Leggere Lolita a Teheran: il ruolo della letteratura per le donne della Repubblica islamica

Nel 1995, a Teheran, Azar Nafisi, estromessa dall’università come docente di letteratura dal regime islamico, risponde a questa stasi obbligata con un atto di coraggio. Invita le sette migliori studentesse del suo corso a frequentare un seminario privato a casa sua. Il tema: il rapporto tra realtà e finzione in letteratura. L’opera che ne rappresenta il resoconto, Leggere Lolita a Teheran, porta già nel titolo la propria natura di crocevia. Nelle sue pagine alcuni dei più grandi romanzi americani, primo tra tutti Lolita di Vladimir Nabokov, si specchiano nella realtà totalitaria dell’Iran postrivoluzionario e, inevitabilmente, ne assumono i connotati, rilasciano significati nuovi. La testimonianza di Nafisi è una riflessione sull’intreccio tra letteratura e vita e, soprattutto, un’affermazione della lettura come atto di identità.

È di Lolita che voglio scrivere, ma ormai mi riesce impossibile farlo senza raccontare anche di Teheran. Questa, dunque, è la storia di Lolita a Teheran, di come Lolita abbia dato un diverso colore alla città, e di come Teheran ci abbia aiutate a ridefinire il romanzo di Nabokov e a trasformarlo in un altro Lolita: il nostro.”1

Foto di Sofia Fiorini

Leggere Lolita a Teheran: la lotta segreta alla sopravvivenza

Le sette studentesse che nel 1995 si riunivano, tutti i giovedì mattina, nel salotto di Azar Nafisi sarebbero apparse, a incontrarle per le strade di Teheran, ragazze qualsiasi. Come tutte le altre donne iraniane pagavano al regime islamico il loro desiderio di sopravvivenza in termini di ubbidienza. A incontrarle per le strade di Teheran in uno di quei giovedì mattina si sarebbe notato il modo perfetto in cui indossavano il velo, l’assoluta mancanza di vezzi, lo sguardo basso e concentrato. Ma quella concentrazione e quel rigore celavano un segreto. L’ineccepibilità formale del loro aspetto rassicurava i censori della loro fede nelle norme proprio mentre coltivavano il gusto della ribellione.

Quella ribellione consisteva in qualcosa che apparirebbe ordinario a chi oggi vive libero: incontrare altre donne per leggere libri, interpretarli, discuterne. Ma si trattava di un atto illegale nella Repubblica islamica, dal momento che il regime aveva messo all’indice i titoli occidentali, fatto chiudere cinema e librerie, reso le donne uno strumento di lotta politica verso il mito americano a cui ha giurato odio eterno. Una volta arrivate in quel salotto, per qualche ora il regime diventava solo un brusio che penetra dalle finestre. Le sue regole venivano deposte insieme al chador che le ragazze smettevano una volta al riparo dallo sguardo maschile. Chissà quante altre donne per le strade di Teheran, all’insaputa di queste ragazze, serbavano un segreto simile. Chissà quante gli stavano affidando la propria sopravvivenza interiore. E quante di loro ne sono state salvate.

La copertina di Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi, pubblicato da Adelphi con traduzione di Roberto Serrai. In copertina, l’attrice Leyla Hatami ritratta da Abbas. ©Abbas/Magnum/Contrasto
La copertina di Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi, pubblicato da Adelphi con traduzione di Roberto Serrai. In copertina, l’attrice Leyla Hatami ritratta da Abbas. ©Abbas/Magnum/Contrasto

Diritto all’immaginazione come diritto all’identità

Ormai mi sono convita che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. […] Bisogna che il tuo mondo privato entri in comunicazione col mondo di tutti. Altrimenti come facciamo a sapere che siamo esistiti?”2

Terminata, a causa delle pressioni del regime, la sua esperienza pubblica come docente di lettere all’università, l’autrice-protagonista di questo memoir trasforma l’insegnamento in un esercizio privato. Le sette migliori studentesse del suo corso sono invitate casa sua per continuare il dialogo, così brutalmente interrotto dalle vicende politiche, sul romanzo americano. La letteratura era l’oggetto di studio che le univa, ciò che le aveva fatte incontrare: dunque il più logico movente per continuare ad incontrarsi. Ma c’è di più. Qualcos’altro rendeva imperativo continuare a leggere.

Foto di Sofia Fiorini

Attraverso le esperienze di più generazioni di donne, Nafisi esemplifica come l’imposizione del velo in Iran fosse umiliante in due modi. Faceva sentire in gabbia chi, potendo, avrebbe scelto di portarlo. Ma sviliva anche il valore simbolico di un rito religioso per chi, da prima e da sempre, amava indossarlo. L’effetto era il medesimo per tutte: la perdita dell’identità. Questa pratica era solo la forma più palese di una sistematica repressione della libertà, il cui prodotto era uno spaesamento esistenziale. Come un cattivo narratore, la Repubblica islamica credeva di poter parlare a nome delle singole interiorità che soffocava, sovrapponendo la propria visione a ogni alternativa. È in questo contesto che la lettura si carica di pregnanza. Fare della lettura l’attività dei loro incontri clandestini non era una scelta casuale per queste donne. L’interpretazione dei testi ridava loro dignità, la voce restituiva loro l’identità. Era guardarsi allo specchio, capire di esistere.

Foto di Sofia Fiorini

Lolita: la confisca della vita di un individuo da parte di un altro

La malvagità di Humbert si deduce dalla mancanza di curiosità per la vita degli altri, compresa quella di colei che ama più di chiunque al mondo, Lolita. A Humbert, come a quasi tutti i dittatori, interessa soltanto la propria visione degli altri. Ha creato la Lolita dei suoi desideri, e non intende allontanarsi da quell’immagine.”3

Le opere e gli autori a cui si intreccia l’interpretazione della vita in Iran sotto la Repubblica islamica sono molteplici. Ma un’opera è più centrale delle altre: Lolita di Vladimir Nabokov. Per Nafisi, dietro all’abuso e allo stupro che costituiscono la storia di Lolita, c’è una dinamica della violenza umana che attraversa anche l’esperienza politica dell’Iran. “La confisca della vita di un individuo da parte di un altro”, il suo annegamento in un sogno che sconfina nella realtà e diventa distruttivo. Il regime le priva della possibilità di espressione, così come l’eloquio estetico di Humbert in Lolita si sovrappone al punto di vista di Dolores, che non ha mai la possibilità di narrare la sua versione della storia.

Lolita è una di quelle vittime che non hanno diritto alla difesa […]. Per questo è vittima due volte: le viene sottratta non soltanto la vita, ma anche la possibilità di raccontarla. A questo riguardo, eravamo convinte che il seminario sarebbe stato un po’ come un corso di autodifesa, e che ci avrebbe se non altro messo al riparo da questo secondo crimine.”4

La copertina di Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi, pubblicato da Adelphi con traduzione di Roberto Serrai. In copertina, l’attrice Leyla Hatami ritratta da Abbas. ©Abbas/Magnum/Contrasto
La copertina di Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi, pubblicato da Adelphi con traduzione di Roberto Serrai. In copertina, l’attrice Leyla Hatami ritratta da Abbas. ©Abbas/Magnum/Contrasto. Foto di Sofia Fiorini

Note:

1 Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Milano, Adelphi, 2003, p. 21.

2 Ibid. p. 372.

3 Ibid. p. 69.

4 Ibid. p. 60.

Sofia Fiorini (Rimini, 1995) è scrittrice e insegnante. In poesia ha pubblicato “La logica del merito” (Interno Poesia, 2017) - premiato dal Premio Violani Landi e dal Premio Prato, recentemente ripubblicato come "La logica del merito e nuove poesie" (Interno Poesia, 2023) - e “La perla di Minerva” (La Noce d’Oro, 2023). Ha tradotto l’antologia italiana delle poesie di Ralph Waldo Emerson “Il cervello di fuoco” (La Noce d’Oro, 2022) e ha collaborato a curare l'antologia “Costellazione parallela. Poetesse italiane del Novecento” (Vallecchi, 2023).

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