La nuova stagione, ultimo romanzo di Silvia Ballestra, racconta le vicissitudini di due sorelle marchigiane, Olga e Nadia, che cercando di disfarsi della terra lasciata loro in eredità dal padre. Non lo fanno per urgente bisogno di soldi o di fuga, ma perché semplicemente la vita, a volte, prende altre strade e ciò che è stato (i nostri “natii borghi selvaggi”, l’eredità tangibile e pesante di una famiglia) non ci rispecchiano più. Perché inizia, appunto, una “nuova stagione” che magari con la prima non ha apparentemente alcuna relazione. A fare da cesura, piccoli e grandi eventi traumatici, come può esserlo un terremoto.

“Pensavamo che non eravamo certo i primi ad assistere a sconquassi del genere lì, ma pensavo pure che i precedenti più gravi risalivano a centinaia di anni prima.”

Questa terra, che è la vera protagonista di tutta la narrazione, è una landa di collina, coltivata a palme in un declivio tra il Monte della Sibilla e il Vettore. Un paesaggio splendido, antropico eppure selvaggio, abitato da generazioni e sconquassato da una qualche faglia che lo fa tremare, cercando di distruggere ogni traccia umana. Questa terra, che sa riempire di coccole e di rimproveri,  che le due sorelle vorrebbero lasciare ma con grande senso di colpa, che amano in modo assoluto ma doloroso, è la madre di tutte le protagoniste della storia. Tutte, compresa la voce narrante, una sorta di auto-fiction dell’autrice, che sembra voler raccontare in questo libro anche il proprio legame con il proprio luogo di origine. E come nei migliori manuali di psicologia, il rapporto tra una madre onnipresente e le figlie non può essere che complesso e affascinante.

Il Monte Vettore. Foto Flickr di pizzodisevo da/Palmiano, CC BY-SA 2.0

Poi ci sono le palme, bella e sinuosa reminiscenza omerica, che in un gioco di metafore e simboli sono il legame tra questa madre e queste figlie. Le palme, un tempo commercio molto redditizio, sono ora rifiutate da tutti. Eppure rimangono restie a seccare e quasi impossibili da smaltire una volta eradicate, come un amore che non si può soffocare e che non vuole rassegnarsi a spegnersi in solitudine. E tuttavia anche quel legame viene con fatica reciso:

“Il lavoro andò avanti una settimana con un paio di interruzioni per impegni dei due e con un pomeriggio saltato perché, con grande sgomento di Olga, aveva minacciato la pioggia.

Sul terreno, come un muto rimprovero, rimasero centinaia di grosse buche, parecchie acacie e coriacei sfalci secchi sparsi a perdita d’occhio come paglia.”

Rimangono, forse nascoste, le radici. Quelle che non ci permettono mai di andare veramente o che, come sirene, ci chiamano per tornare:

“Ma questa storia non è mica conclusa” mi disse ridendo luciferina. “Parto, ma torno per la sagra del ciauscolo. Poi ci sarà, ancora, l’estate di San Martino e, prima di Natale, le fochere dell’Immacolata.”

Il Monte della Sibilla visto da Montefortino. Foto di Parsifall, CC BY-SA 3.0

Questa riflessione sulla terra e sul legame coi luoghi della propria origine sembra essere una costante della letteratura di questi anni. Mi vengono in mente, oltre a questo romanzo, Le cose da salvare di Rossetti, Portami dove sei nata di Scorranese, Bella mia di Pietrantonio… Tutte narrazioni che vertono intorno a una terra che crolla, che non è più quella di prima ed è interessante che siano tutti romanzi di autrici donne. Forse un nuovo filone della narrativa italiana che varrà la pena per qualche critico di indagare. Intanto leggete questo libro e forse scoprirete che anche da poche radici rimaste mutilate sul terreno nascono nuovi germogli.

 

La nuova stagione
La copertina del romanzo La nuova stagione di Silvia Ballestra, pubblicato da Bompiani

La nuova stagione è stato candidato alla LXXIV edizione del Premio Strega.

Si ringrazia

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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