Conservatorismo verghiano e mobilità pirandelliana: due mondi a confronto

Verga e Pirandello e le loro diverse visioni della vita e della realtà si sono fatti strada con prepotenza nella letteratura italiana del Novecento, soprattutto nella novellistica e nella produzione di romanzi.

Entrambi, originari della Sicilia, lasciano la loro terra per sprovincializzare la loro cultura, ma arrivano a conclusioni nettamente differenti.

La Sicilia, matrice comune, è onnipresente in Verga con tutta la sua complessità, mentre si sfuma in Pirandello che invece si apre ad influenze europee e ispirazioni filosofiche.

Riguardo a Verga non mi riferisco solo al Ciclo dei vinti, ma a tutta la sua produzione, cioè anche a quella precedente, in cui sebbene le tecniche narrative siano diverse, tuttavia lo sfondo rimane per lo più quello del paesaggio siciliano.

Pensiamo a Una peccatrice o a Storia di una Capinera e alle novelle di Vita dei campi. Il mondo siciliano in esse urla tutta la sua miseria e la sua bellezza, il suo dolore e le sue consuetudini e nello stesso tempo la fedeltà ai valori tradizionali del lavoro e dell’abnegazione.

Giovanni VergaGiovanni Verga, dal libro Giovanni Verga di Luigi Russo, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli (1920). Foto di ignoto, in pubblico dominio

Il realismo con cui Verga descrive i personaggi e la società gretta e chiusa in cui vivono è il ritratto della Sicilia di quei tempi, in cui il valore della roba era un comandamento da seguire in vita e un testamento importante da tramandare ai figli; in cui il giudizio della gente era da preferire alla propria felicità personale; in cui l’onore era portato avanti a costo di qualunque sacrificio.

In cui era fondamentale il valore della famiglia, non certo quello dell’unione matrimoniale dettata da interessi economici o riparatori.

Pensiamo al diverso legame tra Maruzza e Bastianazzo de I Malavoglia e quello tra Bianca e Gesualdo di Mastro don Gesualdo.

Al naufragio della Provvidenza e alla scomparsa di Bastianazzo segue la disperazione1 di Maruzza:

Maruzza la Longa non diceva nulla, com’era giusto, ma non poteva star ferma un momento, e andava sempre di qua e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quando sta per far l’uovo. Gli uomini erano all’osteria, e nella bottega di Pizzuto, o sotto la tettoia del beccaio, a veder piovere, col naso in aria. Sulla riva c’era soltanto padron ‘Ntoni, per quel carico di lupini che vi aveva in mare colla Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca dei lupini.

[…] Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figlioletti era andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna, le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa.

[…] Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vicine che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.

– Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!

Alla morte di Gesualdo invece segue il nulla. Nessun compianto, nessun ricordo. Lui, che aveva sposato una nobildonna, Bianca Trao, per la sua scalata sociale, aveva sacrificato il legame con Diodata, dalla quale aveva avuto dei figli.

Il momento in cui comunica alla serva di doversi sposare con la donna altolocata non è privo di commozione.

Sai? Vogliono che prenda moglie.

La ragazza non rispose; egli non badandoci, seguitò:

– Per avere un appoggio … Per far lega coi pezzi grossi del paese … Senza di loro non si fa nulla!… Vogliono farmi imparentare con loro per l’appoggio del parentado, capisci?… Per non averli tutti contro, all’ occasione… Eh? che te ne pare?

Ella tacque ancora un momento col viso nelle mani. Poi rispose:

Vossignoria siete il padrone…

[…] Allora le vide il viso, rivolto a terra, pallido pallido e tutto bagnato.

[…]Che vuoi? Non si può far sempre quel che si desidera.

La realtà descritta da Verga è quella in cui solo l’accettazione della propria condizione sociale può proteggere gli uomini dalla fiumana inarrestabile del progresso.

Tutti quelli che avevano voluto cambiare la loro sorte avventurandosi in affari nuovi o coloro che avevano contratto unioni con persone di diverso ceto sociale rispetto al loro, venendo meno al rispetto della propria immobilità e manifestando le “inquietudini pel benessere” avevano finito con l’esporsi ai rischi e ne erano stati inghiottiti o sconfitti economicamente e affettivamente.

Queste le sue parole nella prefazione ai Malavoglia:

Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio2.

Pensiamo a due personaggi simili tra loro per l’attaccamento alla roba e per destino, Mazzarò e Gesualdo.

Mazzarò, protagonista della novella La roba, compie la scalata sociale che da contadino lo porta a diventare ricco proprietario terriero. E pur vivendo solo per la roba e facendo sacrifici per averne sempre di più, sembra condurre una vita “felice”. Ma è solo un’illusione. Infatti, quando si appresta la morte, inizia a farneticare e a compiere gesti inconsulti per via della consapevolezza di non poter portare con sé la sua roba.

Gesualdo, protagonista del romanzo Mastro don Gesualdo, che ha deciso per interesse di sposare una donna nobile, trascorre e termina la sua vita nella solitudine e nell’incapacità di comunicare e farsi comprendere dai suoi familiari,

In entrambi i casi, prima o poi viene punita la bramosia di potere e di averi.

E sebbene all’esterno le loro vite possano sembrare felici o perfette, a uno sguardo più attento si confermano invece fallimentari e infelici, a prova di quanto lo stesso Verga afferma nella Prefazione ai Malavoglia:

Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguansi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorio universale, dalla ricerca del benessere materiale, alle più elevate ambizioni, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada questa immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpassati domani. 3

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello. Foto di ignoto, in pubblico dominio

Passiamo ora a Pirandello.

Nel romanzo Marta Ajala, ambientato in Sicilia, a fare da movente nella storia sembra essere il giudizio della gente che si scaglia, a torto, contro la protagonista insinuando il suo adulterio e determinandone la fine del matrimonio e l’isolamento.

Ma l’epilogo è completamente diverso rispetto alle aspettative e questo perché in Pirandello la Sicilia e i suoi valori sono a volte uno dei tanti volti della società, in cui tutto è così relativo da un lato e paradossale dall’altro che il marito di Marta, dopo averla accusata a torto di tradimento, la rivuole in casa quando è stata davvero con un altro uomo.

Queste le parole di Rocco rivolte a Marta Ajala nella scena finale del romanzo L’esclusa4:

– Ti voglio! ti voglio! – gridò lui, esasperato, accecato dalla passione.

No…. lasciami…. – scongiurò Marta, schermendosi, già quasi abbandonata di forze. – Fammi andar via…. te ne supplico….

Marta, dimentico tutto! e tu pure, dimentica! Sei mia! Sei mia! Non mi vuoi più bene?

Non è questo, no! – disse Marta in un gemito, affogata dall’angoscia. – Ma non è più possibile, credimi, non è più possibile!

Perché? Lo ami ancora? – gridò egli fieramente, sciogliendola dall’abbraccio.

No, Rocco, no! Non l’ho mai amato, ti giuro! mai! mai!

E ruppe in singhiozzi irrefrenabili; sentì mancarsi; s’abbandonò tra le braccia di lui, che istintivamente si tesero di nuovo a sorreggerla. Fiaccato dal cordoglio, a quel peso, egli fu quasi per cadere con lei: la sostenne con uno sforzo quasi rabbioso, nella tremenda esasperazione: strinse i denti, contrasse tutto il volto e scosse il capo disperatamente.

In quest’atto, gli occhi gli andarono sul volto scoperto della madre sul letto funebre, tra i quattro ceri. Come se la morta si fosse affacciata a guardare.

Vincendo il ribrezzo che il corpo della moglie pur tanto desiderato gl’incuteva, egli se la strinse forte al petto di nuovo e, con gli occhi fissi sul cadavere, balbettò, preso di paura:

Guarda…. guarda mia madre…. Perdono, perdono…. Rimani qui. Vegliamola insieme….

Nei romanzi e nelle novelle di Verga invece i pregiudizi, le false dicerie della gente hanno un peso assai diverso sul destino dei membri di una comunità; pensiamo a Nedda oppure alla Lupa e diversi altri personaggi.

La mentalità e i modi di fare tipici della Sicilia vengono, spesso, ripresi e usati da Pirandello come strumenti utili a dimostrare l’umorismo e il grottesco delle azioni umane.

Il suo sguardo sulle vicende umane è più universale e più tristemente volto a evidenziare la crisi d’identità dell’uomo e dell’intera società, incapace di spiegare la realtà con certezza poiché tutto è diventato labile e relativo, piuttosto che a testimoniare la sua sicilianità.

Lo sfondo dei suoi romanzi e delle sue novelle, eccetto che per alcune, è meno caratterizzante, per certi aspetti incerto, poco nitido proprio perché potrebbe coincidere con qualunque posto, paese o regione. Pensiamo all’ambientazione imprecisata de Il fu Mattia Pascal o di Uno, nessuno e centomila.

Conservatorismo verghiano e mobilità pirandelliana: due mondi a confronto
Conservatorismo verghiano e mobilità pirandelliana: due mondi a confronto. Per la composizione da Canva, licenza d’uso

Mentre il mondo letterario di Verga rimane, nonostante il suo soggiorno ventennale a Milano, più strettamente radicato in Sicilia, quello di Pirandello appare nei suoi scritti più universalmente europeo, sebbene egli fosse molto legato alla sua terra, come dimostrano le sue ultime volontà:

Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne..

Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.

Entrambi intravedono nel progresso e nelle scoperte una minaccia alla solidità e alle certezze della tradizione, ma mentre il realismo di Verga lo spinge a trovare una soluzione nel conservatorismo5 sociale e familiare:

Eppure, vedete, la cosa è più facile che non sembri: basta non possedere centomila lire di entrata, prima di tutto; e in compenso patire un po’ di tutti gli stenti fra quegli scogli giganteschi, incastonati nell’azzurro, che vi facevano batter le mani per ammirazione. Così poco basta perché quei poveri diavoli […] trovino fra quelle loro casipole sgangherate e pittoresche […] tutto ciò che vi affannate a cercare a Parigi, a Nizza ed a Napoli.

lo scetticismo e il relativismo di Pirandello lo inducono invece a ritenere impossibile per l’uomo trovare un’isola felice. Questa la constatazione di chi si è accorto della vanità della vita tratta dalla Lettera alla sorella Lina:

Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi, non può prendere né gusto né piacere alla vita. Cosi è.

[…] Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai; quando tu non hai più un sentimento, perché sei riuscito a non stimare, a non curare più gli uomini e le cose, e ti manca perciò l’abitudine, che non trovi, e l’occupazione, che sdegni – quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore – allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così.

Il cambiamento sociale e personale in Pirandello ha quasi un valore simbolico, un percorso di presa di coscienza, da parte dei protagonisti dei suoi romanzi, delle trappole e delle maschere della vita.

Nel romanzo Il fu Mattia Pascal, serve a prendere le distanze da una condizione che Pascal percepisce come infelice, ma che alla fine non lo porta ad una soluzione, e al contrario lo costringe a divenire forestiere della vita stessa, cioè spettatore estraneo della vita.

In Uno, nessuno e centomila, Vitangelo Moscarda invece riesce attraverso lo sconvolgimento della sua intera vita a pervenire a una condizione di serenità immergendosi nel flusso vitale e scrollandosi di dosso ogni maschera o categoria.

Pertanto la mobilità sociale e personale in Pirandello sono utili per acquisire la consapevolezza dell’infelicità e della falsità della vita.

Conservatorismo verghiano e mobilità pirandelliana: due mondi a confronto

Note:

1 Giovanni Verga, I Malavoglia, Milano Fratelli Treves, Editori 1907, Capitolo III.

2Giovanni Verga, Incipit Prefazione ai Malavoglia.

3Giovanni Verga, Prefazione ai Malavoglia.

4Luigi Pirandello, L’esclusa, Mondadori, 2020.

5 Giovanni Verga, Fantasticheria, in Tutte le novelle, Milano, Mondadori, 2004, vol I pag. 122.

Articoli correlati:

La crisi d’identità come gioco metaforico, tra realtà e letteratura

Write A Comment

Pin It