moderna), conservata a Palazzo Altemps, Roma. Foto © Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons, in pubblico dominio

Ma al di là della natura dell’opera e della sua fortuna nei secoli, – basti ricordare che sin dal ‘500 la Poetica ha goduto di immensa fortuna tanto da guadagnarsi, nel tempo, la considerazione degli studiosi: filologi, linguisti, poeti, ecc. – quali argomenti sottopone Aristotele all’attenzione del lettore?

Nel leggere l’opuscolo, si ha l’idea che gli argomenti trattati siano alla portata di tutti e, soprattutto, siano da tutti recepiti come assodati. In parte questa sensazione è vera. Infatti, la Poetica ha l’ardito ruolo di definire e categorizzare il concetto di poesia e di arte, partendo dalle tipologie di quest’ultima per arrivare, poi, a trattare, anche, dei tratti linguistici dei poeti.

Uno degli elementi principali della trattazione aristotelica – tema principale di questo articolo – è insito nel concetto di imitazione. L’uomo, in quanto essere vivente, riproduce ciò che vede, imitandolo, provocando piacere alla vista,

“[…] perché accade che guardando si impari e si consideri che cosa sia ogni cosa”.

Questo porta, indubbiamente, il filosofo ad affermare che

“[…] l’uomo si differenzia dagli altri animali nell’essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo dell’imitazione le nozioni fondamentali”.

Tutto ciò che è arte è frutto d’imitazione. D’altronde, quando osserviamo un’opera d’arte – che sia un paesaggio, una natura morta o un evento storico -, assistiamo all’imitazione del reale.

Il concetto di imitazione è connaturato nell’uomo. Per questo motivo Aristotele trova, nella naturalezza della riproposizione del reale da parte dell’uomo, la nascita del genere poetico.

Poiché dunque noi siamo naturalmente in possesso della capacità di imitare, della musica e del ritmo […], dapprincipio coloro che per natura erano più portati a questo genere di cose, con un processo graduale dalle improvvisazioni dettero vita alla poesia”.

Nella definizione dell’arte poetica, Aristotele si discosta dal maestro e, infatti, definisce la poesia la più alta forma di arte, ritenendola più importante della trattazione storica. Ma qual è la differenza tra il poeta e lo scrittore di racconti? Il primo dice le cose come possono avvenire, il secondo ciò che è accaduto. Il poeta ha un compito gravoso:

“[…] dire le cose […] quali possono avvenire, cioè quelle possibili secondo verisimiglianza o necessità”.

Imitazione e verisimiglianza sono due concetti strettamente collegati. Partendo da questo presupposto, Aristotele giunge a distinguere due diverse tipologie di “fare poesia”: l’epica e la poesia che oggi definiamo “scenica”.

L’epica, di cui Omero – secondo Aristotele – è il massimo capostipite, è la rappresentazione più alta di imitazione verisimile del “serio”. L’Iliade e l’Odissea sono le due più importanti opere che traducono il concetto della serietà della rappresentazione: l’una, nel raccontare la guerra, l’altra, nel presentare le vicissitudini che attesero Ulisse nel suo viaggio di ritorno ad Itaca.

La poesia scenica, a sua volta, è divisa in: tragedia e commedia. Se la tragedia è più vicina al genere epico perché rappresentazione visiva di ciò è serio e di personaggi di caratura “elevata”, la commedia, al contrario, è l’emblema del ridicolo (nella Poetica si ha un’ampia trattazione dell’origine della tragedia a discapito della commedia, alla quale è dedicata una piccolissima sezione).

La tragedia è la trasposizione verisimile di caratteri e azioni pregevoli – proprio come l’epica – e si discosta da quest’ultima soltanto per il metro utilizzato: se l’epica adoperava l’esametro – che ha la facoltà di trasferire in versi un racconto – la tragedia utilizzava il ditirambo – dalla quale ebbe origine – per narrare “visivamente” le azioni dei personaggi sulla scena.

Un’ulteriore differenza è nella costruzione del racconto. Aristotele, infatti, focalizza l’attenzione sul come i poeti presentavano i fatti come sarebbero dovuti accadere. L’epica ha la peculiarità di poter abbracciare più azioni dell’uomo – un esempio è l’Odissea che presenta le diverse vicissitudini dell’eroe -, la tragedia, invece, deve focalizzarsi – ma questo, anche, per questioni relative alla rappresentazione teatrale ed al tempo della stessa – deve abbracciare una sola, o addirittura poche azioni, dei personaggi sulla scena; azioni che sono solitamente sbrigliate da riconoscimenti e rovesciamenti che, secondo il filosofo, sono il “succo” del genere tragico.

Infine, Aristotele abbraccia il tema dello stile e della lingua (la Poetica si presta, anche, come opuscolo per linguisti e storici della lingua).

Bisogna comporre i racconti e rifinirli con il linguaggio quanto più avendoli davanti agli occhi”.

Il poeta deve immedesimarsi nella scena e permettere allo spettatore di essere catturato. Per fare questo lo stile dev’essere serio e al contempo arricchito da figure e immagini che aiutino lo spettatore ad aver paura o pietà a seconda delle caratteristiche dei personaggi sulla scena. Ed è questo un ulteriore ingrediente che sostanzia il concetto della verisimiglianza poetica.

Ad oggi l’opuscolo aristotelico continua ad essere oggetto di attenzione da parte degli studiosi, sia per l’interessante trattazione delle caratteristiche della poetica e del fare poesia, sia perché ulteriore elemento fondamentale per la comprensione del pensiero e delle speculazioni di un filosofo che – probabilmente – risulta essere ancora “moderno”.

Platone Aristotele PoliticaRaffaello Sanzio, La Scuola di Atene; al centro Platone e Aristotele. Affresco (1509-1511 circa), Musei Vaticani. Foto di Rafael in pubblico dominio

Le traduzioni dei passi aristotelici sono cavati dall’edizione della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), 2006, a cura di Diego Lanza.

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