La Carelia è una regione della Russia nord-occidentale al confine con la Finlandia. Sulla mappa di questo territorio, tra villaggi, boschi e fiumi, è comparso dal 1997 un nuovo toponimo. Segnala una radura isolata. È Sandormoch: uno dei “luoghi della memoria” del Novecento europeo. La definizione è dello storico Pierre Nora: ognuno di questi luoghi è diventato, in seguito a un fatto storico, “un elemento simbolico di una qualche comunità”. Il luogo della memoria, scrive Nora, “Rende visibile ciò che non lo è: la storia”.

Da poche settimane è stata pubblicata la prima monografia in traduzione italiana su questo luogo della memoria: Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria (a cura di Andrea Gullotta, trad.it. di Giulia De Florio, Stilo Editrice, 2022, pp. 194). L’autrice è Irina Flige, storica e attivista di Memorial, la Ong russa premiata con il Nobel per la pace 2022, insieme al dissidente bielorusso Ales’ Bjaljacki e al Centro per le libertà civili ucraino. Ed è stata proprio Flige, insieme ad altri ricercatori della galassia di Memorial, a rintracciare quel luogo che sembrava perduto. La radura in cui è stata eseguita la condanna a morte di oltre 6000 persone, vittime della repressione sovietica alla fine degli anni Trenta del Novecento.

Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria
La copertina del libro “Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria” di Irina Flige, pubblicato da Stilo Editrice (2022) nella collana Pagine di Russia

Un luogo della memoria non è rappresentato soltanto dal fatto storico che vi è avvenuto. Si tratta di un fenomeno socioculturale più ampio, che riguarda il modo in cui viene conservata la memoria di quell’evento, fino ai giorni nostri. E che non si limita neppure al luogo in sé, ma coinvolge donne e uomini, immagini, oggetti, monumenti. Di fronte a questo compito, Flige ha voluto assegnare al suo libro un doppio livello di lettura. Lo studio e le fonti utilizzate sono quelle canoniche della ricerca storica, ma la cornice del libro adotta la metafora drammaturgica. Il risultato, scrive l’autrice, è

un testo teatrale in scena da oltre ottant’anni. […] Nel quinto atto, ultimo nel libro ma non nella vita reale, le circostanze cambiano: il dramma di Sandormoch non finisce, non c’è epilogo, anzi. Forse siamo soltanto al preludio. In ogni caso, lo spettacolo continua (p. 26).

I primi due atti sono quelli in cui Sandormoch, come toponimo, ancora non esisteva. Era soltanto una porzione di territorio in cui abitanti della Carelia, prigionieri politici e condannati ai lavori forzati venivano condannati a morte. L’ordine di far partire le esecuzioni era arrivato nel 1937 dalla polizia segreta russa, l’Nkvd, guidata da Nikolaj Ežov. Ma le sentenze e il destino di quelle migliaia di persone erano un segreto di stato, e sarebbe stato così per alcuni decenni:

Come per gli abitanti della Carelia, i cui cari erano stati fucilati negli anni del Grande terrore, così anche per i detenuti delle Solovki svaniti nel nulla la notizia dell’arresto e della scomparsa era rimasta per decenni un fatto strettamente privato (p. 40).

Un monumento in pietra calcarea nella radura di Sandormoch. La scritta recita: “Uomini, non uccidetevi l’un l’altro”. Foto di Михаил Семёнов, CC BY-SA 3.0

I parenti delle vittime che cercavano informazioni sui loro cari trovavano davanti a sé il muro di gomma delle autorità governative. Soltanto negli anni Ottanta, con la perestrojka, fu concesso il diritto di piangere i propri morti. Ma mancava ancora il luogo in cui commemorarli, quello delle loro tombe, il punto esatto in cui era avvenuta l’esecuzione.

È nel terzo atto del libro di Flige che le ricerche conducono finalmente alla verità su quelle sepolture di massa. Dopo anni di studio su mappe, documenti, testimonianze da parte di un team di attivisti di Memorial, tra cui Veniamin Iofe, Ivan Čuchin e Jurij Dmitriev, quest’ultimo scopre nel 1997 la prima traccia di una fossa comune nei dintorni di Medvež’egorsk, in Carelia. È lì che sorgerà il cimitero commemorativo di Sandormoch e dove verrà celebrata la memoria di quello sterminio. Al gruppo di ricerca apparteneva anche la stessa autrice, Irina Flige, che così ricorda l’emozione dei mesi e anni trascorsi a raccogliere il materiale documentario che li avrebbe portati alla scoperta di quel luogo della memoria:

stavamo riportando alla luce le storie e le circostanze in cui erano morte persone concrete, non vittime astratte del Terrore. […] Ne conoscevamo la faccia, avevamo letto le loro lettere, ne avevamo scoperto le debolezze e le abitudini, sapevamo come vivevano, in loro assenza, i figli, le vedove, le sorelle e i fratelli (p. 80)

A partire dal 1997, le Giornate della memoria a Sandormoch vedranno la partecipazione di comunità nazionali, etniche e religiose diverse. Unite, però, dal comune destino di morte subìto da persone che a quelle comunità appartenevano. Nello stesso luogo, sono stati installati monumenti in memoria di vittime cattoliche, musulmane ed ebraiche; così come per vittime ucraine, polacche, estoni, finlandesi, moldave, azere, georgiane, ecc. Come sottolinea Flige,

Per i visitatori di Sandormoch e per i partecipanti delle Giornate della memoria i monumenti etnoreligiosi non contengono germi di conflittualità, ma al contrario, attraverso rappresentazioni e tradizioni proprie di ciascuna cultura nazionale e religiosa, dimostrano collegialmente che la memoria del terrore è universale. (p. 136)

Un’immagine della radura di Sandormoch. Foto di Ninara, CC BY 2.0

Per sedici anni le Giornate della memoria a Sandormoch si sono svolte con il consenso delle autorità. Quel complesso memoriale era ormai divenuto destinazione di viaggi d’istruzione scolastici e meta di viaggiatori interessati a scoprire un luogo simbolo della repressione sovietica. Ma dal 2014, con l’annessione della Crimea e il conflitto in Donbass, Sandormoch ha smesso di essere il punto di riferimento di una memoria condivisa. Dal 2016 le autorità locali disertano le commemorazioni annuali. Jurij Dmitriev, che aveva scoperto il sito di Sandormoch, è finito in carcere. Alla fine del 2021 la stessa Memorial viene costretta alla liquidazione forzata e le sue sedi sono oggetto di raid o confiscate. Il curatore dell’edizione italiana del libro, Andrea Gullotta, presidente di Memorial Italia, descrive bene nel suo testo introduttivo la genesi e lo sviluppo di questa “persecuzione della memoria”. Del resto, come sottolinea Irina Flige,

“Oggi la memoria è ancora una volta un atto di resistenza” (p. 180).

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