The Fabelmans è amore verso il cinema, ma la sala non ripaga

In quella terrificante corsa alla standardizzazione di gusti, produzioni e strutture narrative, anche uno dei registi viventi più famoso al mondo viene del tutto travolto. The Fabelmans, diretto ed in parte scritto da Steven Spielberg, è ancora nelle sale, ma in settimane di proiezioni ha registrato incassi non sufficienti a coprire nemmeno la metà delle sole spese di produzione.

Produzione in cui lo stesso Spielberg è coinvolto, quindi in un certo senso anche lui ci rimette svariati milioni. Questo non significa certo che il prossimo mese andrà a vivere sotto ad un ponte, anzi l’essere lui stesso la sua casa di produzione (circa) slega il regista dall’impossibilità di produrre altri film dopo questo insuccesso.

Non è ancora detta l’ultima parola, per carità, magari i premi vinti causeranno un’ondata di incassi, ma superare i 40 milioni sarà un’impresa difficile. Certo l’uscita contemporanea ad Avatar – La via dell’acqua non ha aiutato il film a decollare, ma è per forza necessario uscire lontano dai blockbuster per poter incassare? O magari è il pubblico che ormai è sempre meno recettivo verso pellicole che escono da una certa comfort zone?

Quali che siano le cause, è strano pensare che Spielberg abbia un flop al botteghino, peraltro con uno dei suoi film più personali e il suo migliore degli ultimi dieci anni (numero scelto non a caso, nel 2012 fu distribuito il meraviglioso Lincoln). The Fabelmans è infatti un film fortemente autobiografico, dove Spielberg narra della sua infanzia e adolescenza tramite il protagonista Sam Fabelman. Famiglia ebrea americana, madre con un innato talento artistico, padre ingegnere estremamente intelligente, un bambino che sviluppa l’amore verso la macchina da presa, la pellicola, il concetto stesso di regia e di cinema, per estensione. Amore per il cinema che trasuda da ogni singolo fotogramma e che coinvolge ogni aspetto della settima arte.

Non è il solo limitarsi ad un feticismo vintage per la pellicola 8mm e le moviole per il montaggio, elemento presente e delizioso in ogni caso, ma regalare allo spettatore una storia che parla di cinema usando il cinema.

THE FABELMANS
Da sinistra, Burt Fabelman (Paul Dano), Sammy Fabelman (Mateo Zoryan Francis-DeFord) e Mitzi Fabelman (Michelle Williams)

Come delle scatole che racchiudono altre scatole, la storia familiare è l’involucro esterno del regalo. Non a caso è impacchettata a modo, romanzata al punto giusto, con personaggi sopra le righe che accentuano i messaggi che la pellicola racchiude. Ma la vera essenza di questa storia di crescita e maturazione dell’amore di un uomo verso una forma d’arte è più ampia e profonda di quanto sembri.

Più ampia perché Spielberg, dopo quasi cinquant’anni di attività nel campo, allarga la riflessione all’arte tutta, a cosa sia ed a che conseguenze porti il volerla perseguire come motivo della propria esistenza.

Ma l’ampiezza senza profondità non è che sterile piattume, quindi Sam Fabelman diventa un tramite attraverso cui la sostanza dell’opera di esplica tramite una forma superlativa. Per quanto Spielberg sia co-sceneggiatore, assieme al collaboratore storico Tony Kushner, The Fabelmans è un film di regia. Sia perché approfondisce comunque più quell’aspetto rispetto ad altri, ma soprattutto per la straordinaria consapevolezza nello stile registico. Le soluzioni registiche dei corti di Sam vengono sempre riprese e adottare dall’uomo dietro la macchina da presa, in un gioco metanarrativo figlio di un autore consapevole del mezzo e di come usarlo.

Questo è, come definizione e come spirito, un film d’autore. Non perché autobiografico, ma perché contiene ogni elemento dei temi e degli interessi di chi vi è dietro, in sintesi la poetica del regista. La fascinazione per il fantastico e di conseguenza per gli effetti speciali necessari a metterlo in scena; l’interesse verso la storia e la guerra (che ha portato Spielberg a realizzare film monumentali ma anche il terribile War Horse, ma si perdona); l’amore verso il mezzo tecnico della “cinepresa”, verso il montaggio – da non scordare che Spielberg ha curato il montaggio di Eyes Wide Shut dopo che Kubrik è venuto a mancare – e verso la direzione degli attori – che si trasla poi nella capaicità di capire le persone, come mostra la sezione scolastica.

Al contempo, The Fabelmans è e rimane la storia di una famiglia, dei suoi difetti e dei suoi problemi e quindi non vede la necessità di conoscere a fondo il regista per capirlo, semmai tale conoscenza ne è corollario. Nel suo complesso è quindi un’esperienza completa e appagante, con un ritmo perfetto, che si conclude proprio quando pensi di essere a metà della storia, proprio quando vuoi sapere sempre di più dei personaggi, quando pensi di non potertene separare e che l’esperienza che stai vivendo vorresti non finire mai. Anche in tal senso The Fabelmans è cinema nel senso ultimo del termine, è un’esperienza sensoriale da vivere nella sala che parla allo spettatore attraverso la magia del buio, della luce, del silenzio e di quell’evento che è la proiezione di un film.

The Fabelmans
La locandina del film

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Video e foto da 01Distribution.

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