15 Gennaio 2016

Archeologi fanno nuove scoperte sull’antica capitale di Cipro

Gli scavi di quest'anno. Foto di Robert Słaboński
Gli scavi di quest’anno. Foto di Robert Słaboński
L’Agorà ellenistica e romana e l’infrastruttura economica dell’antica capitale di Cipro – Pafo, costituiscono gli oggetti di un esaustivo progetto di ricerca degli scienziati polacchi. I ricercatori sono pure sulle tracce di un antico porto perduto.
“Quest’anno, sono state coinvolte persone per un numero record di 70, a causa dell’arsenale di metodi di ricerca e della scala massiccia delle nostre attività” – ha spiegato la prof.ssa Ewdoksia Papuci-Władyka, a capo del Dipartimento di Archeologia Classica all’Istituto di Archeologia dell’Università Jagellonica, e guida del Paphos Agora Project.
Gli scavi si sono concentrati all’interno dell’agorà antica, che soleva essere la piazza centrale della città. Gli archeologi hanno svelato ulteriori parti dei resti degli edifici scoperti l’anno scorso, interpretati come un tempio e un edificio adibito a magazzino. Entrambi erano probabilmente costruiti nel tardo quarto secolo a. C. Nel caso del primo, finora hanno scoperto un muro la cui lunghezza eccede i 16 metri – l’edificio è quindi più grande di quanto si pensasse in precedenza.
Pulizia del capitello corinzio scoperto. Foto di Robert Słaboński
Pulizia del capitello corinzio scoperto. Foto di Robert Słaboński

“Nella parte meridionale dell’Agorà, a sua volta, ci siamo imbattuti in un bel capitello corinzio di una colonna in marmo, che era probabilmente all’entrata della piazza” – ha aggiunto la prof.ssa Papuci-Władyka. La scoperta è stata effettuata negli scavi studiati l’anno scorso. Ad ogni modo, nello scavo archeologico aperto nuovamente quest’anno, e collocato all’angolo dell’Agorà, oltre agli elementi architettonici è stato possibile ritrovare anche molti altri frammenti di ceramiche, e persino un’anfora per il vino preservata nella sua interezza. “Abbiamo anche scoperto molti altri reperti, ma i più importanti sono i resti di finimenti per cavallo in bronzo. Questo genere di ritrovamento è molto raro a Cipro” – ha affermato il capo della spedizione.
Il progetto di ricerca dell’antica capitale di Cipro è entrato in una nuova fase con l’ottenimento del finanziamento NCN Maestro, che include non solo ulteriori lavori nell’agorà, ma pure oltre la stessa. Gli scienziati programmano di rilevare l’infrastruttura economica dell’antica città, che è collocata all’interno del Parco Archeologico; Nea Paphos è una delle principali attrazioni di Cipro. A questo scopo, utilizzerano diversi metodi non invasivi. La sfida è un’area molto ampia di ricerca – circa 75 ettari, che è grosso modo il 70 per cento dell’area dell’antica città.
“Il nostro scopo era quello di comprendere come lo spazio pubblico dell’agorà funzionasse. Guarderemo anche al sistema economico di Pafo nel periodo ellenistico e romano, nel più ampio contesto del bacino del Mediterraneo Orientale” – ha spiegato la prof.ssa Papuci-Władyka.
Per raggiungere l’obiettivo, oltre agli archeologi, architetti, addetti ai rilevamenti, geofisici, geografi e conservatori sono stati coinvolti nel progetto. La direttrice della spedizione in particolare elogia e si aspetta buoni risultati dall’applicazione dei metodi geofisici, utilizzati da specialisti invitati dall’Università di Amburgo. Utilizzando un magnetometro, hanno collocato un’interessante struttura adiacente al presunto tempo scavato. L’anno prossimo, oltre al magnetometro, gli scienziati utilizzeranno un radar a penetrazione del suolo – tutto su una scala più ampia in confronto a questa stagione preliminare. I risultati saranno verificati con piccoli scavi archeologici.
Tre altri gruppi di specialisti hanno anche lavorato al sito in questa stagione. Gli addetti ai rilevamenti hanno preparato una rete di controllo geodetico esteso per i rilevamenti non invasivi sul piano geofisico, coprendo l’intero Parco Archeologico. Inoltre hanno assistito gli archeologi nella documentazione delle scoperte durante gli scavi. Un gruppo di specialisti dell’AGH di Cracovia ha effettuato scansioni 3D degli strati e dei reperti scavati quest’anno, utilizzando Faro-Focus. Hanno anche testato la possibilità di utilizzare lo scanner per documentare le varie fasi di esplorazione degli strati archeologici. I ricercatori hanno confrontato questo metodo di documentazione con la fotogrammetria a breve raggio effettuata con una videocamera (NdT: camera in Inglese) sospesa su un drone.
Scansione di uno degli scavi. Foto di Robert Słaboński
Scansione di uno degli scavi. Foto di Robert Słaboński

“In conclusione decidemmo che la fotogrammetria ci permette di ottenere un’immagine sufficientemente buona in un tempo significativamente inferiore a confronto con la scansione” – ha riferito la prof.ssa Papuci-Władyka.
Un problema insoluto al momento di utilizzare la fotogrammetria a breve raggio rimane… la lotta impari col sole. Sfortunatamente, nell’area del Mediterraneo il sole è eccezionalmente forte durante il giorno – la luce condiziona la documentazione dei ritrovamenti – ciò è sfavorevole per gli strati archeologici e determina che il colore dello strato non sia documentato accuratamente. E differenze di colore tra strati permettono agli archeologici di comprendere quali processi sono avvenuti nell’area di studio – quali strutture esistevano lì, cosa avveniva al loro interno e come furono distrutte.
“Risolvere questo problema sarà uno dei principali obiettivi per l’anno prossimo” – ha affermato l’archeologa.
Moderne tecnologie sono utilizzate a Pafo per specifici scopi scientifici, e non per creare “belle immagini”. Gli specialisti dell’Università Jagellonica e l’Università della Tecnologia di Varsavia hanno elaborato le immagini prese dal drone per preparare un modello di terreno digitale (Digital Terrain Model – DTM), un modello tridimensionale dell’intera area del Parco. Le osservazioni più interessanti sono state effettuate nella parte nord-occidentale della città.
“Vogliamo testare l’ipotesi dell’esistenza di un altro porto a Pafo. Il porto principale era quello collocato nella parte meridionale della città. L’analisi preliminare del materiale acquisito ha rivelato l’esistenza di contorni di antichi edifici in prossimità della costa – potrebbe trattarsi di moli o magazzini del porto perduto” – così ha speculato la scienziata.
La ricerca geoarcheologica dovrebbe anche contribuire a chiarire la portata della possibile esistenza di un secondo porto e molte altre questioni associate ai cambiamenti climatici a Pafo. È stata condotta da un altro gruppo di specialisti, questa volta dall’Università di Kielce. L’analisi mostrò, tra le altre cose, che i sedimenti portati dai due fiumi (Koskinos ed Ezousas), le valli dei quali hanno uno sbocco nell’area, coprirono di fango l’area e causarono cambiamenti nella linea di costa.
“Questa potrebbe essere la ragione per cui la precedente ricerca subacquea portata avanti alla ricerca di tracce del porto non ha restituito risultati. Vogliamo verificare questo e abbiamo già i primi risultati” – ha concluso la prof.ssa Papuci-Władyka.
Ambasciatrice Barbara Tuge-Erecińska (seconda da sinistra) visita il sito. La prof.ssa E. Papuci-Władyka (prima da destra) parla. Foto di Robert Słaboński
Ambasciatrice Barbara Tuge-Erecińska (seconda da sinistra) visita il sito. La prof.ssa E. Papuci-Władyka (prima da destra) parla. Foto di Robert Słaboński

Le ricerche di quest’anno sono state condotte in Agosto e Settembre. Il progetto è sotto il patrocinio dell’Ambasciata polacca a Nicosia.
Traduzione da PAP – Science & Scholarship in Poland. PAP non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.

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