LEZIONI DI FILOLOGIA CLASSICA DI LUCIANO CANFORA:

UNA GUIDA PER TUTTI

L’ultimo lavoro di Luciano Canfora, Lezioni di filologia classica, edito da Il Mulino (settembre 2023), affronta – in maniera esaustiva e con esempi disparati – una tematica alquanto ‘scottante’, ovvero la ricostruzione e la storia di un testo greco e latino e come esso sia stato trasmesso a noi.

La copertina del volume Lezioni di filologia classica, di Luciano Canfora, pubblicato da Il Mulino (2023) nella collana Le vie della civiltà
La copertina del volume Lezioni di filologia classica, di Luciano Canfora, pubblicato da Il Mulino (2023) nella collana Le vie della civiltà

Gli argomenti trattati nel saggio, come preannunciato nelle Avvertenze generali al volume, rappresentano una rielaborazione, con tagli e aggiunte, delle lezioni di Filologia greca e latina svoltesi presso l’Università degli studi di Bari nell’anno accademico 1984/85 e trascritte dalla filologa e storica Mariella Cagnetta (1950 – 1998), prematuramente scomparsa nel 1998.

Il merito dell’autore del saggio è rappresentato dalla puntuale e chiara spiegazione di questioni altrimenti molto spigolose; il contenuto delle Lezioni di filologia è ricco di tecnicismi del mestiere, ma, al contempo, è ben equilibrato da un linguaggio alla portata di tutti. Inoltre, è da sottolineare l’iniziale indice delle abbreviazioni – di saggi, articoli e riviste di filologia classica – che guida il lettore nello studio degli argomenti nonché l’apparato bibliografico finale degno di menzione.

Luciano Canfora
Luciano Canfora, professore emerito di Filologia greca e latina dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”. Foto di Antonio Pignato, CC BY-SA 4.0

Nel suo libro, Luciano Canfora tratta le diverse e fondamentali problematiche utili alla comprensione della storia e ricostruzione di un testo greco e latino; in questo articolo saranno esaminati i punti focali del saggio col fine di avvicinare anche il lettore meno esperto allo studio di una disciplina affascinante.

L’autore parte da una constatazione fondamentale nello studio di un testo greco e latino: ciò che è giunto a noi, lo è per via di diversi testimoni – copie su copie di un testo – o anche grazie ad un codex unicus, ovvero un unico testimone che contiene l’opera; è fondamentale sottolineare che è stato il lavoro di ricopiatura capillare che nel tempo – e soprattutto nel Medioevo – ha concesso di poter consultare diversi testimoni greci o latini. Il lavoro degli scribi – e su questo Canfora ha brillantemente sottolineato un dato fondamentale – ha prodotto nel tempo non soltanto variabili testuali, ma anche errori; il lavoro di ricostruzione testuale di un filologo deve sostanziarsi soprattutto nella collazione, ovvero nel confronto, tra due o più testimoni dell’opera che si intende ‘ripristinare’. Il lavoro di raffronto dei testimoni a noi giunti è finalizzato al tentativo di ‘riportare alla luce’ un presumibile archetipo, ovvero un unico capostipite del testo, a noi non giunto, che, filologicamente parlando, si vuole in quel momento ricostruire; questo tentativo, però, non sempre è possibile e lo stesso Canfora afferma:

«non è certo che la tradizione superstite derivi tutta […] da un unico capostipite, ovvero il cosiddetto archetipo».

Questa difficoltà è insita soprattutto quando si deve esaminare la tradizione testuale di un autore molto letto – per fare qualche esempio: Omero, Demostene, ecc. – per cui lo stesso archetipo potrebbe, a sua volta, derivare da tanti altri testimoni che ci risulta essere quasi del tutto impossibile da identificare.

Altrettanto fondamentale è segnalare che nella tradizione di un’opera greca o latina non tutti i testimoni giunti sino a noi sono fondamentali per la storia del testo; infatti, il lavoro filologico consiste nel collazionare i manoscritti superstiti partendo dalla ‘coda’, ovvero dagli ultimi esemplari, per arrivare alla ‘testa’, il presumibile archetipo; può capitare, infatti, che nel sottoporre al vaglio filologico la tradizione superstite di un autore, qualche manoscritto possa essere copia di una copia, quindi quest’ultima risulta essere irrilevante per la ricostruzione testuale.

Si è suddetto che il lavoro di ricopiatura ha prodotto nel tempo una serie di errori che si sono tramandati da un testimonio all’altro e, spesso, questi si sono moltiplicati; e per quanto possa risultare strano ai non addetti ai lavori, l’errore è di cruciale importanza ai fini della ricostruzione testuale perché soltanto attraverso la loro analisi si può risalire la linea temporale di un’opera greca e latina.

Frammento dell'Oreste (338-344) di Euripide, conservato dalla Collezione di papiri Erzherzog Rainer della Biblioteca Nazionale Austriaca. P. Vindob. numero di inventario G 2315, Numero di controllo della Biblioteca del Congresso.2021667676, foto World Digital Library, in pubblico dominio
Frammento dell’Oreste (338-344) di Euripide, conservato dalla Collezione di papiri Erzherzog Rainer della Biblioteca Nazionale Austriaca. P. Vindob. numero di inventario G 2315, numero di controllo della Biblioteca del Congresso:
2021667676, foto wdl.4309 World Digital Library, in pubblico dominio

Un’ulteriore e fondamentale segnalazione sottolineata da Luciano Canfora si basa sulla constatazione che, anche qualora si riuscisse a ricostruire il famigerato archetipo, non sempre quest’ultimo è sintomo di testimonio autorevole perché

«[…] può essere un anello non particolarmente eccelso della catena (metaforica) che connette l’originale (remoto) ai testimoni superstiti […]».

L’analisi degli errori nei manoscritti è utile al fine di tracciare l’albero genealogico di un testimonio; quest’ultimo particolarmente ricco qualora ci si trovi ad affrontare la tradizione testuale di autori molto letti e soprattutto ancor più complesso con la scoperta dei papiri egiziani che hanno non soltanto prodotto una serie di interrogativi, ma anche messo in difficoltà i diversi filologi alle prese con i tentavi di ricostruzione critico-testuale.

Karl Lachmann
Karl Lachmann. Illustrazione dal libro Imagines philologorum : 160 Bildnisse aus der Zeit von der Renaissance bis zur Gegenwart, di Alfred Gudeman, B. G. Teubner, Lipsia e Berlino, 1911; in pubblico dominio

Quando si pensa alla ricostruzione genealogica di un testo greco o latino subito si pone l’attenzione sul lavoro filologico di un insigne studioso tedesco, Karl Lachmann (1793 – 1851) che nella sua edizione del De rerum natura di Lucrezio ha approntato una ‘nuova’ metodologia ricostruttiva: si analizzano gli errori ‘non comuni’ e si tracciano le linee fondamentali dell’albero genealogico per ricostruire quell’archetipo perduto; nasce, così, il cosiddetto stemma codicum. Ma il metodo lachmaniano è, come sottolinea l’autore, un perfezionamento di un’intuizione di un altro filologo e latinista tedesco, Karl Gottlob Zumpt (1792 – 1849) che nella sua edizione delle Verrine ciceroniane aveva appronto un primo e rustico esempio di albero genealogico.

Karl Gottlob Zumpt
Karl Gottlob Zumpt. Litografia di Hermann Sagert, da disegno di August Ferdinand Hopfgarten, in pubblico dominio

Perché è necessario analizzare gli errori ‘non comuni’? La risposta a questo interrogativo è data dalla stessa metodologia filologica di ricostruzione testuale; come afferma l’autore, nella trattazione degli errori ‘non comuni’, questo è:

«un procedimento che, attraverso l’individuazione di errori (non ovvi) comuni a due o più testimoni, tenta di ipotizzare i nessi che collegano i vari testimoni presi in esame, e di tracciare, così, l’albero genealogico».

Quindi questo significa che se, per esempio, si sottopongono al vaglio critico due testimoni che presentano errori ‘non comuni’, questi molto probabilmente deriveranno da un testimonio comune che, a sua volta, presenta gli stessi errori. In questo modo il filologo riesce a tracciare quell’albero genealogico utile alla costituzione della storia di un testo greco-romano. Inoltre, è fondamentale sottoporre all’attenzione due tipologie di errori: congiuntivi e separativi; mentre i primi rappresentano errori monogenetici (errori ‘guida’ che si sono prodotti in determinate condizioni), utili a stabilire i diversi rapporti di parentela tra due o più manoscritti; i secondi, anch’essi monogenetici, concorrono a definire i rapporti di non-parentela tra due o più manoscritti; quindi, se un determinato errore è presente nel manoscritto A e non in B, quest’ultimo apparterrà, probabilmente, ad un ulteriore ramo della tradizione.

Come si è detto, nell’esaminare i diversi testimoni per la ricostruzione testuale, non sempre è utile sottoporre ad analisi tutti i manoscritti che si sono tramandati nel tempo, ma soltanto quelli utili alla definizione genealogica del testo; questo procedimento concorre a scartare, nello studio filologico di un testo, quei codici, definiti descripti, ovvero copie di testimoni conservati che non risultano funzionali alla ricostruzione del modello comune.

Prima dell’avvento del metodo lachmaniano, l’analisi e la ricostruzione storica di un testo antico, finalizzata alla edizione critica di un’opera, si basava sostanzialmente su manoscritti pregevoli per la loro vetustà, tanto più antichi tanto più di valore erano; una metodologia che lo stesso Canfora definisce «al limite dell’arbitrio». Soltanto con l’intuizione di Lachmann e con la costituzione genealogica di un testo si è potuto fare un passo in avanti; se prima le varianti (diverse lezioni che il filologo sottopone al vaglio critico per la ricostruzione testuale) si basavano sull’autorevolezza di un testimone antico, con la costituzione genealogica, la scelta delle varianti risulta essere più oculata e dipendente dall’intreccio tra i diversi manoscritti dell’opera in esame; lo stesso autore, infatti, afferma:

«[…] il criterio di scelta non è l’età del manoscritto o la bellezza del testo che esso offre, bensì la posizione stemmatica di ciascun testimone».

Giorgio Pasquali
Giorgio Pasquali. Foto di ignoto, in pubblico dominio

Un ulteriore apporto a questa teoria è stato offerto da un insigne filologo e studioso italiano, Giorgio Pasquali (1885 – 1952) che nella sua Storia della tradizione e critica del testo e, in particolar modo, in un capitolo del suo volume, intitolato Recentiores, non deteriores, porta esempi concreti che anche manoscritti recenti sono contenitori di varianti degne di essere sottoposte al vaglio critico e, come afferma Canfora, riferendosi agli esemplari più recenti:

«possono ritrovarsi portatori di tradizione pregevole e magari più antica di quella documentata da manoscritti antiquissimi».

Com’è possibile che un testimonio recentiores possa essere più pregevole di uno più antico? In un altro capitolo del suo fondamentale studio, Varianti antiche e antiche edizioni, Pasquali mette in crisi la

«dogmatica fede nell’esistenza […] di un capostipite unico di tutta la tradizione superstite (il mitico archetipo) […]»,

come afferma l’autore; infatti, soprattutto quando ci si trova dinanzi ad autore molto letti, la tradizione testuale deve far riferimento a più antiche edizioni che si sono prodotte nel tempo e questo si può riscontrare in un processo che ha concorso a dare merito a Pasquali e al suo maestro Eduard Schwartz (1858 – 1940), ovvero quello della contaminazione, ovvero la consultazione di più testimoni per ricostruire una pozione di testo o anche una parola di difficile comprensione o lettura. Proprio la contaminatio, secondo il filologo, risultava essere un procedimento comune e non sporadico e, in questo, Pasquali era in disaccordo con un altro filologo, il tedesco Paul Maas (1880 – 1964), autore della Critica del testo (Textkritik), motivo per cui proprio la contaminazione ha prodotto quegli esemplari che, sebbene più recenti, risultano essere, come suddetto, «portatori di tradizione pregevole».

Un’altra questione cruciale negli studi di filologia classica ed esaustivamente trattata da Luciano Canfora nel suo saggio è relativa alla divisione in libri dei testi greci e latini. È importante, però, prendere in considerazione il materiale sul quale si era soliti scrivere e conservare le diverse opere. Inizialmente era il papiro (volumen) il supporto che permetteva la trasmissione testuale delle opere e ogni volumen solitamente corrispondeva ad un libro; questa constatazione è deducibile dagli stessi autori antichi che ne hanno lasciato traccia nei loro testi – Polibio, Diodoro Siculo, Dionigi di Alicarnasso, per fare degli esempi – e non è raro leggere, per esempio, che, in un determinato punto del testo, il primo libro dell’opera era portato a compimento. Ma cosa succede con il passaggio dal volumen al codex? Proprio per la tipologia di supporto e per la sua conformazione, il codex si prestava, più del papiro, a contenere più righe di testo, motivo per cui, per esempio, la divisione in libri di una determinata opera, con il codex, perde la sua efficacia dal momento che più libri potevano essere contenuti all’interno di un codice. Fortunatamente chi ha ricopiato da papiro a codice, ha riportato su quest’ultimo l’indicazione della divisione in libri operata dall’autore e soltanto così i filologi sono riusciti a tracciare un’ulteriore storia del testo dell’autore preso in esame. Con il passare del tempo, l’importanza della divisione in libri si è persa, soprattutto con l’affermarsi sempre più dilagante del codex; infatti, cominciò a farsi strada la divisione in capitoli. Isidoro di Siviglia, l’arcivescovo spagnolo vissuto tra il VI e il VII, autore dell’eccezionale enciclopedia Etymologjae, suddivise la sua grande opera in capitoli e l’attuale divisione in libri della stessa opera fu a cura del suo fidato amico Braulione. Questo cambiamento rappresentava (e rappresenta per gli studiosi) il mutato procedimento di costituzione testuale che andava pian piano affermandosi.

Il saggio di Luciano Canfora, come già ricordato all’inizio di questo articolo, ben si indirizza anche a coloro che sono alle prime battute degli studi di filologia classica (ma anche, ovviamente, ai più esperti del settore); le questioni e gli argomenti trattati, corredati da esempi disparati, cavati dagli stessi testi antichi, ben si inseriscono e concorrono a guidare il lettore nella comprensione di un metodo che altrimenti risulterebbe ostico ed oscuro. In questo articolo sono sottoposti all’attenzione soltanto alcuni dei punti focali che caratterizzano l’intero saggio, ma quest’ultimo merita un’attenta lettura, non soltanto perché ricco di elementi esemplificativi, ma anche perché utile ad illuminare ed avvicinare allo studio e trattazione di una materia sì affascinante, ma così complessa.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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