ARMAGEDDON TIME, di James Gray
Da giovedì 23 marzo 2023 al cinema

Armageddon Time
Il poster di Armageddon Time, diretto da James Gray

SINOSSI

Dal riconosciuto autore James Gray, Armageddon Time è una storia di crescita profondamente personale che affronta le vicende di una famiglia disperatamente impegnata nella ricerca di un’affermazione che ha coinvolto un’intera generazione, il Sogno Americano. Il film è interpretato da un cast di grandi artisti, come Anthony Hopkins, Anne Hathaway e Jeremy Strong. 

NOTE DEL REGISTA, JAMES GRAY

Storia e mito possono entrare in contatto nelle pieghe di piccole esperienze personali. Con ARMAGEDDON TIME, ho cercato con tutto me stesso di realizzare il più intimo e sincero film che potessi fare. Volevo rendere la storia libera da tutte le trappole del film di genere e rimuovere ogni possibile barriera all’onestà della pellicola. Più di tutto, volevo parlare con sincerità. Ricordo di aver scritto quattro parole su un pezzo di cartone per poi incollarlo alla macchina da presa come perenne monito: “Amore. Calore. Ironia. Dolore.” E in questo film, il dolore assume forme molto diverse.

Il Sogno Americano ha sempre avuto un ruolo predominante nella storia che la mia famiglia voleva presentare al mondo. Non siamo riusciti a comprare buona parte dei vuoti simboli che la caratterizzano, ma abbiamo creduto con tutto il cuore nella realizzazione di un disegno molto più grande. I miei genitori si sono sempre ritenuti abbastanza intelligenti da poter separare il mito dalla realtà, ma ho assistito per anni alla loro lotta contro i mulini a vento di una società sbagliata alle radici. Il mondo si aspettava da parte della mia famiglia l’accettazione del compromesso, ma alla fine, nonostante il nostro impegno, non è stato abbastanza. I nostri privilegi sono sempre stati in bilico fra realtà e fantasia.

Questo film parla di un momento preciso, un momento del passato che spiega chi siamo oggi. Amo con tutto il cuore le persone che sono presenti in questa storia. Oggi sono tutti fantasmi.

LA PRODUZIONE DEL FILM

Dopo aver girato cinque film drammatici e intimi nella sua città d’origine, New York, il regista James Gray si è mosso su nuovi terreni con un’avventura incentrata sulle esplorazioni come CIVILTA’ PERDUTA – THE LOST CITY OF Z, ambientata in Amazzonia, e il racconto fantascientifico AD ASTRA. Con ARMAGEDDON TIME, Gray ha deciso non solo di fare ritorno a New York City, ma addirittura di ripiombare nella villetta bifamiliare di Flushing, nel Queens dove è cresciuto.

“Sono stato nella giungla e ho potuto ricreare lo spazio infinito, e sono onorato di aver potuto fare queste esperienze,” commenta Gray. “A un certo punto sono però arrivato alla conclusione che New York faccia parte di me. Se riesci a esprimerlo in maniera diretta e onesta, è senza dubbio la cosa migliore che potrai fare. Il mio primo pensiero è stato di tornare nuovamente a casa, provando a farlo nella maniera più personale possibile.”

Con questo pensiero in mente, ha deciso di rivisitare le proprie memorie e creare personaggi che fossero veri tanto a livello pratico che emotivo, soprattutto agli occhi delle persone che hanno condiviso con lui gli anni formativi della sua vita. Gray era il più giovane di due figli, ed entrambi i genitori erano nati in famiglie di immigrati ebrei. Suo padre, figlio di un idraulico, crebbe in condizioni modeste, ma tramite il lavoro riuscì a costruirsi una posizione nella classe media come ingegnere. La madre di Gray era un’insegnante e presidente dell’Associazione Genitori, esattamente come i propri genitori. I ricordi di frequenti pranzi di famiglia sono vivi nella memoria del regista, tanti appuntamenti nella sala da pranzo gomito a gomito con nonni, zie e cugini. Gli adulti continuavano a parlare di qualsiasi argomento avessero in mente, cercando l’attenzione dei bambini quando si trattava di dire cose importanti su come affrontare la vita.

L’obiettivo è stato anche di riuscire a connettere la propria storia personale con il respiro più ampio della storia e della cultura americana di quegli anni, in grado di esercitare un’influenza senza pari. Gray iniziò i suoi studi nel Queens alla PS 173, ma nel 1980 i genitori decisero di spostarlo in una scuola privata chiamata Kew-Forest School, in un’area più ricca del quartiere, conosciuta come Forest Hills. Alla PS 173, era uno dei 48 ragazzi della sua classe ed era molto difficile avere delle attenzioni sui singoli. Alla Kew-Forest, il rapporto fra studenti e insegnanti era molto più basso, oltre ad essere circondato da ragazzi cresciuti in condizioni economiche totalmente diverse, con cui aveva poco in comune.

Fra i suoi ricordi più intensi emerge un’amicizia nata a PS 173 con un ragazzo afroamericano che arrivava in autobus da Hollis. Nonostante la sua intelligenza, non riusciva a creare grandi legami a scuola, oltre ad essergli stato impedito di riuscire negli studi a causa di un insegnante che semplicemente lo disprezzava. Gray e il ragazzo divennero molto vicini, grazie anche ad alcuni interessi in comune come lo spazio e la musica. Mentre Gray sognava di diventare un famoso artista, il suo amico avrebbe voluto essere un astronauta e conservava come un tesoro le toppe delle missioni dell’Apollo spedite dal fratellastro in Florida. Un giorno, l’insegnante li trovò a fumare in bagno quella che si rivelò essere una canna di erba ed ebbero entrambi grossi problemi. Il preside della scuola arrivò a suggerire alla madre di Gray di spostarlo in una classe di supporto per bambini con difficoltà di apprendimento, un’ipotesi che però fu rifiutata con sdegno. Invece l’amico di Gray non aveva genitori borghesi disponibili a intercedere per lui, vivendo con una nonna che non sempre lo riconosceva e quasi certamente soffriva di Alzheimer. Era essenzialmente solo senza nessun adulto che lo potesse guidare e proteggere.

L’incidente si rivelò un bivio per le vite dei due ragazzi. Il problema per l’amico di Gray non fu tanto il cambio di vita scolastica, ma il fatto di essere preso in carico dai servizi sociali e gli assistenti iniziarono a verificare la sua situazione in casa. In più occasioni mancò agli appuntamenti, consapevole che sarebbe stato tolto dalla custodia della nonna. Arrivò anche a nascondersi in un piccolo magazzino nel giardino della famiglia Gray, ma per James era difficile comprendere il vero significato di quanto stesse effettivamente vivendo.

Guardando al mio passato, una volta adulto, sono tornato milioni di volte a ripensare a quegli episodi,” spiega Gray. “Il mio amico era una persona straordinaria, molto carismatica. Da giovane bianco, non arrivavo a pensare che la mia razza o classe sociale determinasse il mio accesso alle varie possibilità della vita, ma ovviamente per lui era diverso. Essere incosciente è un lusso unico e un privilegio impagabile. Per questo ho voluto realizzare un film che esaminasse i sottili equilibri fra classi sociali e gruppi etnici per evidenziarne in maniera molto onesta tutte le storture.”

A Kew-Forest, Gray iniziò a frequentare ragazzi in cui l’uso spregiudicato della parola Negro era semplicemente l’espressione della loro ignoranza. Questa esperienza lo metteva a disagio, ma non abbastanza da opporsi. L’unica persona con cui riusciva a parlarne era l’uomo che amava e di cui si fidava di più, il nonno materno. Uomo di grande generosità e calore umano, il nonno, di origine inglese, era un suo sostenitore indefesso, sempre al suo fianco per incitarlo nella passione per l’arte e nella realizzazione dei suoi sogni. Nel corso dell’infanzia di Gray, fu il nonno ad avere un ruolo chiave per sviluppare la comprensione del bene e del male. Proprio in quel momento, parlò al nipote con parole chiare affrontando le crude bruttezze di questo mondo e l’imperativo morale di non dover rimanere in silenzio. Il loro rapporto, così determinante per la vita creativa e le convinzioni del regista, sarebbe diventato un elemento fondante di ARMAGEDDON TIME.

“Mio nonno mi spinse a fare cose che all’epoca ritenevo difficili e fastidiose. Analizzando il mio percorso, mi rendo conto che non tutti hanno la fortuna di essere affiancati da qualcuno così saggio e compassionevole da sostenere un percorso di crescita, per questo sono felice che la sua forza morale continuerà a vivere ancora in questa pellicola.”

Il film narra le vicende attraverso gli occhi del giovane Gray, ma è senza dubbio la visione dell’uomo che è poi diventato.

“Le mie riflessioni e impressioni sulla storia americana, in particolare negli anni ’80 sono una dimensione del film,” spiega il regista. “Con l’elezione di Trump i miei sentimenti si sono acuiti. Questo perché la famiglia Trump era molto presente a Kew-Forest. Fred Trump Sr. e la figlia Maryanne vennero addirittura a parlare a scuola.”

Nel momento in cui è iniziata la scrittura della sceneggiatura nel 2018, le varie dimensioni fra memoria, idee e temi si sono coagulate in una storia che si incastra nel contesto delle elezioni presidenziali del 1980. In un periodo complessivo di due mesi, ARMAGEDDON TIME segue la vita di un ragazzo fra casa e scuola, e la serie di eventi che lo porta a perdere due persone, il suo migliore amico e il nonno materno, cui era profondamente legato.

L’autore ha portato nel film tutte le sue passioni dell’epoca, oltre alle idiosincrasie, le attitudini e i comportamenti per riuscire a creare il giovane protagonista della storia, Paul Graff. Artista in erba, Paul adora disegnare ed è affascinato dallo spazio e dai razzi. È un ragazzo sveglio e divertente, ma non è particolarmente interessato alla scuola, anche se riesce sempre a far ridere i compagni di classe. A casa, è molto testardo e schizzinoso a tavola, litiga continuamente con il fratello più grande e a volte si prende gioco dei genitori. È praticamente convinto che la madre, Esther, presidente dell’associazione Genitori, possa risolvere ogni guaio in cui si caccia e tenerlo non a portata della rabbia del padre. Ha un rapporto molto stretto con il nonno Aaron, che incoraggia il suo interesse nell’arte e ne sponsorizza ogni attività, oltre a prenderne le difese quando discute con i genitori.

Il primo incontro che lo spettatore ha con Paul avviene l’8 settembre 1980, primo giorno delle medie a PS 173. Prima ancora che l’appello sia concluso, Paul e un ragazzo che conosce, Johnny, hanno già intrattenuto tutti i compagni di classe e fatto infuriare l’insegnante, che ha già un atteggiamento ostile nei confronti di Johnny a causa del colore della sua pelle. Sulla via di ritorno a casa, i due ragazzi hanno già legato grazie agli interessi condivisi, fra spazio e musica. Tornato in famiglia, Paul intasca alcuni soldi dalla scatola dei gioielli della madre per darli a Johnny, che non avrebbe potuto pagare la gita al Guggenheim Museum.

Come ogni altra questione del film, la nascita dell’amicizia e la storia di Johnny sono raccontati dalla prospettiva di Graff.

“Credo di aver visto in lui uno spirito affine,” riflette Gray. “Era interessato alle vicende spaziali, esattamente come me. Avevamo gusti molto simili. A quell’età incontrare qualcuno che condivide così tanti interessi è semplicemente straordinario. Tipicamente così nasce un’amicizia.”

Uno degli aspetti più influenti nella vita di Paul sono i momenti vissuti con il nonno Aaron. Il rapporto di Gray con i genitori non è sempre stato facile, ma l’amore incondizionato ricevuto dal nonno è stato un dono impagabile.

“Mio nonno mi ha amato in una maniera che ritengo veramente speciale,” ricorda il regista. “Era solito disegnare con me, ascoltare i dischi dei Beatles al mio fianco, anche se non sono certo che gli piacessero, ma tanto non me lo avrebbe mai detto. Ha costruito razzi e modellini con me. Era interessato alla mia vita e in quello che volevo fare nel mio futuro.”

La sceneggiatura ha raccolto, in ogni singolo dettaglio, momenti piccoli e grandi che erano sedimentati nella sua memoria. Buona parte del suo impegno è stata spesa nel tentativo di creare personaggi che apparissero come realistici alle persone reali a cui erano ispirati, incluso sé stesso. Le persone dicono cose e reagiscono in modi che non sempre corrispondono al loro modo di vedere la vita.

“Ho comunque cercato di frenare il bisogno di collocare tutto il mio ego nel film e piuttosto ho provato a dipingere nella maniera più sincera possibile una serie di eventi della mia vita che affrontano il brutto e il bello in egual misura,” spiega lo stesso regista. “Il comportamento del personaggio Paul nel film è in alcuni passaggi decisamente deplorevole. Fa lo stupido a cena con la sua famiglia e dice cose terribili alla madre in alcune occasioni. Ho provato a mettere in piedi una storia che travolgesse questi personaggi con l’amore, la comprensione e le verità più dure.”

Per Paul, essere trasferito dalla scuola pubblica e allontanato dai suoi amici sembra la fine del mondo. Gray ha deciso di intitolare il film ispirandosi a una canzone reggae chiamata “Armagidion Time,” che fu rifatta dai The Clash nel 1979.

“Per le persone di oggi può sembrare difficile comprenderlo, ma abbiamo vissuto sotto la costante minaccia di una guerra nucleare, di un Armageddon,” è la considerazione dell’autore. “Era un argomento di conversazione perenne per i politici. L’idea su cui si fonda il titolo è che si trattasse per Paul di un’apocalisse dover andare via in quel modo, andare in una nuova scuola e sentirsi sbattere in faccia la parola Negro. Essere presente ai discorsi della famiglia Trump nella scuola su come non avessero avuto alcun privilegio, quando tutta la loro storia si fonda sul privilegio. Tutte queste cose sono un colpo inferto al suo modo di conoscere le cose.”

Il film esplora l’idea che ci siano eventi durante l’infanzia che, a seconda della classe sociale o della razza, possono ampliare lo sguardo sul mondo per uno, mentre per altri, quegli stessi eventi possono avere un impatto negativo per sempre. Le diseguaglianze possono sembrare invisibili fino a quando non arriva un’epifania.

ARMAGEDDON TIME prosegue la lunga collaborazione produttiva di Gray con Marc Butan e Anthony Katagas. Si tratta della sesta occasione in cui Katagas lavora con Gray, a partire dal terzo film del regista, I PADRONI DELLA NOTTE – WE OWN THE NIGHT (2007). La loro intima amicizia e condivisa passione per il cinema ha permesso loro di partire dal Queens per arrivare ai confini del Sistema Solare e tornare con una sosta nella Foresta Amazzonica. Katagas condivide il legame del regista con New York, considerata una sorta di personaggio, come nel caso del film TWO LOVERS (2008). I due hanno anche avuto modo di esplorare le radici della proprie famiglie con la realizzazione del film C’ERA UNA VOLTA A NEW YORK – THE IMMIGRANT (2013), una pellicola largamente basata sui ricordi dei nonni di Gray, che appaiono anche in questa ultima opera. Come spiega Katagas,

“La parte migliore di poter lavorare con Jimmy è la preparazione, quando ci immergiamo nello studio dei maestri della pittura e ci abbeveriamo del grande cinema del passato, per tirar fuori i riferimenti più interessanti a livello visivo. Questa sola parte vale il prezzo del biglietto per i nostri film. ARMAGEDDON TIME non fa eccezione e il film è meraviglioso per la sua capacità di guardare a un passato che non si è ancora totalmente dissolto.”

Nel caso di Butan si tratta del quinto film al fianco del regista e autore, una collaborazione nata anche per lui su I PADRONI DELLA NOTTE – WE OWN THE NIGHT (2007). Durante la prima lettura della sceneggiatura, Butan ha allo stesso modo trovato un grande numero di temi e situazioni che ricordavano le sue origini.

“C’erano molti immigrati ebrei nella famiglia di mia madre che hanno vissuto le stesse esperienze dei parenti di James. Arrivarono in America, una terra straniera, e fu molto difficile riuscire ad abituarsi a questa terra così pragmatica. Per esempio, non si poteva essere artisti, bisogna essere dottori, avvocati, professionisti. Queste dinamiche sono universali, al di là delle famiglie ebree, ma le ho sentite così vicine perché la mia storia e quella di James si assomigliano così tanto.”

Il produttore Rodrigo Teixeira, che ha lavorato per la prima volta con Gray su AD ASTRA, non vedeva l’ora di riprendere un progetto insieme.

“Durante la postproduzione di AD ASTRA mi ha avvicinato per dirmi: “Ti potrebbe interessare nella realizzazione di una storia molto personale che nasce dalla mia gioventù?”. La presentazione della storia è stata incredibile. Gli ho risposto che sarei stato al suo fianco durante questo ritorno alle origini. È stato speciale.”

IL CAST E I PERSONAGGI

I piani iniziali per le riprese del film prevedevano una realizzazione nel 2020, ma la pandemia ha spazzato ogni possibilità creando complicazioni sul percorso di scelta degli attori e mettendo a serio rischio il progetto. Alla fine, nell’estate del 2021, gli autori del film sono stati nelle condizioni di iniziare la preparazione per un inizio previsto nell’ottobre 2021.

Avendo scritto il film pensando ai propri parenti, Gray non aveva necessariamente delle idee precostituite sul casting. Ricorda delle prime conversazioni sul ruolo di Esther Graff.

“Il primo nome che mi è venuto in mente era Anne Hathaway. Ho pensato da subito che potesse essere un’ottima scelta, adoro quello che ha fatto, in particolare alcune interpretazioni strabilianti come nel film di Jonathan Demme RACHEL STA PER SPOSARSI – RACHEL GETTING MARRIED. Siamo stati fortunati a poterla avere con noi.”

Hathaway si è legata al progetto dopo aver letto la sceneggiatura nella primavera del 2020.

“Ricordo che la prima reazione che ho avuto è stata di grande tenerezza,” sottolinea l’attrice. “Conoscendo la forza emotiva di James, oltre al suo talento narrativo, ho avuto la sensazione che una storia profondamente personale potesse trasformarsi in un film toccante e destabilizzante. Abbiamo costruito una messinscena molto intima, ma inserita perfettamente in un momento molto preciso per New York e l’America, e ho voluto farne parte con tutta me stessa.”

Oltre a un lungo confronto con Gray sulla personalità della madre, Hathaway ha compiuto diverse ricerche su altri aspetti che potessero far emergere la donna che avrebbe interpretato, inclusi l’attività politica di quel periodo, la storia della sua famiglia, la religione, le condizioni economiche.

“Volevo essere a mio agio con il mondo in cui Esther era cresciuta e arrivare anche a capire quello in cui i suoi genitori si erano trovati a vivere,” spiega l’interprete.

Esther è una persona che raramente si ferma per riposarsi; da insegnante di economia domestica e presidente dell’associazione genitori, decide di candidarsi per un posto nel consiglio scolastico. Hathaway la descrive come

“una matriarca con l’ambizione di una propria scalata sociale, nonostante le sue umili origini”. Intravede un percorso per il successo della sua famiglia, e lo intraprende nonostante sia consapevole di quanto possa essere precario. La incontriamo in un momento della sua vita in cui il suo idealismo, che l’ha sostenuta durante il corso degli anni, anche i più difficili, arriva a confronto con la cruda realtà che non le permetterà di realizzare i suoi sogni. Ho visto in questa donna una passione travolgente, determinazione, vulnerabilità, tristezza e amore.”

Hathaway vede fra Esther e il suo figlio più piccolo un’affinità particolare, che ne complica la vita da madre. Nella sua visione

“Esther e Paul si prendono. Fra tutti i componenti della famiglia, oltre al padre, Paul è quello che sa far emergere il meglio, quello che la far ridere e anche quello che sa come farle perdere le scarpe. La madre è preoccupata che il figlio non saprà trovare il suo posto nel mondo, e la sua serenità rappresenta la sua prima preoccupazione.”

Durante la selezione degli attori nel 2021, Gray doveva ancora vedere la serie HBO “Succession” e non era così familiare con uno dei suoi protagonisti, Jeremy Strong.

“Un mio amico continuava a dirmi che avrei dovuto vedere la serie e a segnalarmi quanto fosse bravo Jeremy Strong. Ovviamente ci sono rimasto incastrato e ho apprezzato il suo lavoro. Io e Jeremy abbiamo avuto una conversazione su Zoom e abbiamo deciso di lavorare insieme.”

Strong non aveva ancora avuto modo di leggere la sceneggiatura in occasione del loro primo incontro, ma conosceva comunque molto bene i film di Gray.

“Sono convinto che James abbia un talento unico e lo considero onestamente uno degli autori contemporanei più importanti. C’è un gruppo di registi con cui ho sempre sognato di lavorare e lui ne fa parte,” spiega l’attore. “Poi ho letto la sceneggiatura e ne sono rimasto illuminato. È raro riuscire a leggere un testo che sappia essere tanto intimo quanto forte per la sua portata storica. Parla di un ragazzo, dei suoi genitori e di un momento preciso per un quartiere, il Queens, e una casa, ma è anche l’origine del percorso di un artista e di un’epoca storica che stiamo ancora vivendo. E Irving era uno di quei personaggi che emergevano dalle pagine che stavo leggendo.”

Strong è arrivato a New York con l’intenzione di conoscere tutto della vita del padre di Gray, oltre che di quegli anni vissuti da ragazzino.

“C’era molto da comprendere, chi fosse e cosa gli piacesse; che musica ascoltava e quali fossero i suoi interessi. Io e James abbiamo girato per il Queens e ho avuto l’opportunità di fare un tour nel suo mondo. L’ho tempestato di domande, tentando di costruire un quadro composito del padre, così da interiorizzare tutto e poterlo riproporre davanti alla macchina da presa. Non ho voluto interpretare il padre di James, ma ho provato a comprendere l’essenza dell’uomo.”

Irving non ha una relazione facile con nessuno dei figli, ma non c’è dubbio che si assume con serietà le responsabilità da padre. Come spiega Strong,

“È il figlio di una generazione diversa e ha un bagaglio di esperienze molto difficili. Ha un carattere iracondo, come se ci fosse una pentola a pressione dentro di lui. Tenta in ogni modo di dare il suo supporto alla famiglia e vorrebbe per i propri figli una vita più semplice e soddisfacente di quella che ha avuto. Credo che per lui sia difficile creare legami con le persone. Ma nonostante questo, ci sono dei momenti in cui tenta con tutto se stesso a essere affettuoso. Così arriviamo a scoprire dei lampi di amore e generosità in cui sembrerebbe essere molto limitato.”

Il progetto ha attratto Anthony Hopkins per un gran numero di ragioni. “Ho visto parecchi film di James Gray, e credo sia in grado di esprimere molti livelli quando racconta i rapporti famigliari nei suoi film. È un regista molto intelligente e particolarmente preciso,” afferma l’attore. “Realizzare un film dedicato a una famiglia da questo lato dell’America è stata una sfida particolarmente intrigante.”

Il nonno di Gray ha passato i suoi primi anni di vita in Inghilterra, dove la madre aveva trovato rifugio dopo che la famiglia era stata uccisa dai Cosacchi. Come illustra il regista,

“Ha sempre avuto uno stile molto raffinato, che credo abbia sviluppato in Inghilterra, senza mai effettivamente perderlo. Era esattamente come Tony nel film, con la camicia chiusa fino all’ultimo bottone, la cravatta, una formalità che lo distingueva da tutti gli altri.”

Nell’interpretazione di Aaron, Hopkins ha fatto tesoro dei ricordi del proprio nonno, con cui aveva un rapporto molto stretto. Ancora più nel dettaglio queste memorie sono state utili durante le riprese di una scena fondamentale che arriva alla fine del film, quando Aaron e Paul lanciano il modellino di un razzo a Flushing Meadows, alla sede dell’EXPO 1964.

“Ricordo l’ultimo sguardo di mio nonno, come se sapesse già che mi stava per lasciare,”

racconta Hopkins. Comprese le difficoltà di Paul nel reagire al razzismo diffuso con cui si confronta nella nuova scuola, Aaron è molto brusco e diretto, arrivando a usare anche un linguaggio inusuale per spiegarsi. Dal punto di vista di Hopkins,

“È l’addio che rivolge a Paul: pensa in grande; sii gentile e compassionevole, e ricorda di essere un uomo. Non provare a essere perfetto. Fai del tuo meglio, ma non farti travolgere dalla bigotteria e dal razzismo. Alza la voce.”

Se la scelta degli attori per i personaggi adulti è stata naturale, riuscire a individuare i giovani interpreti per i ruoli di Paul e Johnny è stato più complesso e ha comportato un lavoro molto più meticoloso. Come spiega Butan,

“Non hai a disposizione lavori precedenti da poter visionare quando scegli ragazzi di quell’età. James e Doug Aibel, il casting director, hanno fatto una ricerca molto approfondita.”

Il lavoro compiuto ha portato Gray a scegliere Banks Repeta per il ruolo di Paul e Jaylin Webb nei panni di Johnny.

“Guardando i provini, Banks e Jaylin hanno mostrato una grande profondità. Specialmente per la loro età, quando stai cercando di costruire un ruolo importante con un giovane attore, hai bisogno di intelligenza, sensibilità, intuito, consapevolezza ed emotività. Banks e Jaylin ne erano incredibilmente dotati ed è stato un grande piacere poter lavorare con loro.”

Repeta è riuscito ad avere un continuo confronto con il regista per la costruzione del suo personaggio.

“Paul è un sognatore, un artista e un ribelle,” spiega. “James mi ha raccontato di essere stato un sognatore ad occhi aperti, specialmente a scuola. Solitamente disegnava delle caricature degli insegnanti e spesso era il pagliaccio della classe. Mi ha raccontato che faceva sempre quello che gli passava per la testa, come in quelle occasioni in cui la madre preparava dei pasti elaborati e lui invece si adoperava per ordinare al telefono i ravioli cinesi che avrebbe voluto a cena.”

Come spiega Repeta, Paul inizia la prima media in uno stato di felice inconsapevolezza.

“Dalla prospettiva di Paul, nulla sarebbe potuto andare storto,” commenta il giovane interprete. “Tutto gli è dovuto, si sente il padrone del mondo. Specialmente dopo aver incontrato Johnny in occasione del suo primo giorno di scuola.”

Ma le cose non vanno per il verso giusto e capire come gestire le difficoltà fa parte della crescita. E di conseguenza rende il rapporto di Paul con Nonno Aaron ancora più prezioso.

“Paul vive in un mondo in cui l’insegnante è sfacciatamente ostile a Johnny, ma il nonno gli insegna come essere un uomo,” spiega Repeta. “James mi ha raccontato come il nonno fosse la persona cui era più legato e riuscisse così a fargli fare tutto quello a cui ambiva, anche in termini artistici. Il nonno gli insegnò anche a levarsi per i diritti di quelli che avevano meno opportunità di lui.”

Webb, anche, ha avuto la fortuna di potersi confrontare con Gray per definire la figura di Johnny e il livello d’importanza che l’amicizia avesse fra loro. Come ricorda l’attore, “Anche quando non ero certo di aver capito interamente il ruolo, James mi ha incoraggiato e aiutato. Così ho capito ogni singolo dettaglio di Johnny e ho potuto costruire un personaggio completo.”

Johnny sta gestendo alcune difficoltà di cui non parla. Le prove sono gli abiti e le scarpe che usa ogni giorno, ma di cui nessun adulto a scuola si accorge. Quando si mette nei casini, non c’è nessuno che si adopera per capire se c’è qualcosa che non va a casa o se ha bisogno di aiuto.

“È molto difficile per Johnny,” chiarisce Webb. “Non ha genitori. È affidato alla nonna, che soffre di demenza senile e non si ricorda di nulla. Vive in sostanza da solo. È osteggiato dagli stessi insegnanti. È pieno di rabbia e non gode dei privilegi di molti dei suoi compagni di classe.”

Webb legge un profondo senso di solitudine nella vita di Johnny; l’amicizia con Paul sembra dare un elemento di speranza nella vita del suo personaggio.

“Johnny è un po’ il buffone della classe,” riflette Webb. “Ma nessuno conosce veramente la sua storia. Ha degli amici ma spesso si ritrova da solo. È molto difficile per lui riuscire a trovare qualcuno di cui fidarsi. Il legame con Paul nasce perché entrambi hanno la passione per lo spazio e per la musica. Entrambi hanno una scintilla di ribellione e amano divertirsi assieme. Paul è come una luce che riporta Johnny alla vita. Questa è la via che li rende amici.”

SGUARDO AL PASSATO: IL LOOK DI ARMAGEDDON TIME

ARMAGEDDON TIME è una ricostruzione intima del passato per come Gray lo ricorda. Perciò, mentre i dettagli legati alle persone, ai posti e agli eventi sono il più possibile veritieri e fondati sul 1980, il tono e lo stile è animato da uno sguardo pieno di amore, compassione, ironia e affetto.

L’idea che ha ispirato quest’approccio è emersa durante un giro in macchina, una domenica, diretto verso la casa in cui è cresciuto, per farla vedere al proprio figlio. La casa appariva più o meno uguale, ma l’unica traccia della famiglia Gray risiedeva in un piccolo cancello costruito dal padre per i cassonetti dell’immondizia.

“Ho iniziato a pensare a quelle importanti cene di famiglia che raccoglievano tutti i parenti. Le decisioni che erano prese all’epoca sembravano così determinanti per le nostre vite. Ora non c’è quasi alcuna prova che i miei nonni siano mai vissuti, così come per molte delle mie zie o dei miei zii. Provo un profondo senso di melanconia quando faccio queste riflessioni, ma so che è anche parte della bellezza della vita. Ho provato a dare al film questi sentimenti, allo stesso modo in cui ho provato a infondere queste sfumature negli attori, nel direttore della fotografia, dello scenografo e di tutti quelli che hanno lavorato nel film….le dimensioni di storia ed effimero s’intrecciano continuamente.”

Il team creativo di Gray include alcuni fidati collaboratori già coinvolti in precedenti film, incluso il direttore della fotografia Darius Khondji, lo scenografo Happee Massee, la makeup artist Nana Fischer e il montatore Scott Morris.

Khondji, che ha lavorato la prima volta con Gray su C’ERA UNA VOLTA A NEW YORK – THE IMMIGRANT, ricorda le prime conversazioni sul film, la storia personale emersa e il gusto particolare che il regista ha voluto dare al film, in qualche modo influenzato dall’opera di Marcel Proust “Alla Ricerca del Tempo Perduto.”

Spiega Khondji, “Le luci, i toni, i movimenti di macchina, tutto doveva esprimere la sensazione di un tempo perduto, di persone e luoghi che sono scomparsi. La sua intenzione, in qualche modo, era di costruire una storia di fantasmi. Adoro i fantasmi e le storie a loro connesse ed è cosi che ho impostato il mio lavoro. Anche con questo gusto, so che ci saranno stati elementi comici in alcuni passaggi.”

Per la fotografia ha avuto un ruolo particolare la gestione dei colori di Helen Levitt e Saul Leiter, punto di riferimento per Gray e Khondji nello studio dell’immagine. Insieme hanno anche visto un grande numero di film degli anni 70, perché volevano che ARMAGEDDON TIME sembrasse un film del 1979 o 1980 appena restaurato.

“A volte ci scordiamo quanto fossero brutti alcuni film dell’epoca,” sorride Gray. “Solo i grandi budget negli anni ’70 ti permettevano di avere una fotografia di qualità. Molte di quelle pellicole sono piatte, con pochi contrasti, quasi fioche. Io e Darius volevamo ottenere quel risultato in maniera artefatta.”

L’unico modo per raggiungere questo effetto era di girare in digitale. Come spiega Gray, “La pellicola non risponde alla stessa maniera in cui faceva all’epoca, perché la tecnologia è molto avanzata dagli anni ’80 e le strumentazioni sono così buone. Abbiamo avuto la necessità di creare un espediente. Abbiamo ripreso con la Alexa 65, per poi trasferire il girato su pellicola e successivamente scansionarlo di nuovo in digitale.”

Aggiunge Khondji, “L’estetica del film è assolutamente diversa come stile da qualunque cosa che abbia fatto in passato. Ho approcciato i colori, i neri, in una maniera completamente nuova. Il motivo risiede anche nel fatto che James mi ha raccontato una storia radicalmente nuova di quanto mi sia stato mai presentato da un regista. Il film è intriso di realismo, come se fosse un racconto antropologico, lo studio di una famiglia in un determinato periodo. Ma allo stesso tempo, si tratta di una narrazione poetica e per certi versi di un’illusione. Sono rimasto estasiato dal modo in cui James ha voluto gestire la fotografia per questo film. Trattandosi del 1980, avrebbe potuto scegliere un approccio completamente diverso. C’è essenzialmente un gusto quasi pittorico, mi ha incoraggiato a lavorare molto sulla luce.”

Gray ha lavorato a stretto contatto con il reparto scenografia per ricreare posti e ambienti nella maniera in cui se le ricordava. Ha portato con sé album fotografici e annuari scolastici. E grazie al padre di Gray, appassionato fotografo amatoriale, è stato disponibile un voluminoso archivio di famiglia. Questo materiale è stato arricchito anche da centinaia di slides, digitalizzate e preparare dalla squadra dello scenografo Happy Massee.

Anche senza l’aiuto delle fotografie, Gray avrebbe potuto rispondere a qualsiasi domanda sottoposta da Massee.

“James ricorda qualsiasi dettaglio, veramente non esagero,” afferma Massee. “Anche il più piccolo elemento della sua camera da letto, al punto da poterla disegnare perfettamente. Ed è assolutamente rapito dalla scelta di piccole cose come la carta da parati o una sedia. Abbiamo ritrovato una replica esatta del candelabro che avevano nella sala da pranzo ed era così felice.”

Aggiunge Gray, “Abbiamo copiato il più possibile, dallo stereo al tappeto verde, al divano in salotto. I piatti erano gli stessi che usavamo in famiglia, il tavolo da pranzo, lo strano mix fra modernariato danese e i mobili Ethan Allen, la sedia a dondolo nella stanza di Paul. Ho replicato l’adesivo ‘no spanking zone’ che mi ero disegnato da solo. I poster di Reggie Jackson e Muhammad Ali … tutta quella roba arriva dalla mia infanzia.”

Per la costumista del film, Madeline Weeks, si è trattata della prima collaborazione con Gray, anche se i due si conoscono da tanti anni. Nel suo film ha dovuto affrontare lo sviluppo di vestiti per molteplici generazioni, ognuna particolarmente caratterizzata. Anche se il film è ambientato nell’autunno 1980, il guardaroba dei personaggi appartiene più alla fine degli anni ’70. Come sottolinea la stessa Weeks,

“La famiglia di James non aveva necessariamente l’abbigliamento più alla moda del momento,” osserva. “Tutti indossavano abiti che avevano già da un po’ di tempo.”

Il padre di Gray era ancora vivo durante la produzione del film, così da permettere al regista di portare parte dell’abbigliamento e metterlo a disposizione per la realizzazione degli abiti di Strong. La madre di Gray acquistava i suoi abiti dal catalogo di Sears e Roebuck; con la costumista hanno così guardato alle foto dell’epoca e poi li hanno messi a confronto con i prodotti venduti fra il 1977 e il 1978. Per Aaron, Hopkins indossa un cappello che è effettivamente appartenuto al nonno di Gray.

Tutti gli adulti protagonisti del film sono stati coinvolti personalmente nella scelta del guardaroba così da assicurarsi che ogni scelta fosse allineata al personaggio che stavano costruendo. Come nel caso della madre di Gray, la Esther interpretata da Hathaway indossa pantaloni e golf. Non è mai sciatta ma non esagera; non ha paura di usare righe o motivi e le piacciono i rossi e i blu intensi. Come spiega Weeks,

“Esher è una donna pratica ma le piace vestirsi. Io e Anne abbiamo lavorato molto per ottenere questo risultato.”

Guardando le foto del padre di Gray Strong ha identificato alcuni dettagli che gli hanno permesso di definire il guardaroba di Irving: magliette a maniche corte, sempre attillate e indossate dentro i pantaloni, pantaloni da ufficio di lana e poliestere, scarpe con i lacci. Weeks ha raccolto un piccolo guardaroba fatto di pezzi che fossero appropriati anche per i loro colori tenui, eccetto una giacca con la zip di colore blu che è il look casual di Irving.

C’è stato un approccio simile anche per il guardaroba di Hopkins, ma con un gusto nettamente più sartoriale. Aaron Rabinowitz, nato a Liverpool, è un uomo affabile che si distingue anche per i suoi abiti. Nei suoi panni, Hopkins indossa un vestito per tutto il film, accompagnato da un cappotto. È stata però un’idea di Hopkins di prendere degli abiti che fossero un po’ troppo grandi per lui, da indossare con l’andare avanti della storia a sottolineare la malattia del personaggio. Weeks ha così preso una serie di abiti molto simili fra loro per tagli e colori ma di dimensioni diverse.

“Nel corso del film ti rendi conto che il nonno sta diventando più piccolo,” spiega Weeks. “A volte indossa il suo cappotto anche all’interno, perché potrebbe avere un po’ di freddo o non aver pensato di toglierselo.”

Le persone che hanno vissuto quegli anni potrebbero avere un sussulto vedendo gli occhiali da sole da aviatore di Irving o il frigorifero verde avocado, o il look che usa Esther per uscire. Butan sottolinea che queste scelte sono state il frutto di uno sforzo di gruppo.

“Sono molto soddisfatto del lavoro di coordinamento fatto da produzione e reparto costumi,” afferma. “Il guardaroba degli adulti è veramente molto curato. Un giorno eravamo in ufficio e James ha ricevuto una chiamata da Jeremy Strong. Aveva trovato un paio di occhiali in un negozio dell’usato e voleva l’opinione di James a riguardo. Tutto è stato curato nel dettaglio, ma senza voler fare una pantomima di quegli anni. Volevamo un risultato che fosse autentico.”

I RICORDI TORNANO IN VITA: SUL SET DI ARMAGEDDON TIME

Le riprese di ARMAGEDDON TIME sono durate per 35 giorni, dall’11 ottobre 2021, e si sono tenute a New York.

Mentre gli esterni della casa sono stati realizzati a soli 50 metri dalla casa d’infanzia di Gray, Massee e la sua squadra hanno ricreato gli interni della villetta in una casa in New Jersey. Sono stati necessari una serie di interventi, come ricorda lo scenografo.

“Non aveva la stessa distribuzione, la stessa struttura. Abbiamo dovuto spostare l’ingresso della casa da un angolo della casa a un altro. Abbiamo dovuto togliere il camino e chiudere delle finestre per crearne altre.”

Entrare in quella casa in New Jersey è stata una sorta di viaggio nel tempo che conduceva direttamente nel Queens nel 1980. Butan ha un ricordo molto chiaro del giorno in cui è passato sul set, prima che le riprese iniziassero.

“Era il secondo o terzo giorno di lavoro per Jeremy, e si è presentato un’ora prima della convocazione. Era totalmente nel personaggio, già con i costumi indossati; aveva il New York Post sottobraccio, una copia del 1979, e provava a commentare le notizie del giorno con chiunque gli avesse dato ascolto. Segue il Metodo al 100% e non abbandona mai il personaggio. Dopo ha iniziato a interagire con Anne che ovviamente gli ha dato spago. Quasi un’ora prima dell’inizio delle riprese, erano lì a parlare di Carter, Reagan e del negozio all’angolo che stava per chiudere. Poi gli altri attori si sono presentati e si sono inseriti in questa dinamica fino a quando tutti non erano completamente entrati nel proprio personaggio. Sono certo che abbia aiutato anche i ragazzi. Le loro interpretazioni sono state immediatamente naturali.”

Altre location sono state selezionate direttamente su indicazione di Gray, ovviamente dal quartiere in cui viveva, come anche il cinema dove andava con la famiglia. Come testimonia Strong,

“È stato molto potente trovarsi in quei luoghi e provare a riportarli in vita.”

Di fatto Gray è riuscito a riportare in vita l’umanità delle persone che più ha amato.

“Gli attori hanno fatto un lavoro molto accurato per raccontare i propri personaggi. Jeremy sembra mio padre e parla esattamente come lui. E Annie interpreta mia madre a un livello quasi inquietante. Credo che tutti gli attori abbiano sentito una responsabilità particolare nell’entrare in questi ruoli. È difficile spiegare a parole cosa significhi per un regista vedere un attore così impegnato nel modulare il lavoro sul personaggio, senza mai giocare sui facili sentimentalismi. È stato coraggioso e molto commovente per me.”

FOCUS FEATURES

MAD RIVER PICTURES

KEEP YOUR HEAD PRODUCTIONS

RT FEATURES

ARMAGEDDON TIME

scritto e diretto da

JAMES GRAY

prodotto da

ANTHONY KATAGAS

prodotto da

MARC BUTAN

prodotto da

RODRIGO TEIXEIRA

produttori esecutivi

ALAN TERPINS

MARCO TULIO KEHDI

produttori esecutivi

FRANCISCO CIVITA

BETO GAUSS

produttori esecutivi

GUSTAVO DEBS

LOURENÇO SANT’ANNA

line producer RICHARD MANCUSO

direttore della fotografia DARIUS KHONDJI, ASC, AFC

scenografo HAPPY MASSEE

montaggio SCOTT MORRIS

costumista MADELINE WEEKS

musiche CHRISTOPHER SPELMAN

music supervisor JOE RUDGE

casting DOUGLAS AIBEL, CSA

ANNE HATHAWAY

JEREMY STRONG

BANKS REPETA

JAYLIN WEBB

TOVAH FELDSHUH

JOHN DIEHL

ANDREW POLK

RYAN SELL

JACOB MACKINNON

MARCIA JEAN KURTZ

DOMENICK LOMBARDOZZI

e

ANTHONY HOPKINS

Un film FOCUS FEATURES

In collaborazione con RT FEATURES

Una produzione MAD RIVER PICTURES e KEEP YOUR HEAD

In collaborazione con SPACEMAKER PRODUCTIONS

Testo, video e foto da Universal Pictures.

Dove i classici si incontrano. ClassiCult è una Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Bari numero R.G. 5753/2018 – R.S. 17. Direttore Responsabile Domenico Saracino, Vice Direttrice Alessandra Randazzo. Gli articoli a nome di ClassiCult possono essere 1) articoli a più mani (in tal caso, i diversi autori sono indicati subito dopo il titolo); 2) comunicati stampa (in tal caso se ne indica provenienza e autore a fine articolo).

Write A Comment

Pin It