Riscoprire gli Ottolenghi ad Acqui Terme: un tesoro del territorio

#OttolenghièAcquiTerme, così la Presidente del ricovero ‘Jona Ottolenghi’ (luogo nelle immediate vicinanze del Duomo acquese), Barbara Gandolfo, in occasione delle due giornate dedicate alle visite guidate gratuite presso la Casa di Riposo, ha lanciato un nuovo hashtag per la città ed i suoi cittadini.

I due incontri (26/02/2023 – 05/03/2023) presso il sito nel cuore di Acqui Terme si sono avuti proprio a ridosso del Convegno “Piacere, Arturo Martini” tenutosi il 10 marzo 2023 presso l’Auditorium San Guido (sempre ad Acqui Terme) che ha reso particolarmente orgogliosi gli acquesi, segnando per la cittadina un grande traguardo.

Ho avuto la possibilità di presenziare alla seconda visita, domenica 5 marzo, rimanendo piacevolmente colpita dalla bellezza che si cela dietro il grande portone del ricovero dedicato a ‘Jona Ottolenghi’; ingresso realizzato in legno massiccio, dove sono oggi ancora presenti la R (ricovero) e la O (Ottolenghi) scolpiti da una delle protagoniste che andremo ad indagare a breve, ovvero Herta Wedekind in Ottolenghi (Berlino, 1885 – Acqui, 1953).

Acqui Terme Ottolenghi
Ingresso della Casa di Riposo Jona Ottolenghi ad Acqui Terme

Svolgiamo ora un passo indietro e ritorniamo all’iniziativa ideata alcuni mesi scorsi dalla Presidente e da alcuni suoi collaboratori per omaggiare l’ampio (e molte volte nascosto) patrimonio acquese.

L’iniziativa delle visite era infatti volta a donare la possibilità di visionare i tesori artistici situati nella Fondazione, non aperta quotidianamente al pubblico, dando uno sguardo principalmente ad una delle opere più rappresentative del Novecento, il Figliol prodigo, complesso scultoreo bronzeo realizzato nel 1926 dall’artista Arturo Martini.

Il terreno dove oggi sorge l’Ospizio ha una storia che inizia secoli addietro e più precisamente nel 1415 ove al tempo, un cittadino, tale Giacomo Marenco, aveva fatto un voto, ovvero quello di andare a pregare sul Santo Sepolcro, atto che non riuscì per motivazioni personali ad effettuare ma che per ottemperare, quindi eliminare quella macchia sul cuore, decise di donare una ingente somma di denaro per realizzare un luogo ospedaliero.

Questo sorse accanto alla Chiesa Maggiore acquese, donando così il nome di Ospedale Santa Maria Maggiore, luogo che divenne presto di grande importanza e qualità, fino a quando la mancanza di denaro da parte di mecenati e donatori, intervallata da guerre e pestilenze, portò quasi totalmente a cessare il lavoro all’interno della struttura, interrompendola fino all’arrivo di nuovi finanziamenti ed un nuovo ordine.

In questa occasione, i “frati fatebenefratelli di Milano” accorsero in loro aiuto, rilevando la sede, dedicando la struttura sanitaria alla Madonna dell’Annunciata, prendendosene cura, amministrando e riportando il territorio a risplendere come un tempo lavorando egregiamente.

Prima di oltrepassare l’ingresso, citato precedentemente, ad accoglierci, invitandoci ad entrare, troviamo due figure raffiguranti la madonna con il bambino, altra opera di maestosa bellezza, scolpita con uno sguardo benevolo dalla mano della stessa Herta che ci conduce sapientemente all’interno mostrandoci un sito squisitamente novecentesco.

Acqui Terme Ottolenghi
Madonna con bambino alla Casa di Riposo Jona Ottolenghi di Acqui Terme

L’inaugurazione a nuovo Ospizio si deve proprio infatti alla coppia composta da Arturo Ottolenghi e dalla già citata Herta, che dedicarono lo spazio appositamente – come disse Arturo – “ai miei amici ospiti”, perché le persone che venivano accolte al suo interno erano principalmente bisognosi, assistiti in maniera gratuita, con una beneficenza sempre effettuata in maniera silenziosa e con umana pietà.

La casa di riposo fu dedicata a Jona Ottolenghi (un busto in suo ricordo infatti è oggi presente all’interno del cortile, posto in una nicchia), filantropo e studioso di nobili origini che si mosse con grandissima disinvoltura sulla piazza acquese quanto sulle altre piazze italiane e estere (come Londra e Parigi), relazionandosi anche a figure di grande rilevanza, comparendo infatti nei carteggi di Giuseppe Mazzini e di personaggi illustri acquesi tra cui Giuseppe Saracco, sindaco di Acqui Terme e presidente, al tempo, del Consiglio del Regno d’Italia.

Acqui Terme Jona Ottolenghi

Alla conclusione del XIX secolo, sul giornale acquese dell’epoca, ‘La Bollente’ (la testata giornalistica fu voluta da Saracco), nella prima pagina comparve una notizia del tutto eccezionale: Jona Ottolenghi donava ben 200000 lire per la creazione di uno spazio all’interno dell’ospedale di Acqui, dedicato ad assistenza pubblica per bisognosi (una specie di ricovero di mendicità), un bellissimo progetto che venne però accolto e portato a termine solo in tempi successivi dal pronipote di Jona, Arturo Ottolenghi.

La domanda sorge spontanea: per quale motivo i coniugi Ottolenghi decisero di diventare dei collezionisti così imponenti sulle scene italiane?

LA COPPIA

Arturo proveniva da una famiglia benestante d’origine piemontese, Herta discendeva da un casato di ricchi banchieri facenti parte della nobiltà tedesca, donna riconosciuta oggi come una delle mecenate più illuminate del Novecento, nonché una delle principali protagoniste della stagione delle arti decorative degli anni Venti e Trenta.

Indiscutibile era la sua determinazione, caratteristica che viene citata ancora oggi in suo ricordo, come le sue strabilianti doti artistiche. Fu infatti fin da giovanissima dedita all’arte, creando delle opere che tuttora vengono ricordate come dei veri capolavori; il campo ove la troviamo principalmente maestra è sicuramente la sezione tessile (per lo più arazzi), che vennero richiesti nei più importanti musei mondiali: dal Metropolitan Museum di New York, dal Louvre di Parigi come dall’Albert & Victoria Museum.

Queste due straordinarie figure si incontreranno agli albori del Novecento e, dopo un breve corteggiamento, si congiungeranno in matrimonio nel 1914, in un periodo assai difficile per il territorio italiano, a causa della prima guerra mondiale che porterà la coppia a stabilirsi solo a conclusione del conflitto a Pieve di Sori (GE).

In questo periodo Herta ha un’unica volontà: quella di riportare la ricchezza, la cultura e la bellezza in un’epoca che era divenuta, da ormai diverso tempo, triste e vuota. Così la mecenate, cominciò a monitorare tutte le diverse proprietà del marito, dando un maggior sguardo ai territori piemontesi e facendo divenire Monterosso il principale luogo di accoglienza per gli artisti più influenti del momento (come Fortunato Depero, Adolfo Wildt, Libero Andreotti, Fiore Martelli, Rosario Murabito, Venanzo Crocetti, Ferrucio Ferrazzi e Arturo Martini), erigendo ed inaugurando una residenza apposita al fine di creare una vera “cittadella d’arte”.

Figure che divennero immediatamente familiari alla coppia fu, primo fra tutti, Ferruccio Ferrazzi (Roma, 1891-1978) conosciuto alla II Biennale romana nel 1923, colui a cui poi affideranno l’intero progetto iconografico del Mausoleo che sorgerà sulla collina di Monterosso, diventandone il vero “deus ex machina”. Ricordiamo poi Federico D’Amato, abile architetto che morì improvvisamente, lasciando l’ampio lavoro ad un altro eminente personaggio che disegnò nel corso del XX secolo i profili delle città italiane più importanti del Novecento: da  Roma a Torino, da Genova a Brescia: sto parlando, cari lettori, del grande Marcello Piacentini (Roma, 1881-1960).

Quest’ultimo ebbe l’incarico di ristrutturare e ridisegnare l’assetto dell’ex Ospedale (l’attuale Ospizio che sorge in Via Verdi, 2) costruendo come primo alzato un luogo di piccole dimensioni, dedicato alla preghiera: la cappella Ottolenghi.

Di fronte ai nostri occhi tuttora ritroviamo un portone ligneo a doppia anta scolpito, ancora una volta, da Herta, opera magnifica e di grande rilievo che fa emergere nel mogano, due ‘angioloni’ che custodiscono il sacro, accogliendoci.

 

 

 

 

La progettazione su misura fu effettuata sotto il consiglio del sacerdote Virginio Bongioanni che, poco dopo, ricevette la benedizione papale, mentre le quattro vetrate rappresentanti le virtù cristiane furono opera del maestro vetraio Pietro Chiesa junior, che riuscì a conciliare la finezza semplicistica della struttura con l’imponente Sancta Sanctorum. Quest’ultimo è uno spazio di notevole raffinatezza, ricco di piccole tessere sfaccettate che compongono un mosaico dorato, richiamante la Scuola del Mosaico Vaticana.

 

 

 

 

 

Gli acquesi la chiamano come “la piccola Ravenna”, ed io stessa mi sento di approvare questo appellativo popolare: le vesti, le piume, gli elementi floreali, le ali, tutto richiama il sacro e viene descritto in una ben delineata maniera a testimoniare un netto richiamo a quei luoghi lontani bizantini.

Sull’altare maggiore non mancano opere del Ferrari, come la porticina del tabernacolo, in argento sbalzato, raffigurante il Mosè che riceve la manna o l’ostensorio, decorato con lapislazzuli e recante alla base una dedica incisa con “A. e H. vogliono donarlo al ricovero” (oggetto abbandonato in alcune stanze della struttura e che oggi, successivamente al restauro possiede una nuova vita), accanto a candelabri a cinque braccia.

 

 

 

 

 

 

Il mosaico decorato reca diverse scene religiose, che si congiungono al centro con la raffigurazione del Gesù vittorioso che, con la sua splendente corona alludente alla tridimensionalità, gioca con luci ed ombre che vengono proiettate dalle finestre attorno.

Nella parte superiore, possiamo ammirare prima dell’incavo dell’arco a sesto acuto, l’Annunciazione: a sinistra l’angelo che reca la buona notizia, in centro la colomba abbagliata da un raggio luminoso e a destra la Madonna.

Ricordiamo che all’epoca l’Ospedale era stato amministrato dai frati benefattori dell’Annunciata e per questo la volontà di donare tale iconografia affrescata da Fiore Martelli (Monza, 1908 – Torino, 1934), giovane monzese che ebbe modo di lavorare per diversi mecenati (tra cui Umberto II principe di Savoia che lo volle, a soli 22 anni, per ristrutturare le sale interne del suo Castello a Racconigi); fu artista di grande rilevanza che ebbe modo di servire anche i Nostri coniugi, collaborando sia per il futuro ricovero sia per scopi privati, che rimasero in parte interrotti proprio per la sua prematura morte.

All’interno del luogo si possono ammirare ancora oggetti religiosi di ogni tipo: dalla statuetta lignea del buon pastore scolpita da Herta, all’Acquasantiera posta all’ingresso della cappelletta, un piccolo ma maestoso gioiello.

Scultura lignea, scolpita da Herta
Acqui Terme: statuetta lignea del buon pastore, scolpita da Herta Ottolenghi

Dirigendoci verso il cortile interno della casa di Riposo assistiamo ad una delle opere certamente più imponenti e celebri ideate da Arturo Martini: il complesso scultoreo Il Figliol prodigo, che partirà a breve per la nuova mostra “Arturo Martini. I capolavori”, presso il Museo Luigi Bailo, di Treviso.

Il Figliol prodigo Arturo Martini Acqui Terme Ottolenghi
Il Figliol prodigo, scultura di Arturo Martini, presso la Casa di Riposo Jona Ottolenghi ad Acqui Terme

L’opera in questione permette di stabilire l’iter storico-artistico del Martini e le vicissitudini collezionistiche italiane nel XX secolo con riferimento alle sue opere, dimostrando quanto fin da subito la scultura ebbe diversi consensi; prima però di giungere al momento della conoscenza con gli Ottolenghi, vorrei soffermarmi su questo notevole artista, quindi facciamo un passo indietro.

Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947) nasce da una famiglia molto modesta, ripetette le scuole diverse volte fino alla maggior età, dedicandosi assiduamente all’arte che trovò non solo uno svago ma una possibilità lavorativa; affittò nel corso del tempo un atelier a Vado Ligure, dove ideò Il figliol prodigo, sposando Brigida, donna locale che lo sostenne nelle sue diverse scelte.

La scultura nacque in gesso in assenza di committenza, probabilmente un’esigenza che lo scultore sentì dentro di sé per colmare quel vuoto e quell’abbraccio mai dato al padre defunto; il suo rapporto infatti con questa figura fu sempre particolarmente burrascoso, fin dalla sua giovinezza. Quando il padre cominciò ad ammalarsi, Arturo non riuscì a presenziare per un ultimo estremo saluto, soggiornando allora in territorio parigino.

Per questa motivazione, probabilmente il legame con il padre nella mente di Martini aveva bisogno di essere risanato: quale migliore occasione se non tramutarlo in un’opera che si sarebbe prolungata nel tempo?

Intitolato ‘Il Figliol prodigo’ in omaggio alla parabola del figlio prodigo, o detta più correttamente Parabola del Padre misericordioso, la scena in questione infatti mostra proprio la conclusione di quest’ultima, con un amorevole perdono da parte paterna nei confronti del figliolo pentito per l’errore commesso tempo addietro.

Il Figliol prodigo Arturo Martini Acqui Terme Ottolenghi

Nell’opera troviamo quindi il giovane figliol prodigo, avente la schiena nuda e magra, avanzante verso il padre vestito con un ampio mantello che, misericordioso, lo abbraccia perdonando ogni suo peccato; i rispettivi piedi ben saldamente ancorati alla base dove sorgono le figure e l’abbraccio così famigliare e protettivo invocano la grazia, suscitando nell’osservatore un fraterno sentimento.

 

 

Il complesso, ancora in fase di bozza, fu particolarmente ammirato dall’amico Eso Peluzzi (Cairo Montenotte, 1894 – Montechiaro, 1985) nello studio del Martini a Vado, che usò queste parole:

“è un capolavoro bisogna fonderlo in bronzo”,

e così l’artista fece, alla fine degli anni Venti, tramite una delle migliori fonderie storiche napoletane di allora, la Chiurazzi, portando l’opera a pesare 600 chilogrammi.

Per l’esattezza sarà proprio un conoscente del Peluzzi, un certo Balbis, industriale benestante comasco a donare l’ingente somma di denaro, 25000 lire ca. per la fusione che consentì all’opera di essere esposta già poco dopo alla Biennale di Milano, nel 1929. Da questo momento in avanti i consensi saranno numerosi, tanto da farla esporre anche alla quadriennale di Roma ove l’artista, l’opera, Arturo ed Herta avranno modo di fare la loro conoscenza.

I coniugi avevano già conosciuto un “Martini ceramista” presso l’esposizione di Monza, dove avevano acquistato già diverse sue ceramiche, ma alla quadriennale rimasero piacevolmente affascinati da questo blocco bronzeo che venne immediatamente acquisito nella collezione Ottolenghi e ufficialmente collocato nel 1931 nel giardino del ricovero in Via Verdi ad Acqui Terme, ancor prima della inaugurazione dell’edificio che avrà luce solo nel 1934.

Tra i diversi estimatori, ritroviamo le opinioni dei due curatori, Giuseppe Mazzotti e Carlo Scarpa, che vollero esporre l’opera nella mostra del 1967 a Treviso su Martini, ponendo lo scatto fotografico del complesso scultoreo sulla copertina del catalogo.

I giornali nell’autunno del 1931, descrivono già le prime impressioni sull’opera da parte del popolo acquese, ad esempio quando venne presentata in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma, dove per la prima volta gli abitanti di Acqui Terme, iniziando con le autorità in camicia nera, visitarono le opere realizzate nell’anno IX rimanendo stupefatti e sconcertati nel poter assistere al risultato plastico acquistato dai coniugi Ottolenghi.

Testimone di questi fatti è il numero del 31 ottobre – 1° novembre nella testata giornalistica “Giornale d’Acqui” ove si proponeva una visita al Vecchio Ospedale, riprogettato e realizzato al fine di accogliere i meno abbienti.

Le autorità che presenziarono all’inaugurazione vollero mostrare la loro profonda stima e riconoscenza inviando la lettera, riportata qui di seguito; tutto ciò non impedì, ahimè, di vedere l’Ottolenghi coinvolto nelle persecuzioni antisemite (anche se era convertito al cattolicesimo).

“Sig. Avv. Arturo Ottolenghi
I rappresentati delle autorità Civili, Politiche e Militari e Enti pubblici cittadini, in visita alle opere compiute nell’anno IX dell’Era Fascista, radunati nel cortile del ricovero di mendicità, ammirano l’opera grandiosa che V.S., seguendo le tradizioni munifiche degli avi, ha voluto fosse costruita, per dare ai vecchi bisognosi una dimora, salubre, decorosa che assicuri loro sollievo e ristoro nei duri anni della vecchiaia. Mentre plaudono alla geniale opera Vostra, sostano entusiasti dinnanzi al Figliol prodigo, capolavoro dell’insigne scultore A. Martini, che V.S. con senso squisito d’arte e di opportunità ha voluto donare al ricovero perché costituisca del nuovo edificio, un artistico ornamento degno dell’ammirazione dei posteri.”

L’opera nella quotidianità è posta nel cortile interno dell’Ospizio, ma non mancano alcuni suoi spostamenti, come quello dello scorso agosto 2022, quando la scultura è stata traslata a Rimini per un’esposizione, portando con sé giudizi non solo positivi ma ottimali.

Il restauratore Nicola Salvioli ha definito l’opera ‘in buono stato di conservazione’, con la possibilità di renderlo ‘ottimo’ con un possibile restauro di soli quattro giorni. La Presidente dell’Ospizio ed i suoi collaboratori si sono attivati quindi per rendere tutto ciò realtà, a conclusione della mostra a Treviso, con il ritorno dell’opera nel luogo di origine, verrà restaurata grazie al finanziamento, ancora una volta, da parte del Rotary Club.

Vorrei giungere a termine consigliando la mostra che inaugurerà il 31 Marzo 2023 fino al 30 Luglio 2023 al Museo Bailo di Treviso, a cura di Fabrizio Malachin e Nico Stringa, dove potrete ammirare più di 280 opere dello scultore: 150 patrimonio dell’ente Museale Bailo, che per l’occasione riallestirà le sale al primo piano, e 130 lavori allestiti al piano terreno inviati da tutta Italia (dal Piemonte alla Liguria, da Roma a Lugano) da collezioni pubbliche e private.

Acqui Terme Ottolenghi

Citando una delle frasi ancora oggi più rappresentative della ‘struttura Jona Ottolenghi’: “Aperiente te manum tuam omnia implebuntur bonitate” (Salmo 103) ovvero “quando aprirai la tua mano, tutto sarà pieno di bontà”, sottolineo ancora la grande impresa, oserei dire ben riuscita degli Ottolenghi che tanto si premurarono al fine di soddisfare, per la città ed ai suoi abitanti, tutte le necessità possibili sia sanitarie che artistiche, che oggi risplendono come un grande tesoro acquese.

Tutti gli scatti fotografici del presente articolo sono di Claudia Musso.

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