THE PENITENT – A RATIONAL MAN, un film di Luca Barbareschi

con Luca Barbareschi – Catherine McCormack – Adam James e con Adrian Lester

sceneggiatura David Mamet

musiche Andrea Bonini

una produzione Èliseo entertainment Moving Emotions Production con RAI Cinema

prodotto da Luca Barbareschi

distribuzione 01 Distribution

prossimamente al cinema

The Penitent - A Rational Man, di Luca BarbareschiSinossi

New York. Uno psichiatra vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva.

La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.

Chi è dunque il mostro?

Il ragazzo?

Il medico?

La Stampa?

La Giustizia?

Chi può dirsi innocente?

Di nuovo insieme Luca Barbareschi e David Mamet con un film intenso e tagliente che ci ricorda due temi fondamentali estremamente attuali: l’influenza della stampa, la strumentalizzazione della legge, temi che si innestano sul terreno personale della spiritualità e dei rapporti familiari.

The Penitent è il primo film americano di Luca Barbareschi che torna alla regia con una drammaturgia potente, moderna, incandescente. Scritto dal drammaturgo David Mamet – Premio Pulitzer per Glengarry Glen Ross – il film è ispirato ad un caso di cronaca, il caso Tarasoff, nel quale uno psicanalista rimane vittima di accanimento giudiziario e della macchina del fango causata da una comunicazione pilotata.

Prodotto da Èliseo Entertainment Moving Emotions Production con RAI Cinema, il film vanta un cast internazionale: Catherine McCormack, Luca Barbareschi, Adam James, Adrian Lester.

Il dilemma Tarasoff – un caso di cronaca

Università di Berkeley in California, anno 1969.

Un giovane studente in cura presso uno psichiatra per una sofferenza psichica provocata da ossessioni e gelosia nei confronti di una giovane studentessa, Tatiana Tarasoff, diventa socialmente pericoloso e la uccide. I genitori di quest’ultima citano in giudizio lo psicoterapeuta per non aver avvisato del pericolo la figlia o la famiglia di lei.

Più che un caso giudiziario, fu un caso etico perché il paziente aveva ammesso la sua intenzione di acquistare un fucile per commettere l’omicidio, ma lo psichiatra – tormentato dal dubbio – aveva ritenuto sostanziale non violare il rapporto di riservatezza e fiducia con il paziente, piuttosto che avvertire la terza parte della minaccia incombente.

Il caso divenne celebre perché evidenziò la necessità di disciplinare una scelta difficilmente regolamentabile: se la relazione tra medico e paziente deve essere fondata su un rapporto di totale fiducia e segretezza, un’eventuale violazione del vincolo di riservatezza vanificherebbe tale rapporto e quindi la terapia. Inoltre la previsione di un comportamento aggressivo è difficilmente realistica e può dare adito a diversi falsi casi positivi. D’altro canto è evidente la necessità di tutelare la vita e l’incolumità di potenziali vittime.

Nel 1985, il legislatore californiano ha codificato la regola Tarasoff: la legge californiana stabilisce ora che uno psicoterapeuta ha il dovere di proteggere o avvertire una terza parte solo se il terapeuta ha effettivamente creduto o previsto che il paziente rappresentasse un serio rischio di infliggere gravi lesioni fisiche a una persona ragionevolmente identificabile.

Insomma resta ancora aperto il dilemma.

Non è facile trovare una soluzione.

E la domanda resta: quando è lecito o necessario rompere il silenzio e scegliere di proteggere piuttosto che rispettare il segreto professionale?

Note di regia

Carlos David è uno psichiatra moralmente integro e irreprensibile che si rifiuta di testimoniare in tribunale a favore di un suo paziente accusato di strage. Il giovane ha infatti causato la morte di dieci persone. Il rifiuto a testimoniare viene però travisato e nel momento in cui il giovane paziente dichiara di appartenere alla comunità Lgbt, il sospetto di omofobia del medico diventa un verdetto aggravato dalla pubblicazione di un suo articolo scientifico che, per un errore di battitura, vede il titolo originale ‘L’omosessualità come adattamento’ stravolto in ‘L’omosessualità come aberrazione’. Nonostante l’ammissione dell’editore di un errore del titolista, ormai il mostro è in prima pagina e non è più il paziente ma Carlos David stesso. Il refuso diventa il detonatore di un ordigno che distruggerà la sua vita, facendogli perdere il lavoro, la rispettabilità, gli affetti familiari.

Carlos David vede spostata su di sé la riprovazione del pubblico, sempre alla ricerca di un nuovo colpevole sul quale far ricadere la giustizia sommaria della collettività.

Durante il processo, il sospetto pregiudizio verso la comunità gay viene peggiorato dall’accusa di aver vissuto un recente ed incondizionato avvicinamento alla religione ebraica. La forte spiritualità di Carlos David e il rinnovato sentimento religioso vengono ascritti fra le cause di una metamorfosi radicale che può aver condotto lo psichiatra verso un preconcetto espresso chiaramente nel Vecchio Testamento.

La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.

Ho amato la versione teatrale di questo testo tanto quanto amo la versione cinematografica che segue lo schema del thriller. La sceneggiatura scritta da un genio come David Mamet si ispira a un caso di cronaca, il caso Tarasoff. Protagonista della nostra storia è uno psicanalista a cui è stata distrutta la vita – come peraltro a molti professori universitari, docenti e manager – per l’accanimento di altri due protagonisti, che sono, nel film e nella vita, il sistema giudiziario invadente e la comunicazione pilotata.

Quando la vita privata di un uomo si scontra con il meccanismo di una comunicazione che non è divulgazione elaborativa di notizie, ma che invece è diffamazione, cioè provocazione visiva e intuitiva, decisa a dare giudizi piuttosto che ad informare, nasce un conflitto. E se al conflitto partecipa anche un sistema giudiziario che individua una vittima al di fuori delle vittime reali ed un colpevole in chi non è il vero colpevole, allora siamo in piena tragedia.

Ma perché succede questo? Mamet dice Perché la natura umana è crudele. Così, il nostro protagonista Carlos David cerca risposte e conforto nella sua spiritualità e nel Giuramento di Ippocrate, unica arma di difesa dalla stampa e dalla magistratura.

I binari su cui viaggia la sceneggiatura sono la vita privata del protagonista fatta di verità, tradimenti e dilemmi, la clava mediatica secondo cui la stampa rinuncia all’originaria eticità perdendo il suo servizio elaborativo e infine il rapporto medico-paziente, ma anche avvocato-assistito, giudice-imputato, che rivela la dolorosa e discutibile incapacità ad aiutare.

Le informazioni abilmente manipolate permettono alla stampa di ‘vendere copie’. Siamo di fronte a un meccanismo paradosso che si nutre della stessa paura che scatena in chi è

coinvolto e in chi assiste. Un richiamo forte, irrinunciabile, che tiene il pubblico legato a sé, riducendo la parabola a pochi elementi fondamentali, una vittima ed un mostro.

La vittima diventa il paziente criminale mentre il mostro è lo psichiatra, Carlos David, l’ebreo in cerca della verità, con tutta la forza divisiva dell’essere ebreo.

A questa semplificazione del pensiero, a tutte le variabili dei social media, alla riduzione a pochi caratteri per esprimere un concetto, alla moda del selfie, Carlos David si oppone. E qui Mamet introduce un altro macrotema di assoluta attualità perché senza la discrezionalità, senza la capacità di scegliere, ci sarà qualcuno che lo farà per te, che ti dirà cosa devi fare, e questo è il lasciapassare per le dittature.

Nella sceneggiatura non c’è giudizio. Ogni personaggio ha le sue ragioni. L’uomo subisce una forza di gravità spirituale che lo spinge verso il basso mentre lo scopo della vita è elevarsi. Carlos David ha una casa spirituale molto forte grazie alla quale non accetta ricatti; per questo si oppone ai giudizi della stampa e alle interferenze della giustizia.

Questo per me è un film totalmente ebraico. La domanda di Carlos David Mi processate per le mie convinzioni religiose? Non dovrebbe essere una questione fra me e Dio? esprime bene l’esigenza di difendere la pratica della elaborazione del pensiero. Difendo Carlos David, difendo la sua scelta, anche a discapito del rapporto interpersonale, molto doloroso. Difendo la sua ricerca di Dio e i suoi dubbi sulla parola di Dio. Il suo incontro con Dio sarà infatti rappresentato dall’interrogatorio del Pubblico Ministero, che si rivela essere un incontro-scontro con la sua coscienza e che lo mette di fronte alle sue responsabilità.

Il P.M. dice a Carlos David che ha sempre testimoniato in difesa dei suoi pazienti tranne che in questa occasione. E questo perché ha dato un giudizio al suo paziente. Ed è sicuramente stato influenzato dalla lettura della parola di Dio perché esprime un chiaro pregiudizio nei confronti di uomini che giacciono con altri uomini. Così Carlos David si è rifiutato di testimoniare a causa della sua ‘conversione’ religiosa. Forse Carlos David ritiene che il suo paziente sia uno psicopatico e un assassino e che la strage non fosse evitabile. Inoltre inciampa nel dubbio che la sua terapia non sia servita a molto. E infine riflette sulla possibilità che sia un disegno divino per un nuovo cammino di cui non è a conoscenza.

In pratica è un film sul dubbio.

La frase chiave che lo aiuta a tenere il timone nella tempesta è Dio dice: sii onesto e io ti perdonerò.

The Penitent è anche un film sulla fine dei rapporti personali, quelli di amore e di amicizia. Carlos David sa che si lascerà con Kath, che la loro storia è finita, anche solo perché si cresce in maniera diversa. Quando Kath lo accusa di aver ucciso il loro amore, lui risponde That’s my life. Carlos David non prende questo linciaggio come una sconfitta interiore, ma come un’opportunità di crescita. Paradossalmente l’accanimento della stampa e della giustizia risulta tragicomica: Ha ucciso dieci persone e loro processano me? Capisci che tutta questa storia è pazzia? Pura pazzia.

Aggiungerei infine un riferimento anche a Jordan Peterson, intellettuale canadese, psicologo di fama mondiale, accademico e autore. La sua popolarità ha toccato l’apice con le sue regole per una vita piena di significato che lo hanno reso divisivo al punto che il Collegio degli Psicologi dell’Ontario – organo professionale che regolamenta le licenze – ha chiesto che segua un programma di rieducazione. Ciò che non è piaciuto, infatti, sono le sue opinioni sulla libertà di espressione e l’identità di genere. Una critica aggressiva alla politically correctness. Peterson infatti si rifiuta di definire un gender che non esiste dal punto di vista medico. Al di fuori dell’uomo e della donna, dal punto di vista scientifico, non esiste altro. La sua scelta è kantiana perché fa riferimento alla genetica vera, ma l’attacco che ha ricevuto apre un mondo orribile in cui qualsiasi scienziato può essere incriminato e privato della sua possibilità di praticare o insegnare perché non si omologa al pensiero unico rischiando la sospensione della licenza.

Questo attacco alla libertà di pensiero è accaduto, negli ultimi anni, non solo in molte università americane ma anche in università europee, inglesi, francesi. La libertà di parola, che era il fondamento sia americano che europeo, la possibilità di esprimere le proprie opinioni ha trasformato la vita di scienziati, individui e insegnanti, protagonisti di qualsiasi campo in un rischio di gogna mediatica in cui l’unica cosa che rimane è la vergogna di aver detto qualcosa che non ha nessuna assoluzione, che non da nessuna possibilità – supposto che uno abbia sbagliato – di essere perdonato.

Luca Barbareschi

Note di produzione

La produzione del film The Penitent ha radici profonde. Tutto nasce quando negli anni ‘80 decido di acquisire e tradurre per l’Italia le opere di David Mamet. Uno dei più influenti e abili drammaturghi del nostro secolo. Premio Pulitzer nel 1984 per l’opera teatrale Glengarry Glen Ross e due volte nominato all’Oscar, nel 1983 per la sceneggiatura de Il verdetto e nel 1998 per la sceneggiatura di Sesso & potere.

Da subito i suoi racconti mi hanno colpito profondamente e nel corso della mia carriera hanno alimentato la mia immaginazione fino a diventare riferimenti e compagni di viaggio.
Il cerchio si chiude nel 2017 quando porto in scena e interpreto al Teatro Eliseo di Roma l’opera
Il Penitente con cui avevo debuttato al Napoli Teatro Festival. Una storia che ho sempre sentito molto vicina alle mie vicende personali e che credo possa avere una vita oltre al palcoscenico.

Mamet è d’accordo con me e così nasce l’idea di una trasposizione cinematografica e, nel giro di un paio d’anni, i tempi si fanno maturi. Il 2023 diventa il momento migliore per raccontare questa storia che non potrebbe essere più attuale e che parla al nostro presente in modo vivido e urgente.

Una storia a tratti claustrofobica, con un meccanismo narrativo forte e personaggi intrappolati nei loro conflitti. Un film che racconta il presente mettendo in scena un punto di vista diverso, indipendente nel vero senso del termine, con poche location a riverberare le dinamiche di un mondo apparentemente lontano ma, più che mai presente, con le sue perversioni E caricato da forze antagoniste viscerali.

Decido di formare una squadra di lavoro non molto numerosa: il film è composto da poche scene, molto lunghe, in cui la tensione e la posta in gioco passano attraverso dialoghi serrati. Gli attori sono messi a dura prova e, come per il teatro, ogni take ha la sua liturgia per cui è fondamentale essere attenti e concentrati.

Il cast si compone di grandi interpreti del teatro inglese, non poteva essere diversamente data l’origine teatrale dell’opera. Catherine McCormack, Adam James e Adrian Lester. Sono tutti magnifici, concentrati e attenti. Perfetti nel cogliere tutti i beat della scena. Entusiasti di avere tra le mani un testo di Mamet.

Alla fotografia Michele D’Attanasio, già vincitore di due David di Donatello per Veloce come il vento di Matteo Rovere e per Freaks Out di Gabriele Mainetti. Michele è un grande professionista dotato di una spiccata sensibilità, ci capiamo al volo e studiamo insieme come realizzare questo film. Una fotografia mai ingombrante o didascalica, capace di seguire gli sviluppi della storia andando a cogliere, grazie ad audaci primi piani, le emozioni dei protagonisti.

Lo sfondo della storia è la città di New York. Ma è una New York volutamente silente e giudicante, a cui non viene dato un ruolo da protagonista perché è solo un posto fra tanti in cui avrebbe potuto avere luogo questo film. La vicenda ha infatti caratteristiche talmente universali da poter essere rappresentata ovunque”.

Cast artistico

Carlos David Hirsh Luca Barbareschi

Kath Hirsh Catherine McCormack

Richard Adam James

Pubblico Ministero Adrian Lester

Uomo 1 Robert Steiner

Uomo 2 Douglas Dean

Ragazzo Fabrizio Ciavoni

Reporter Stefania Seimur

Anchorwoman Cherish gaines

Anchorman Jay Paul Bullard

Bambino scena finale Francesco Saverio Barbareschi

Bambina scena finale Maddalena Barbareschi

Cast Tecnico

Regia Luca Barbareschi

Sceneggiatura David Mamet

Supervisore artistico Nico Marzano

Aiuto regista Silvia Vascellari

Casting Loredana Scaramella

Direttore della Fotografia Michele D’Attanasio

Operatore di macchina Andrea Doria

Dialogue coach Marcela Marambio

Montaggio Karolina Maciejewska

Musiche originali Andrea Bonini

Scenografia e Arredamento Elena Monorchio e Georgia Vitetti Martini per Deliverhome

Arredatore Eros Rodighero

Effetti Visivi M74 post

Supervisore Effetti Visivi Monica Galantucci

Costumi Enrica Barbano

make-up Clara Hopf

Hair Stylist Jerry D’Avino

Suono di presa diretta Gianluca Scarlata

Supervisione alla post produzione Irma Misantoni

Line producer Arturo Capparelli

Produttore creativo Andrea Italia

Produttori esecutivi Luca Barbareschi – Giulio Cestari

personal assistant Luca barbareschi Francesca Alunno

una produzione Èliseo Entertainment Moving Emotions Production con Rai Cinema

Prodotto da Luca Barbareschi

Testo, video e immagini da 01 Distribution.

Dove i classici si incontrano. ClassiCult è una Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Bari numero R.G. 5753/2018 – R.S. 17. Direttore Responsabile Domenico Saracino, Vice Direttrice Alessandra Randazzo. Gli articoli a nome di ClassiCult possono essere 1) articoli a più mani (in tal caso, i diversi autori sono indicati subito dopo il titolo); 2) comunicati stampa (in tal caso se ne indica provenienza e autore a fine articolo).

Write A Comment

Pin It