LE ANARADE: DA NINFE MARINE A STREGHE ANTROPOFAGHE

L’EVOLUZIONE STORICA DI UNA FIGURA MITOLOGICA

Anarade Nereidi
Dettaglio dalla cosidetto Ara di Domizio Enobarbo, Glyptothek di Monaco di Baviera. Foto di Bibi Saint-Pol, in pubblico dominio

La mitologia greca rappresenta un ricco serbatoio di figure e vicende fossilizzatesi nelle tradizioni e nelle storie di varie epoche. Un caso del tutto particolare interessa le cosiddette Nereidi, ninfe marine, figlie di Nereo e della Oceanina Doride, considerate immortali e di natura benevola. Alla stregua di altri personaggi mitologici, esse subirono, nel tempo, un’evoluzione, che le portò ad essere connotate in maniera estremamente differente rispetto all’età classica.

Due Nereidi su ippocampi che portano le armi di Achille, patera appula a figure rosse, cerchia del Pittore di Baltimora, 333 a. C. circa, Antikensammlung Kiel, inventario B 892. Foto di Marcus Cyron, CC BY-SA 3.0

Già Giovanni Canabutze, autore e cortigiano vissuto nel Quattrocento, nel suo Commentario a Dionigi di Alicarnasso dedicato al principe di Eno e Samotracia, riferiva della percezione delle Nereidi presso il popolo (specialmente presso le donne, storicamente portatrici di una cultura alternativa), fotografando altresì l’ampliamento semantico del termine, che passò ad indicare le ninfe in generale e non esclusivamente le ninfe marine. Inoltre, dall’opera sopracitata, emerge la trasformazione di questi esseri in demoni crudeli, accolti in un contesto cristiano, ma ancora fortemente impregnato di retaggi pagani. Anche Leone Allacci (1586-1669), teologo e studioso di chiara fama, in De Graecorum hodie quorundam opinationibus, parla delle Nereidi, attribuendo loro azioni esecrabili nei confronti degli umani. Nell’Ottocento, Ludwig Ross, archeologo classico, in Reisen auf den griechischen Inseln, riferisce una testimonianza inquietante riportata da una donna. La figlia di costei, una ragazza di dodici o tredici anni, era stata ammaliata dalle Nereidi, tanto da scappare costantemente dal suo villaggio per unirsi alle danze delle ninfe sui monti. Chiusa in casa dai genitori per evitare fuggisse nuovamente, la giovane si depresse e si ammalò fino a morire.

Non è solo la Grecia propriamente detta ad essere bacino di raccolta e conservazione di miti e storie provenienti dall’antichità e rimodulate nel corso dei secoli. Varianti ed evoluzioni significative dei miti sono radicate in tutte le aree storicamente ellenofone e custodi devote del proprio patrimonio folcloristico. La Calabria grecanica, nella fattispecie, conserva racconti e storie antropologicamente molto interessanti. Tra le tante leggende, si ritrova quella legata alle Anarade, creature mostruose con il corpo metà donna e metà asino. Queste dimoravano nei boschi intorno a Roghudi, borgo adagiato sulle pendici dell’Aspromonte e ormai completamente disabitato per ragioni geomorfologiche. Il rapporto tra la denominazione Anarade/Narade e Nereidi è pressoché ovvio ed intuibile, per cui non sussiste dubbio sul fatto che le Anarade siano l’evoluzione spaventosa e malsana delle ninfe della mitologia classica. Gli antropologi (G. Rohlfs, G. Rossi Taibbi, G. Caraucausi ed E. Guggino) hanno raccolto diverse testimonianze rivelatesi fondamentali per delineare un ritratto chiaro di questi mostri leggendari.

Roghudi Vecchio in Aspromonte. Foto di Motorpferd, in pubblico dominio

In primo luogo, le Anarade dimoravano nei boschi e nei crepacci attorno al paese, aspettando di cibarsi di uomini o bambini. Deambulavano principalmente nei pressi di contrada Ghalipò e preferivano muoversi di notte, a cavalcioni di un ramo di sambuco. Per appropriarsi degli uomini del villaggio e potersi accoppiare con loro, le Anarade architettavano vari stratagemmi. Attiravano sotto mentite spoglie le donne che si recavano al fiume per il bucato e le uccidevano. Pare si salvasse soltanto chi offriva loro dei latticini, di cui erano ghiotte. Da Testi neogreci di Calabria, apprendiamo che gli abitanti di Roghudi escogitarono un sistema efficacie per tenere queste creature lontane dal paese: «Le Anarade erano donne coi piedi di mula. Di giorno stavano coricate, la sera uscivano per mangiare le persone. Perciò a Roghudi la sera chiudevano la porta verso Agriddea e le Plache e così quelle non potevano entrare in paese. Le Anarade andavano a cavalcioni di un ramo di sambuco». Per proteggersi dalle Anarade, quindi, bastava chiudere i cancelli delle entrate di Agriddea e Plache, rendendo il paese sostanzialmente inaccessibile. Delle volte, le Anarade si accontentavano di stare vicino alle persone, bussando alle porte delle case o chiedendo favori ai passanti. Tratte in inganno dall’astuzia contadina, morivano spesso dirupate.

Si tratta soltanto di una delle centinaia di leggende tramandate nei paesi della Calabria e di tutto il Meridione italiano e legate al passato greco di questi territori. Storie cariche di mistero e meraviglia continuano ad essere trasmesse di generazione in generazione, mantenendo vivo il fuoco di un’anima antica e ancora tutta da indagare.

 

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