Mon Crime – La colpevole sono io, un film di François Ozon

Mon Crime – La colpevole sono io, un film di François Ozon
La locandina del film Mon Crime – La colpevole sono io, per la regia di François Ozon

SINOSSI

Negli anni ’30, a Parigi, Madeleine Verdier, avvenente giovane attrice squattrinata e senza talento, viene accusata dell’omicidio di un famoso produttore. Con l’aiuto della sua migliore amica Pauline, giovane avvocatessa disoccupata, viene assolta per legittima difesa. Inizia così una nuova vita, fatta di gloria e di successo, fino a quando la verità non viene a galla.

Mon Crime – La colpevole sono io, un film di François Ozon

Mon Crime, un film di

François Ozon

con

Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert

Fabrice Luchini, Dany Boon e André Dussollier

DAL 25 APRILE SOLO AL CINEMA

distribuito da: BiM Distribuzione

Durata: 1h 42min

IN ANTEPRIMA ALLA XIII EDIZIONE DI RENDEZ VOUS – Nuovo Cinema Francese

 

CAST ARTISTICO

Madeleine Verdier Nadia TERESZKIEWICZ

Pauline Mauléon Rebecca MARDER

Odette Chaumette Isabelle HUPPERT

Juge Rabusset Fabrice LUCHINI

Palmarède Dany BOON

Signor Bonnard André DUSSOLLIER

André Bonnard Édouard SULPICE

Signor Brun Régis LASPALÈS

Trapu Olivier BROCHE

Gilbert Raton Félix LEFEBVRE

Pistole Franck DE LAPERSONNE

Simone Bernard Evelyne BUYLE

Il Pubblico Ministero Michel FAU

Presidente della Corte di Assise Daniel PREVOST

Signora Jus Myriam BOYER

Montferrand Jean-Christophe BOUVET

Céleste Suzanne DE BAECQUE

Signora Alvarez Lucia SANCHEZ

Émile Bouchard Jean-Claude BOLLE-REDDAT

Capo cameriere Dominique BESNEHARD

Segretaria di Bonnard Anne-Hélène ORVELIN

Voce cinegiornale Georges BECOT

 

CAST TECNICO

Sceneggiatura e regia François OZON

Libero adattamento dell’omonima pièce del 1934 di Georges BERR & Louis VERNEUIL

Con la collaborazione di Philippe PIAZZO

Prodotto da Éric & Nicolas ALTMAYER

Fotografia Manu DACOSSE

Scenografia Jean RABASSE

Costumi Pascaline CHAVANNE

Musiche originali Philippe ROMBI

Montaggio Laure GARDETTE

Suono Jean-Marie BLONDEL, Julien ROIG, Jean-Paul HURIER

Casting David BERTRAND, Anaïs DURAN

Direttrice di produzione Aude CATHELIN

Aiuto regista Marion DEHAENE

Fotografie di scena Carole BETHUEL

Con la partecipazione di CANAL+, CINÉ+ et FRANCE TÉLÉVISIONS

In associazione con COFINOVA 19, CINÉMAGE 17, SG IMAGE 2021,

INDEFILMS 11, PALATINE ÉTOILE 20, CINEAXE 4 e

LA BANQUE POSTALE IMAGE 16

Con il sostegno di LA REGIONE ÎLE-DE-FRANCE

CANZONI

Danielle DARRIEUX – «Le Bonheur c’est un rien» 

In duetto con Pierre MINGAND

Wal BERG, compositore

Les éditions musicales du Petit Duc, editore

 

Danielle DARRIEUX – «Sans Un Mot»

Franz Waxman, compositore

Jean Bernard Neuburger, compositore

Wilhelm Maco, autore

Éditions Salabert France, editore

 

FRANÇOIS OZON – Regista e sceneggiatore

Il cinema parlato mi è sempre apparso come l’arte della menzogna per eccellenza ed era da molto tempo che desideravo raccontare la storia di un falso colpevole o di una falsa colpevole. Quando ho scoperto la pièce di Georges Berr e Louis Verneuil, uno dei grandi successi del 1934, ho subito capito di aver trovato la giusta opportunità per confrontarmi con questo tema.

Pur mantenendo il contesto storico e politico degli anni ‘30, ho voluto adattare liberamente la trama in modo che al suo interno risuonassero le nostre preoccupazioni contemporanee in merito ai rapporti di potere e al controllo nei rapporti uomo/donna. E ho voluto giocare con i parallelismi che esistono tra teatro e giustizia.

In questi tempi di depressione collettiva, ho sentito l’esigenza di ricorrere all’estro e alla leggerezza per meglio sopportare la dura realtà del presente. E da questo è scaturito il mio desiderio di ritrovare lo spirito della screwball comedy, con i suoi dialoghi scoppiettanti e l’uso di situazioni strampalate e scorrette in cui i protagonisti inventano delle astuzie per trarsi da drammatici impacci. Mi è sembrato il genere ideale per raccontare questa storia, con un tono di farsa tenera e ironica, giocando sull’assurdo pur abbracciando una parte di teatralità.

MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO può essere considerato il capitolo finale di una trilogia che comprende OTTO DONNE E UN MISTERO e POTICHE – LA BELLA STATUINA, tre film che esplorano la condizione femminile con humor e glamour. Il piacere di realizzare questo film con i miei collaboratori abituali è nato sia dalla ricostruzione stilizzata degli anni ‘30 sia dal materiale che di primo acchito poteva apparire datato per fare emergere tutta la sua intrinseca modernità, con un ritmo più che mai attuale, vivace e gioioso. I dialoghi cesellati e pieni di arguzia della pièce originale mi hanno riportato alla mente le commedie mordaci di Sacha Guitry in cui gli interpreti brillano e questo film mi ha offerto l’occasione di lavorare con giovani attrici esordienti molto promettenti nei panni delle protagoniste e di circondarle di una farandola di attrici e attori affermati e consolidati in gustosi ruoli di contorno.

NADIA TERESZKIEWICZ – Madeleine Verdier

Ho trovato fantastica l’idea di interpretare un’attrice che recita tutto il tempo. Come esprimere la propria sincerità quando si sta recitando e dunque mentendo? È il quesito che tutti gli attori si pongono. La mia risposta è stata di schierarmi in ogni istante al fianco di Madeleine, sincera in tutte le situazioni. Io credo in lei. È spontanea, istintiva, non pianifica niente. Avanza come può: con tendenze suicide e un istante dopo leggera e desiderosa di andare al cinema. La scopriamo innamorata, maliziosa, a volte manipolatrice. Ma sempre per una buona causa. Ha una forma di purezza.

Un anno prima di girare MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, avevo già impersonato un’attrice, ma negli anni ’80, nel film di Valeria Bruni-Tedeschi. La Madeleine degli anni ‘30 non è così lontana. In FOREVER YOUNG – LES AMANDIERS, recitare è un bisogno assoluto: è una questione di vita o di morte. Per Madeleine, interpretare la sua vita davanti ai giudici o sul palcoscenico di un teatro comporta lo stesso investimento totale.

Madeleine è una giovane attrice, che sogna ancora un po’ troppo i suoi ruoli, ma è pervasa di una forza che non è in grado di contenere. All’improvviso la vita prende il sopravvento. Essere un’attrice significa constatare che anche quando si recita, anche quando si è calati nella menzogna, la vita assume un ruolo centrale. Durante il suo processo, recita un testo che ha imparato a memoria, che finisce col sovrapporsi alle cose in cui crede veramente: «Sarebbe possibile, nel 1935, per una donna condurre la propria carriera e la propria vita senza costrizioni, in piena libertà e in piena uguaglianza?» Madeleine è un’opportunista e vuole far parlare di sé, ma comprende che al tempo stesso può contribuire a modificare la condizione femminile. All’inizio con una certa innocenza, poi con convinzione, diventa una portavoce moderna nel contesto di una società patriarcale, nella quale le donne non hanno né il diritto di votare, né la possibilità di detenere un libretto degli assegni. Per le donne degli anni ’30 la scelta era tra essere la sposa legittima o essere l’amante nascosta. Madeleine e Pauline cercano di sfuggire a questa condizione. Per loro, ogni mezzo è lecito a condizione che permetta di fare acquisire maggiore autonomia alle donne. Combattono come possono con le armi che hanno a disposizione, istintivamente, manipolando, ma senza cinismo o cattiveria. Potrebbero sembrare antipatiche. Eppure, stiamo sempre dalla loro parte. Perché difendono una causa, la loro causa, quella delle donne.

Nel suo adattamento, François ha mantenuto le sorprendenti risonanze della pièce originale con la nostra epoca. Ne ha ricavato un film profondamente femminista. Leggendo la sceneggiatura, sono rimasta toccata dal legame di sorellanza tra Madeleine e Pauline. Forte, indistruttibile. Vogliono farcela… insieme! Rimangono sempre solidali. E tendono la mano a Odette Chaumette che rappresenta una minaccia e che potrebbero allontanare, ma alla quale offrono un’occasione di rinascita. Non c’è alcuna gelosia tra loro. La sola cosa che conta è la loro indipendenza.

Era necessario trovare il giusto ritmo e l’equilibrio con tutto il cast. Poiché si tratta di un film sulla recitazione, sulla vita e sul mestiere dell’attore, anche noi continuavamo a recitare ed è stata una vera gioia. Mi sono sentita costantemente stimolata ed è stato un sogno lavorare con tutti gli attori con cui François aveva già girato e con i quali ha una grande complicità: Isabelle Huppert, André Dussollier, Fabrice Luchini, Michel Fau… Interpretare la modernità in una commedia ambientata negli anni ’30 è stata una sfida e un piacere infinito.

REBECCA MARDER – Pauline Mauléon

Sono entrata alla Comédie Française a 20 anni e vi ho trascorso sette anni. Il teatro era la mia vita. Quando, dopo aver passato l’audizione per MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, ho scoperto una sceneggiatura in cui il teatro è protagonista, con il suo eloquio sostenuto, le battute tese e argute e temi di grande attualità, mi sono ritrovata in un universo familiare che ha assunto una dimensione nuova grazie al cinema. Come in teatro, abbiamo provato a lungo, in alcuni casi anche sul set. I costumi hanno assunto la forma dei nostri corpi. Ogni dettaglio è stato studiato e preparato in anticipo in modo tale che una volta sul set, con la fiducia e la sicurezza che avevamo acquisito, ci siamo lasciati trasportare dalla potenza della recitazione.

Leggendo la sceneggiatura ho riso di gusto e sul set si respirava un’aria di grande eccitazione, eravamo perennemente in movimento. Le riprese si sono svolte molto in fretta e ho avuto l’impressione di non smettere mai del tutto di recitare, in una modalità piuttosto simile alla continuità di tensione drammatica che un attore prova sul palcoscenico durante una rappresentazione. E avevo anche l’impressione di ritrovare lo spirito di coesione di una compagnia teatrale. I grandi attori affermati e noi, ancora acerbe, siamo stati messi su uno stesso piano di uguaglianza. Recitare al loro fianco ci ha incantate. Come bambine che giocano dimenticando tutto il resto. C’era una sorta di esultanza nel sentire che eravamo tutti molto felici di divertirci insieme con il testo e che dividevamo lo stesso piacere con i tecnici nel desiderio di dare forma alla commedia.

All’inizio il mio personaggio è una buona amica di Madeleine: è la sua roccia, la sua confidente. Appare più forte, ma dietro alla sua personalità assertiva scopriamo che è fragile, in particolare nelle questioni di cuore. Tuttavia, nei confronti di Madeleine, non prova alcuna gelosia. È molto aperta e disponibile, verso Madeleine, verso Odette Chaumette, verso il giovane giornalista.

Madeleine e Pauline formano una vera coppia di amiche. Mi sono immaginata che Pauline provasse un amore un po’ fusionale nei confronti di Madeleine, a metà tra il turbamento amoroso e l’ammirazione. Il film vi allude, ma non c’è niente di esplicito e questo rende il personaggio di Pauline potente e attraente. Sentiamo il suo turbamento e ciascuno è libero di interpretarlo come vuole.

A prima vista, viene naturale mettere in antitesi Pauline e Madeleine, «la bionda» e «la bruna». Da un lato, l’attrice con la testa tra le nuvole e, dall’altro, l’avvocata con il cervello. Ma è il loro incontro e poi la loro complicità a dare loro forza. È una coppia indissolubile grazie alla solidarietà che le lega. Sono molto furbe, ma sono soprattutto alleate. Hanno il coraggio di dire quello che pensano. Una ha osato diventare attrice, l’altra avvocato. Corrono dei rischi e scommettono il loro futuro di donne. La loro stessa relazione racconta in sé la condizione delle donne, la pressione che subiscono e la rivoluzione che stanno avviando, senza riproporre il cliché che le vorrebbe sbranarsi reciprocamente.

Per me la fine del film è un ammiccamento ironico e un omaggio a capolavori come EVA CONTRO EVA di Mankiewicz, in cui le attrici sono in un rapporto di rivalità che le spinge ad accapigliarsi. In MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO c’è al contrario una reale trasmissione. Quando Pauline osserva Madeleine e Odette trionfare in palcoscenico, si rende conto che tutto è stato possibile solo grazie all’aiuto reciproco che si sono date. E guarda con le lacrime agli occhi questo sberleffo ai pregiudizi.

MANU DACOSSE – Direttore della fotografia

Le prime domande che François e io ci siamo posti sono state: utilizziamo la luce naturale o no? Facciamo un film in bianco e nero o a colori? Poi mi ha mostrato i film di quell’epoca che ama e di cui voleva ritrovare lo spirito, senza ricorrere alla citazione diretta o al pastiche. E sono i film di Lubitsch (PARTITA A QUATTRO, MANCIA COMPETENTE, L’OTTAVA MOGLIE DI BARBABLÙ…) e di Sacha Guitry (QUADRILLE, BONNE CHANCE!…). La difficoltà era restare in una fotografia «realistica», credibile per il periodo, senza cercare di riprodurre quello che vedevamo in quei film degli anni ’30.

Oggi i materiali e i supporti filmici sono cambiati rispetto ad allora. Il digitale in particolare ha modificato il modo di fotografare. Ad eccezione delle scene di flash-back in bianco e nero, girate in pellicola 16 mm e in un formato 1.33, che ho sovra-illuminato per ricreare l’aspetto visivo dei film muti, ho cercato di far provenire la luce dall’interno dell’immagine. È stato un grande piacere ricostruire le atmosfere art déco. Era essenziale evitare ogni tentazione nostalgica o cinefila per mettere in risalto gli elementi strutturali del film: dai volti degli attori agli ambienti, dai costumi al linguaggio. Era necessario «vederli», non lasciarli nell’oscurità, dunque li ho inondati di luce per dare loro il giusto rilievo.

Ho a lungo parlato con Jean Rabasse, lo scenografo, che è estremamente attento alla precisione dei dettagli, e con Pascaline Chavanne, la consueta costumista di François. Prima delle riprese hanno messo insieme un corposo dossier con precisi schemi visivi. Sono persone brillanti, con gusti eccellenti, che amano condividere e lavorare in squadra e ho voluto adattare il mio lavoro alle loro scelte. Quando Madeleine entra in un ambiente sobrio indossando un abito sontuoso, è quell’abito che io cerco di esaltare con la luce. Quando nel film appare Odette Chaumette, era necessario sublimare il suo aspetto da star attraverso la luce, mettendo in risalto il tessuto dell’abito, la sua acconciatura, le sue espressioni da attrice.

L’aspetto visivo del film ha preso forma nel corso di una serie di riunioni e di sopralluoghi con François e tutti i capi dipartimento. La scena più difficile per me è stata quella del processo. François ha voluto che rivedessimo quella girata da Sacha Guitry nel film HO UCCISO MIA MOGLIE e soprattutto quella di Henri-Georges Clouzot in LA VERITÀ per il montaggio e il modo in cui mostra e dà vita al pubblico all’interno delle inquadrature. E questo ci riporta al teatro. È stata una vera sfida considerando il numero delle comparse, le diverse angolazioni e l’utilizzo di due macchine da presa in modo tale che gli attori non venissero interrotti, una sfida durata tre giorni.

È un film che ha una dimensione che non avevo mai conosciuto nelle mie precedenti collaborazioni con François, in DOPPIO AMORE (un film di genere), GRAZIE A DIO (un approccio naturalista) e persino PETER VON KANT (stilizzazione in technicolor), dove gli ambienti negli spazi chiusi beneficiavano di grandi vetrate e dove potevo dipendere dalle variazioni della luce esterna. In MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO il lavoro sulla luce in studio, con tutti gli elementi annessi, è l’equivalente di una creazione completa: bisogna prevedere e creare ogni cosa dal nulla. Il teatro di posa diventa sinonimo di pagina bianca.

JEAN RABASSE – Scenografo

È il mio primo film con François Ozon e fondere il suo tono allegro e solare del progetto con il lato freddo e duro dell’art déco è stato davvero entusiasmante. Abbiamo trascorso molto tempo insieme per fare i sopralluoghi e questo ci ha portati a scoprire luoghi magnifici mai visti prima sul grande schermo. Abbiamo riammobiliato numerosi ambienti per allontanarci dalle onnipresenti boiseries che vengono di consueto utilizzate per dare la sensazione di un arredo anni ’30.

Per il secondo studio del giudice, siamo andati nel Municipio di Charleroi, in Belgio, un posto incredibile mai filmato prima, realizzato in stile art déco più duro e più carico rispetto a quanto si riesca a trovare in Francia. Ha un sapore quasi americano, che corrisponde bene allo spirito delle commedie sofisticate dell’età dell’oro di Hollywood, a cui François voleva ispirarsi.

Nell’ufficio della fabbrica Bonnard, c’è una grande finestra panoramica dalla quale il padrone può osservare i suoi operai al lavoro. È un contesto autentico molto giusto e preciso che tuttavia è il risultato di un intreccio di influenze di tre/quattro architetti diversi e di una scena di TEMPI MODERNI di Chaplin. Giochiamo con i codici, creando un po’ una sensazione di sfasamento. Siamo negli anni ’30, ma ci sono anche elementi più moderni, più colorati e grafici, quasi pop. Siamo in una realtà che conduce verso un’altra.

Per estensione abbiamo pensato al capolavoro di Blake Edwards VICTOR VICTORIA, remake del film tedesco del 1934, che si svolge in quello stesso contesto e alla sua grande via parigina interamente ricostruita in un teatro di posa. Non potevamo permettercelo finanziariamente, dunque abbiamo ricostruito la Rue Jacob a Bordeaux, dove abbiamo trovato la patina delle vecchie strade di Parigi e dove ho potuto costruire elementi di studio in un ambiente naturale. La combinazione di contesto reale e di fabbricazione (abbiamo per esempio rifatto le facciate per la strada) e le possibilità offerte dal digitale, ci hanno ricondotti allo spirito che sta alla base del progetto: una teatralità con un piccolo scarto laterale. Pascaline Chavanne e io avevamo la stessa paura di ritrovarci scene e costumi tono su tono. Quindi abbiamo lavorato insieme sulle cartelle dei colori, in uno scambio costante. E ci siamo anche sempre confrontati con Manu Dacosse per ottenere, grazie alle luci, le tonalità pastello che voleva François e che potevano sorprendere, considerando che viene naturale associare sempre il suo universo filmico a tinte vivaci e sature.

Per la scena in cui Madeleine recita in teatro, abbiamo scelto un ambiente nella tradizione avanguardista, alla Cocteau, con un dichiarato intento pittorico. Anche in altri momenti del film si intravede il riferimento al teatro, ma è più leggero. Con le dovute eccezioni, la scenografia non ha motivo di essere invisibile. La sua ragione di essere non è solo quella di riempire uno spazio: contribuisce al racconto filmico ed è un elemento espressivo molto potente. In MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, ogni ambiente ha un suo stile ed è associato a un colore che diventa la sua identità, riflettendo i sentimenti e l’evoluzione dei personaggi. Per esempio, nell’appartamento che apre il film, la gamma dei colori è cupa e plumbea. È il periodo «di povertà» delle due eroine, in contrasto con la loro ascesa sociale e la luminosità del bianco-crema del loro hôtel particulier di Boulogne. L’arredatore aveva completato l’ambiente inserendo oggetti d’ebano, tessuti chiari e verderame che rafforzano la tonalità. Per me, MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO è un film di gioia e piacere i cui colori dominanti sono champagne e verde smeraldo.

PASCALINE CHAVANNE – Costumista

Per un film come MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, il mio lavoro con François Ozon (è il nostro 20° film insieme) non avviene in un museo. Non cerchiamo di riprodurre con esattezza un’epoca. I corpi sono cambiati e ci adattiamo al fisico degli attori di oggi. Io lavoro sulle loro figure, i loro incarnati, le loro espressioni e iniziano a calarsi nei personaggi sin dalle prove costumi. Sono i costumi a guidarli, a volte persino a traportarli.

Per prima cosa ho messo insieme un dossier iconografico e sulla base di quelle immagini François e io abbiamo stabilito la linea da seguire, dando all’adattamento un tocco hollywoodiano financo nel realismo dell’inizio quando le due eroine vivono in povertà.

Per vestire l’eccessiva Odette Chaumette (Isabelle Huppert), dovevamo fare in modo che le sue mise riflettessero la stessa teatralità del suo comportamento. Siamo partiti da Sarah Bernhardt, quindi il suo abbigliamento è anacronistico dal punto di vista dell’epoca poiché indossa orpelli del teatro del. 1900 mentre il film si svolge nel 1935. Ma quel modo di vestire corrisponde al profilo di Odette Chaumette, superstite del cinema muto, dotata di uno stile teatrale magniloquente, che mette costantemente in scena se stessa. I suoi abiti raccontano tutto questo. Odette veste di un verde tipico di inizio secolo, di bordeaux, di nero… Io lavoro molto con i colori complementari e questi si addicono a meraviglia a Isabelle Huppert, al suo incarnato di rossa.

Sul fronte opposto, le due eroine si definiscono nelle tinte pastello. Volevamo creare un vero contrasto tra Odette, una leggenda che sfoggia colori arditi, e le due giovani che muovono i loro primi passi nella vita. Sono completamente calate nella loro epoca, ciascuna con un temperamento differente. Da un lato c’è la modernità di Pauline (Rebecca Marder), che ha una sobrietà maschile, con indumenti piuttosto abbottonati. Dall’altro, c’è la femminilità quasi provocante, trionfante di Madeleine (Nadia Terezskiewicz) con abiti attillati, ampi décolletés e generose sottolineature di fianchi e petto…

Quando Madeleine recita sul palco «Il calvario di Suzette», il suo taglio di capelli, il suo vestito nero attillato e la sua collana rimandano alla leggendaria silhouette di Louise Brooks nei panni di Lulù in IL VASO DI PANDORA di Pabst. Poi, durante il cocktail che segue lo spettacolo, indossa un abito bianco che lascia nuda la schiena. Anche se la intravediamo solo per un istante, era importante che quell’abito emanasse un erotismo ribelle. Un costume deve spontaneamente far sentire a livello fisico quello che avviene nel cuore delle scene, nel fulcro dei conflitti tra i personaggi.

La percezione di un costume maschile passa attraverso una serie di sottigliezze: la scelta delle cravatte, dei tessuti, dei foulard, degli orologi, delle scarpe. Ogni uomo doveva avere una sua precisa identità visiva e ci siamo permessi di andare particolarmente a fondo nella ricerca dei dettagli, dal momento che si tratta di una commedia sociale e ogni personaggio deve illustrare questo aspetto.

Palmarède (Dany Boon), nouveau riche di Marsiglia, all’inizio sfoggia un costume color crema con delle righe, un po’ da magnaccia: è un uomo audace e intuiamo la sua determinazione e la sua intraprendenza. In Rabusset (Fabrice Luchini), bisognava percepire la sua ascesa sociale. All’inizio è un piccolo funzionario modesto. Dopo il processo sale di grado e il suo costume diventa ben confezionato: un tre pezzi fatto su misura. Bonnard (André Dussollier) rappresenta la tradizione pura, il buon gusto, il classicismo borghese. Per Raton, il giovane reporter (Félix Lefebvre), abbiamo costruito un profilo alla Tintin, mentre per il figlio Bonnard (Édouard Sulpice), François ha voluto una silhouette che richiamasse quelle di Gary Cooper o James Stewart.

I costumi fanno sempre parte integrante dei film di François, della loro essenza visiva. Come per OTTO DONNE E UN MISTERO o POTICHE – LA BELLA STATUINA, due film molto stilizzati, lo spirito dei costumi di MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO è costituito da un glamour à la Lubitsch, dietro al quale fa capolino il realismo acido di Chabrol in VIOLETTE NOZIÈRE.

 

LAURE GARDETTE – Montatrice

In questo film François voleva far emergere la sottigliezza del testo e delle situazioni, mentre nella prima commedia sulla quale abbiamo lavorato insieme, POTICHE – LA BELLA STATUINA, avevamo provato un grande piacere nell’accentuare gli effetti comici della pièce. Ogni volta che ero tentata di scegliere le riprese che suscitano spontaneamente le risate, come le mimiche facciali degli attori, le appoggiature sui tempi comici, le intonazioni sconvenienti, tutto quello che amiamo nelle commedie popolari, lui preferiva mantenere la sobrietà. In È ANDATO TUTTO BENE, cercava di contenere costantemente l’emozione per dare un senso alle lacrime finali. In MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, voleva trattenere la straripante comicità per far sentire con maggiore intensità la vera posta in gioco.

Quando si ha a che fare con un testo teatrale, può sembrare necessario intensificare il montaggio, per accelerare il ritmo ed essere moderni. Invece François ama le inquadrature lunghe. Quello che vuole soprattutto è che lo spettatore mantenga un’empatia nei confronti dei personaggi. Il pubblico deve avere il tempo di guardarli, di provare quello che stanno vivendo. Durante il montaggio, François si interroga sempre su quello che racconta l’immagine. Vuole che ci sia sempre una ragione drammaturgica e una ragione emotiva. Ha una visione molto chiara della direzione che deve prendere un suo film. Qui ha voluto rispettare la teatralità, ha voluto che non dimenticassimo mai che siamo in un gioco di artificio e che le peripezie corrispondono ai movimenti dell’epoca. È gustosa questa presa di coscienza che il pubblico fa parte del gioco. E di conseguenza il montaggio agisce come procedimento rivelatore, svelando e dando valore alla regia, mantenendo l’essenza degli elementi comici senza soffocare quello che suggerisce il testo che tratta di tematiche ancora scottanti oggigiorno. Madeleine e Pauline vivono ante-litteram una situazione alla MeToo! Il montaggio ha fatto propria la volontà di scegliere con molta delicatezza le riprese: prima della comicità, abbiamo cercato di fare emergere la verità dei personaggi.

Nella scena della fabbrica, Dany Boon aveva improvvisato un piccolo gesto comico, lisciandosi i baffi con soddisfazione. François aveva preferito omettere quei pochi secondi affinché lo spettatore non perdesse di vista quello che avveniva di importante nella scena. Poi il montaggio si è fatto più serrato e il gesto di Dany Boon è stato reinserito. E a quel punto ci siamo resi conto che non distoglieva l’attenzione, ma al contrario rafforzava la tensione tra i personaggi e apportava una sfumatura psicologica che arricchiva la scena. Era necessario trovare il giusto dosaggio.

Il contesto del film è particolare, con i dialoghi della pièce caratterizzati dagli anni ‘30 e i diversi stili di recitazione di attori che provengono da universi differenti: Rebecca Marder ha una grande esperienza di teatro alla Comédie Française, come Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, André Dussollier, Michel Fau, Franck de Lapersonne o Édouard Sulpice. Entrano immediatamente in sintonia con la stilizzazione che cerca François. Nadia Terszkiewicz ha un approccio alla recitazione più viscerale; Olivier Broche va verso il burlesco, come Dany Boon che sorprende per la sua grande sensibilità.

È stato molto bello equilibrare tutti questi contrasti. Il montaggio gioca con questi toni e con il piacere di ascoltare le voci che si modulano secondo le loro personalità. Quando appaiono Évelyne Buyle, Myriam Boyer, Daniel Prevost, si impone un eloquio popolare e stravagante. Il montaggio cerca di farli coesistere tutti, stemperandone i vari effetti. Tagliare all’interno di un’immagine equivale ad armonizzare. È fondamentale sentire quelle note e che risuonino. Con questa sceneggiatura, gli attori hanno potuto lasciarsi andare ed era quello che cercava François. Non c’è nulla di naturalista, ma tutto deve sembrare naturale. Cerca in ciascuno di loro la sua verità.

 

 

PHILIPPE ROMBI – Musicista

Leggendo la sceneggiatura di MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO, «ho sentito» cose molto diverse, con tonalità improntate all’allegria, alla nostalgia e alla suspense. Poi François mi ha trasmesso la documentazione messa insieme dallo scenografo e dalla costumista e ho visto tutti i suoi desideri trascritti in quei riferimenti visivi e in quelle fonti d’ispirazione. François e io siamo innamorati dei temi musicali e ho immediatamente sentito che in MON CRIME ce n’erano parecchi. Dovevo innanzitutto trovare il tema principale, la chiave di tutta la storia. È come un compendio del film, il suo DNA. E c’è anche l’orchestrazione che per me è indissociabile dalla composizione e che dà un colore e un’atmosfera particolari.

Il rischio era di fare un pastiche rétro, cosa che a me e François non interessava. La singolarità del film, ambientato negli anni ’30, con numerosi punti di contatto con l’attualità contemporanea, mi permetteva di ampliare la mia gamma musicale. Peraltro, dal momento che la percezione sonora di oggi non è più quella di quegli anni, non avevo bisogno di sostenere sistematicamente l’immagine con un’orchestra sinfonica al gran completo e ho preferito riservare i grandi effetti ad alcuni momenti chiave.

Il tema principale comporta un certo lirismo, con una melodia dal profumo nostalgico. A volte glamour o sentimentale, come nella scena sui tetti di Parigi, con un’orchestrazione essenziale (strumenti a corda, qualche legno, un violino solista, una tromba jazz e un pianoforte), a volte lirica e appassionata come nel finale per grande orchestra. Il secondo tema, in cui la formazione orchestrale si arricchisce di una sezione di ottoni jazz, accompagna l’indagine di polizia con un sapore da «film noir» che mescola suspense e mistero. Un terzo tema gioioso accompagna i momenti di esultanza, come quando le due ragazze sono spensierate e vanno al cinema per esempio. C’è anche un tema ansimante, allegro, che scandisce in modo sincopato le scene del processo o gli inserti delle rotative, come un rullo compressore che annuncia gli eventi a venire. Poi un altro che sottolinea il mistero che avvolge la scena del crimine e collega Madeleine, che esce dalla villa di Montferrand all’inizio del film, a Odette che vi entra alla fine. E non bisogna dimenticare l’umorismo di certe situazioni teatrali o persino da vaudeville, che ho accompagnato con motivi dal tono malizioso, come quello del «flauto meraviglioso».

In seguito si è trattato di fare un lavoro di grande precisione: compongo sulle immagini, con la tonalità dei dialoghi. C’è la mia musica e c’è la musica degli attori. In MON CRIME – LA COLPEVOLE SONO IO Huppert e Luchini suggeriscono inevitabilmente un’altra melodia rispetto a Deneuve e Depardieu in POTICHE – LA BELLA STATUINA. Le mie note si adattano ai loro ritmi, ai loro silenzi. Costituiscono, al pari dei movimenti della macchina da presa e del montaggio, una partitura parallela che guiderà la mia. La musica è presente per far sentire quello che avviene al di là delle parole e delle immagini. Si immischia e orienta il punto di vista di un personaggio o di un altro.

 

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa BiM Distribuzione e Giampaglia Locurcio

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