La ragazza d’autunno è il secondo film del regista russo Kantemir Balagov, reso noto dal suo film d’esordio Tesnota. Selezionata per la 72esima edizione del festival di Cannes nella sezione Un certain regard, la pellicola ha quindi rappresentato la Russia ai premi Oscar 2020.  In Italia il film è arrivato grazie alla casa di distribuzione  Movies Inspired, un piccolo faro per quanto riguarda la diffusione del cinema indipendente.

ragazza d'autunno Kantemir Balagov

Spoiler nelle parti seguenti dell’articolo

Il volto delle donne

Leningrado, 1945: Iya (Viktoria Miroshnichenko) è una ragazza bionda e altissima, soprannominata “giraffa”, che lavora come infermiera in un ospedale militare, dopo essere stata congedata dall’esercito per un disturbo post traumatico. Le sue giornate trascorrono tra le corsie dell’ospedale e le stanze comuni messe a disposizione per le infermiere. Di sera, a turno concluso, Iya si prende cura di un bambino, Pasha, di appena tre anni. Masha (Vasilisa Perelygina) torna dalla guerra e corre da Iya, sua amica dall’inizio del conflitto, per poter riabbracciare suo figlio Pasha. Sfortunatamente, dopo aver salutato l’amica, Masha scoprirà che il piccolo non c’è più, perché rimasto vittima di un tremendo incidente.

La Leningrado del 1945 è una città sospesa nel tempo, devastata dalla tragedia della seconda guerra mondiale. Nonostante l’assedio nazista, uno dei peggiori della storia, sia finalmente terminato, la morte continua ad essere la cittadina privilegiata, essendo presente negli edifici demoliti, nelle toppe dei vestiti e nei corpi magri e sporchi dei russi.

La fine della guerra

Gli spazi in cui si muove la macchina da presa sono pochi: l’ospedale, la stanza che Iya e Masha condivideranno, i tram che portano le donne al lavoro e i vicoli scuri della città-rovina.  Lo sguardo e la relazione tra le due protagoniste sono gli elementi che permettono al film di scorrere. La narrazione si fonde inevitabilmente con il contesto storico. L’URSS è una nazione che vuole risorgere dalle ceneri della guerra per concentrarsi sulla pace. Durante le due ore e mezza di pellicola, la frase che più ricorre è: “Ora ci sarà la pace”. Sono parole pronunciate dai medici dell’ospedale ai pazienti che servono per convincere chiunque che non ci saranno più guerre (concetto errato, dato che nel 1947 scoppierà la Guerra Fredda).

Il rapporto tra Iya e Masha è simile al rapporto tra i medici e il timore/negazione di una nuova guerra. Masha scopre da subito che Iya è responsabile della morte del figlio e, inizialmente, sembra perdonare l’amica e dedicarsi alla costruzione di una nuova vita. Con lo scorrere del tempo e l’introduzione del personaggio di Sasha (Igor Shirokov) lo spettatore comprende che, in realtà, lo scopo principale della soldatessa è quello di avere un nuovo figlio. Sfortunatamente, a causa degli aborti e delle lesioni subite in guerra, Masha scopre di essere sterile. Disperata, la donna obbliga Iya a “darle” un nuovo figlio. Sasha, un giovane di buona famiglia, si innamora di Masha e accetta il patto stabilito tra le due donne: dopo che Iya avrà dato alla luce il bambino, lui e Masha lo adotteranno e lo cresceranno come se fosse loro figlio. Iya, già psicologicamente fragile, tenta di ribellarsi alla volontà dell’amica non riuscendoci, a causa del forte senso di colpa.

 

La vita non ha un volto da donna

Iya e Masha sono disegnate da Balagov come due eroine tragiche che tentano in ogni modo di sfuggire ad un destino di dolore. La presenza pressante del lutto è una delle caratteristiche fondamentali della pellicola, poiché le protagoniste non solo devono elaborare il lutto per la morte di Pasha, ma devono anche lavorare sul senso di disperazione nato dalla devastazione della guerra. I feriti che lo spettatore vede tra le corsie dell’ospedale sono, paradossalmente, gli elementi vitali più influenti dell’intero film. I soldati in fin di vita o deturpati, si ricordano ancora come si ride, come si scherza e si gioca con i bambini.

Il mondo esterno, tuttavia, sembra essersene dimenticato. Grazie alle statistiche odierne, possiamo dichiarare che l’URSS fu la nazione con il più alto numero di caduti in guerra: 25.000.000 di morti, una generazione completamente distrutta. In questo perpetuo senso di morte, si inserisce la volontà di procreare. La nascita di un figlio non rappresenta solo un “risarcimento danni” per Masha ma, anche, il desiderio inconscio di trasmettere i propri geni e il proprio dolore\senso di colpa. Ricoprendo il ruolo di madre e moglie devota, Masha crede di potersi inserire in un nuovo flusso vitale che lentamente prende piede nella società sovietica. Tuttavia, dopo aver conosciuto i genitori di Sasha, la soldatessa si rende conto che non potrà mai ricoprire il ruolo sociale di moglie di un rampollo, poiché quella posizione è già occupata da un altro tipo di donna (simile alla madre di Sasha).

Iya, al contrario, è consapevole di non poter ricoprire il ruolo di donna, non solo perché non riesce a rimanere incinta, ma soprattutto perché la sua condizione mentale e la sua corporatura la rendono ciò che gli americani definirebbero una freaks. Questo contrasto tra Iya e Masha dà la costruisce il loro rapporto che oscilla tra attrazione e repulsione. Balagov ritrae queste due donne come Bergman fece con le due protagoniste de Il silenzio: due creature senza un posto nel mondo, bloccate in un paese di cui neanche comprendono la lingua. Iya e Masha non parlano la lingua dei loro connazionali, parlano la lingua del dolore e dalla sottomissione. L’uso ingombrate di due tinte, il giallo e il verde, rendono l’immagine filmica simile ad una serie di icone russe, dando alla pellicola un senso di sacralità. Il giallo rappresenta l’oro, il grano e, quindi, la rinascita. Il verde è il colore della speranza, di fatti è il colore di un vestito di alta sartoria che rende gioiosa Masha appena lo indossa. I colori, di conseguenza, insieme ai soldati ricoverati, attenuano l’elaborazione del lutto.

La regia di Balagov è più morbida rispetto a Tesnota e, nonostante il giovane regista sia allievo del più influente regista russo contemporaneo, Alexsandr Sokurov, ancora non riesce a staccarsi dall’accademismo di un cinema d’autore già realizzato. Le influenze di Visconti, Sokurov e Bergman sono eccessivamente visibili. Fortunatamente, la mancanza di uno stile proprio non interferisce con la riuscita del film e, soprattutto, è giusto ricordarsi che ci troviamo davanti solo al secondo film di questo giovane autore. Sicuramente, con il progredire della sua carriera, troverà uno stile adatto alle proprie pellicole.

ragazza d'autunno Kantemir Balagov

Locandine da Movies Inspired, foto © KINOLORBER

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